Per sostenere la ripresa dell’economia tunisina in un momento di forte difficoltà, la Commissione europea ha autorizzato, a dazio zero, un accesso temporaneo supplementare di olio d’oliva tunisino nell’area UE. Sono 70.000 tonnellate suddivise in due anni; si aggiungono alle oltre 56.000 previste dagli accordi pregressi. In sintesi, nel 2016, entreranno nella UE, a dazio zero, 91.000 tonnellate pari al 7,8% dell’intera importazione europea di olio.
In Italia, la decisione ha suscitato le consuete vivaci baruffe “favorevoli e contrari”. Tra questi ultimi ci sono alcune delle maggiori organizzazioni agricole convinte che il provvedimento penalizzi gravemente il comparto oleario nazionale. è doveroso sottolineare che non si tratta di extravergine, ma di olio d’oliva; le 35.000 tonnellate non riguardano solo l’Italia ma saranno ripartite tra diversi Paesi UE; terminato il primo anno si verificherà l’impatto economico di questa misura per accertare se abbia davvero penalizzato i produttori europei.
è probabilmente una misura meno efficace di quanto appaia, i dazi infatti non sono a carico dei produttori, ma degli importatori. Forse avrebbe potuto essere più incisivo e duraturo un approccio volto al raggiungimento di una maggior efficienza e al contenimento dei costi di produzione.
Era peraltro l’unica misura di sostegno rapidamente dispensabile a un Paese che, in pochi attimi, ha visto svanire la propria principale fonte di reddito: il turismo e il relativo indotto.
In Tunisia il settore oleario dà lavoro, direttamente e indirettamente, a più di un milione di persone, vale a dire a un quinto della forza lavoro agricola totale.
Tornando all’Italia, è di dominio pubblico che la produzione di olio è inferiore ai fabbisogni, che finanche il soddisfacimento della domanda interna dipende dalle importazioni e che, come hanno in più occasioni dichiarato le principali associazioni di settore, “è consuetudine per le aziende italiane valorizzare al meglio la produzione 100% italiana disponibile e nel contempo selezionare e accostare i migliori oli di produzione estera per offrire ai consumatori prodotti di qualità, con le caratteristiche organolettiche cui sono abituati”. In quest’ottica, data la riduzione dei costi, l’importazione a dazio zero dovrebbe essere accolta come un’ottima notizia. è altrettanto vero che al crescere dell’offerta i prezzi scendono e che nell’ultimo periodo l’olio tunisino è stato pagato meno di quello italiano e spagnolo.
Lo si sarebbe quindi importato ugualmente sia pur a prezzo pieno. Non bisogna poi dimenticare che molte aziende italiane hanno interessi diretti o indiretti in Tunisia: compartecipazioni in uliveti, esportazione di macchine agricole, attrezzature per frantoi e linee di imbottigliamento.
Un altro argomento utilizzato dagli oppositori al rialzo delle quote è la qualità inferiore dell’olio tunisino rispetto a quella dell’olio italiano. Un’ affermazione opinabile poiché in Tunisia, così come in Italia, si produce olio di livelli qualitativi diversi, indirizzato a target con altrettanto diverse propensioni di spesa.
Più fondata invece la tesi di chi afferma che i consumatori hanno diritto di conoscere in dettaglio l’origine di ciò che acquistano.
Si torna quindi alla necessità di un’etichetta ancor più trasparente che specifichi nei particolari il Paese o i Paesi d’origine e alla necessità di potenziamento delle misure di contrasto alle frodi.
Ancor più condivisibile la posizione di chi chiede di rafforzare, non a parole ma con i fatti, il comparto oleario nazionale, partendo dall’olivicoltura (punto più debole della filiera) tramite misure a favore dell’efficienza e dell’incremento delle capacità produttive delle aziende; spronando i produttori a valorizzare cultivar, areali, tecniche di coltivazione e mettendo a disposizione degli organi di controllo nuovi strumenti analitici atti a contrastare, con bassissimi margini d’errore, frodi e contraffazioni.
Il consumatore è attento alla provenienza dell’olio, premia l’innovazione e lo svecchiamento d’immagine purché si preservi l’identità. Quest’ultima diverrebbe il mezzo per evitare che l’ammissione di altre 35.000 tonnellate di olio tunisino a dazio zero nella UE metta in agitazione i produttori.