ARPEPE: un microcosmo enoico strappato alle montagne

L’intera fase di fermentazione e macerazione avviene all’interno di tini in legno da 50 hL sotto azoto

Arturo Pelizzatti Perego, quarta generazione di vignaioli valtellinesi, fondando nel 1984 ARPEPE, coltivava da tempo un progetto, un’idea cara già a suo nonno: produrre vini da lungo invecchiamento che potessero regalare all’assaggio l’autentica espressione di un territorio, la Valtellina, e del suo vitigno, la Chiavennasca, allevato nella sua terra generosa da tempi immemorabili.

Da quegli anni il successo di ARPEPE è stato un continuo crescendo, la proposta commerciale si è necessariamente diversificata rispetto all’idea originale, ma la filosofia produttiva è rimasta la medesima del fondatore. Oggi Emanuele, Guido e Isabella, insieme alla madre Giovanna nel segno della continuità, conducono l’azienda di famiglia mantenendo vivo il pensiero enoico del padre, Arturo – ai tempi antesignano oggi largamente condiviso – armonizzando l’antica tradizione di famiglia con le moderne tecnologie, per raggiungere a ogni annata quella quadratura del cerchio che permette di sublimare nei vini di ARPEPE la ricchezza straordinaria di un vitigno da secoli parte del suo territorio.

Emanuele, Isabella e Guido Pelizzatti Perego

Isabella, qual è la vostra proposta commerciale?

«Il Rosso di Valtellina DOC è un vino che si è fatto conoscere da solo, una sorta di biglietto da visita che, dopo l’assaggio, spinge il consumatore a scoprire gli altri vini che caratterizzano la nostra offerta; viene prodotto con le uve che raccogliamo in zona Valtellina Superiore, tendenzialmente sotto i 400 m. I vigneti tra i 400 e i 600 metri sono di solito destinati alla produzione di vini da lungo invecchiamento anche se la discriminante, come abbiamo già sottolineato, rimane l’andamento climatico che orienterà la vinificazione. Quello ottimale ha un’importante escursione termica a ridosso della vendemmia che consentirà un buon ispessimento della buccia e favorirà la produzione di una grande riserva capace di valorizzare ogni singola vigna. Sono tre i cru che proponiamo dalle uve della zona della Sassella, due invece quelli della zona del Grumello. Vorrei ricordare, a tale proposito, il Valtellina Superiore DOCG Sassella Rocce Rosse che ha dato il “la” alla nostra produzione e il Valtellina Superiore DOCG Stella Retica. Le Riserve affinano dai tre ai cinque anni in legno. Utilizziamo per queste produzioni le storiche botti grandi che hanno più di mezzo secolo, prevalentemente in castagno con una piccola quantità di rovere e acacia, le quali offrono ancora i migliori risultati sui nostri vini. L’affinamento in bottiglia, per noi altrettanto importante, completa il percorso produttivo: 2-3 anni per raggiungere l’evoluzione ottimale».

Che cosa ricercate nei vostri vini?

«Cerchiamo la piena espressione e valorizzazione del nostro territorio. Attraverso una trasformazione la più rispettosa possibile delle nostre uve, vogliamo esaltare la freschezza, la mineralità, la sapidità, la grande beva che sono prerogativa dei vini di Valtellina. Caratteri identificativi di un microcosmo enoico strappato alle montagne, sostenuto da migliaia di chilometri di muretti a secco. Su questi terrazzamenti, di generazione in generazione, si è susseguito il lavoro paziente, instancabile, faticoso dei vignaioli valtellinesi. Il fondovalle paludoso, il versante orobico non adatto alla coltivazione, hanno spinto i nostri avi a coltivare la vigna – e in mezzo ai suoi filari cereali, legumi e verdure – sul versante retico esposto a sud. Tante ore di luce, paragonabili a quelle dell’Isola di Pantelleria, il lago di Como – all’ingresso del lungo corridoio che forma la valle – con il suo effetto mitigante sul clima, i ghiacciai alle spalle che separano dalla vicina Svizzera e sbarrano la via ai venti del Nord, i rilievi orobici che proteggono dall’umidità della Pianura Padana hanno dato vita a un territorio unico per lo sviluppo fiorente della viticoltura. La riscoperta e la valorizzazione dei vini di Valtellina è la chiave della ripresa di una tradizione agricola che ha sofferto l’abbandono delle terre e dei vigneti negli ultimi cinquant’anni, se nel 1973 gli ettari vitati erano 3.200 e oggi poco più di un migliaio. Compito di questa nostra generazione è invertire questa tendenza recuperando parte di quelle vigne abbandonate delle quali il bosco si è impossessato negli anni recenti».

ARPEPE: una cantina 4.0
Integrata nel versante terrazzato del Grumello, la cantina ipogea di ARPEPE al “Buon Consiglio”, pur essendo stata costruita nel 1973 fu realizzata adottando soluzioni all’avanguardia per l’epoca. La sua particolare struttura architettonica consente il naturale controllo di umidità e temperatura. L’utilizzo della geotermia ha consentito ad ARPEPE di spingersi nella direzione dell’ecosostenibilità abbattendo ulteriormente le sue emissioni di CO2.

«Quando si prospettava il secondo lockdown nell’autunno del 2020, da tempo pensavamo a un up-grade delle nostre tecnologie in cantina – spiega Emanuele Pelizzatti Perego -. Abbiamo così messo mano alla geotermia, portandola alla sua massima potenza. Sfruttando lo scambio termico, riusciamo oggi ad avere accumuli di caldo e di freddo che ci consentono di gestire contemporaneamente l’azienda sia dal punto di vista della climatizzazione degli ambienti sia produttivo, mantenendo i 14-16°C tutto l’anno, in un periodo storico caratterizzato dal surriscaldamento globale e da estati sempre più torride. Geotermia che è fondamentale per il miglior affinamento in legno e in bottiglia. L’implementazione ha però riguardato anche l’intero processo di trasformazione in chiave 4.0 rendendo l’impiantistica di cantina completamente interconnessa e gestita attraverso PLC. È stato inoltre realizzato un impianto ad aria compressa per la produzione dell’azoto: l’intero ciclo produttivo è oggi sotto azoto anche per quanto riguarda il legno e questo ci ha permesso di abbattere sensibilmente l’utilizzo della solforosa nei nostri vini».

Dal conferimento alla fermentazione

Le uve arrivano in cantina in cassette da 10 kg impilabili, un metodo di conferimento del raccolto che ARPEPE adotta dal 2007 in sostituzione alla tradizionale cesta valtellinese, la “brenta” da 50 kg. Una strategia che consente alla cantina di ottimizzare le prime fasi di lavorazione in cantina. «Dalla cassetta l’uva viene scaricata su un tavolo vibrante che elimina, anche grazie a un getto d’aria, impurità e insetti presenti – continua Emanuele -. Il tavolo vibrante funge da carico per la diraspatrice, attraverso la quale l’uva cade ad acini interi all’interno di una tramoggia collegata con una pompa peristaltica estremamente delicata che utilizziamo sia per il diraspato sia per i travasi sia per la svinatura». L’intera fase di fermentazione e macerazione avviene all’interno di tini in legno da 50 hL sotto azoto, anche se la cantina ha la possibilità di effettuare la vinificazione in acciaio. «A causa di alcune difficoltà di chiusura della fermentazioni, abbiamo avviato nel 2018 un progetto di selezione di lieviti autoctoni nei nostri vigneti che ci consente oggi di utilizzare tre diversi ceppi selezionati. La fermentazione in legno con macerazione a contatto delle bucce, dura mediamente 90-120 giorni anche se abbiamo avuto svinature a 150 giorni…».

Affinamento, un passaggio chiave

L’affinamento avviene in botti di legno di castagno contenenti piccole parti di rovere e acacia. «Il castagno è un’essenza che in passato era tradizionalmente usata qui in Valtellina per la costruzione delle botti – ricorda Emanuele -. Poi l’avvento del Rovere di Slavonia ha orientato i produttori, anche per un retaggio enologico, a rinnovare le loro bottaie. Dopo aver condotto delle prove con entrambe le essenze, abbiamo constatato la superiorità del castagno per i nostri lunghi affinamenti e per il suo corredo aromatico più simile a quello della nostra Chiavennasca. Partendo da questi risultati, abbiamo anche optato per questo mix tradizionale nei nuovi tini di fermentazione». Per ARPEPE l’affinamento in bottiglia riveste un ruolo chiave nell’evoluzione del vino: questo ha portato l’azienda a rivedere e razionalizzare i suoi ambienti produttivi – la cantina ha una superficie di 1.500 mq e una volumetria di 10.000 m3 – con l’obiettivo di portare l’affinamento in bottiglia fino a quattro volte la produzione media annuale, che è intorno alle 110.000 bottiglie. «Da parecchi anni ci affidiamo al contoterzismo effettuato da aziende specializzate con tecnologie sempre all’avanguardia – conclude Emanuele -. Una scelta quindi ben ponderata come d’altronde quella dei sistemi di chiusura. Da diversi anni ARPEPE, in armonia con il disciplinare di produzione, utilizza infatti esclusivamente chiusure tecniche per le sue bottiglie. Questo ci ha permesso di risolvere “l’incognita” sughero e di chiudere il cerchio nell’ottimizzazione del nostro percorso qualitativo dal campo alla tavola, ottenendo anche importanti risvolti in termini di riduzione della solforosa e di costanza qualitativa dalla prima all’ultima bottiglia prodotta».

Quali sono i vostri mercati di riferimento?

«L’Italia rimane per noi un mercato molto importante che fa il 35-40% del nostro business. Il resto è estero, Stati Uniti e Giappone, ma anche Australia: tutti Paesi dove il nostro Nebbiolo di montagna è molto apprezzato. Tra i mercati storici anche i Paesi del Nord Europa. Fiorente è il Sud-Est Asiatico. Anche se a volte si tratta di modesti ordinativi, portare i nostri vini sulle migliori tavole del mondo – dai ristoranti di Singapore a quelli messicani, canadesi… – è per noi motivo di grande soddisfazione».