La riscossa dello zucchero di canna

L’idea di una clean label nasce nel 2008 quando, nel libro “In defence of food”, Michael Pollan, giornalista e saggista statunitense, suggerì di non mangiare o bere mai nulla la cui etichetta dichiari più di cinque ingredienti e soprattutto nulla che contenga ingredienti difficili da pronunciare. Da allora il numero degli “attivisti del cibo pulito” è in costante aumento. Hanno la forza di indurre la grande distribuzione a estromettere prodotti con determinati ingredienti; obbligano le aziende a dare spiegazioni e a riformulare prodotti.

La riformulazione di una bevanda è più complessa di quanto appaia. Gli imbottigliatori non hanno certo l’abitudine di produrre aggiungendo ingredienti inutili, ciascuno ha una precisa funzione e la sostituzione con un altro più “facile da pronunciare”, più “naturale” o mediamente reperibile nella cucina di casa non è un gioco da ragazzi. La bevanda riformulata deve infatti continuare a soddisfare le attese dell’acquirente in termini di prezzo, gusto, texture, colore, stabilità fino a fine shelf life.

Un consumatore può preferire il sale da cucina al cloruro di sodio standardizzato, un estratto di mirtillo a un colorante artificiale, ma questi ingredienti non sono intercambiabili e la mera sostituzione di uno con l’altro non porta allo stesso risultato.

In totale antitesi con la filosofia clean label, spesso il ricorso a componenti naturali allunga l’elenco degli ingredienti. Si prenda, a titolo d’esempio, il grado di dolce. Ciascun dolcificante conferisce una caratteristica diversa alla bevanda e ogni categoria di bevande ha un dolcificante d’elezione che, in assenza di una definizione legale di clean label, il consumatore può valutare in modo diverso.

Negli USA, il trend clean label ha riportato in auge lo zucchero di canna. La case history più significativa è PepsiCo che, dopo un’area test con la linea Pepsi Throwback poi sostituita con “Pepsi-Cola Made With Real Sugar”, in aprile, ha presentato la nuova “1893”, una cola gourmet ispirata alla formula originale inventata da Caleb Davis Bradham.  Rispetto alla Pepsi contiene estratto di noce di cola, mentre lo zucchero di canna fair trade sostituisce l’HFCS (sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio) utilizzato nella bibita standard. Lo spot pubblicitario per il lancio del prodotto è ambientato in una cantina dove un sommelier, seduto in una lussuosa poltrona di pelle, assaggia la 1893 definendola refined e una voce fuori campo sottolinea che il prodotto contiene real sugar.

L’obiettivo di PepsiCo e degli altri imbottigliatori di soft drink che hanno intrapreso la stessa strada è recuperare quote di mercato in patria dove, negli ultimi 5 anni, le vendite sono diminuite in media dell’1% all’anno toccando punte del -6% per le bibite diet.

Sull’onda del successo della clean label l’attuale mantra del settore è “lo zucchero è naturale”. Se per anni il consumatore si è focalizzato sulle calorie oggi si rivolge ai prodotti biologici, non OGM anche se con sale, grassi o zuccheri. Si decide quindi di utilizzare miele, zucchero di canna, datteri, cocco e monk fruit (un piccolo melone coltivato in Asia). In USA le vendite di zucchero biologico sono cresciute del 15% in un anno e quelle dello zucchero che riporta sulla confezione il claim natural sono salite del 10,5%. D’altra parte in cucina si usa lo zucchero, non certo l’HFCS. Dagli anni ’70, quest’ultimo è stato il principe degli ingredienti nell’industria dei soft drink; costa poco e ha un profilo dolcificante simile ma non esattamente sovrapponibile a quello dello zucchero. Il raggiungere il picco di dolcezza in tempi più brevi lo rende adatto a esaltare l’aroma della frutta e delle spezie; lo zucchero di canna ha invece un sapore più rotondo e persistente, perfetto per dare pienezza alla bevanda.

Se da un lato gli attivisti come Organic Authority hanno prontamente criticato questo trend sostenendo che l’HFCS non è certo il peggiore tra gli ingredienti di una cola, è altrettanto vero che i consumatori rinunciano malvolentieri alla propria bibita preferita e se trovano una versione che considerano “più pulita” beneficiano di buon grado del cambio.