Nei primi 8 mesi del 2015, in Italia, il numero delle morti sul lavoro è salito a 752, con un aumento del 15% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; gli infortuni denunciati sono stati 410.000, in calo del 4,1% e in linea con la progressiva riduzione degli ultimi anni. Un dato confortante soprattutto se rapportato al maggior numero di ore lavorate nel periodo. È un piccolo ma significativo miglioramento ottenuto grazie all’impegno degli imprenditori e a una più incisiva formazione del personale.
Nel mondo anglosassone è consuetudine applicare la metodologia della sicurezza comportamentale.È fondata sulla behavior analysis, branca della psicologia che promuove una “cultura aziendale condivisa” volta a esaminare ed eliminare le azioni pericolose. Il meccanismo applicato è semplice: prevede una relazione causa – effetto tra gli stimoli che precedono un’azione e gli stimoli che la seguono. I comportamenti “critici” derivano da atteggiamenti mentali incompatibili con le mansioni assegnate al lavoratore, mentre i comportamenti “a rischio” sono riconducibili ad attività che espongono la persona al rischio oggettivo di infortunio, in funzione di come sono svolte. Alcuni fattori base (esperienza, formazione, procedure, motivazione) influenzano indirettamente il modo di operare. I rinforzi positivi (gratifiche) aumentano la probabilità di reiterare comportamenti corretti perché stabilizzano la motivazione; mentre i rinforzi negativi (richiami, sanzioni) indeboliscono il comportamento scorretto. Con il tempo i comportamenti corretti diventeranno automatici e quelli a rischio diminuiranno di pari passo. Raccogliendo i dati sul modo di operare, catalogando gli episodi non sicuri e valutandoli in termini di frequenza, durata, intensità e latenza, si possono impostare valide azioni correttive. Adottando questa metodologia, chiunque lavori in azienda è coinvolto nel progetto, invitato a osservare i comportamenti errati propri e dei colleghi nonché ad animare i “gruppi di miglioramento per la sicurezza” dove si analizzano i comportamenti inadeguati e si valuta come sostituirli con altri potenzialmente utili. L’osservazione può essere peer to peer o svolgersi in termini di auto-osservazione. Quest’ultima è particolarmente efficace perché induce ciascuno a riflettere su se stesso, sul proprio comportamento e su cosa cambiare per migliorare. La fase successiva spetta al management chiamato a impostare la miglior strategia per influenzare positivamente la prestazione sul lavoro e a fornire convincenti feedback sull’andamento della performance.
Come sempre accade, la metodologia della sicurezza comportamentale ha grandi sostenitori e altrettanto convinti detrattori. I critici ritengono che un infortunio sul lavoro non dipenda mai solo dal comportamento individuale, ma che quest’ultimo sia l’esito dell’interazione di una pluralità di fattori. Pertanto ciò che è spesso frettolosamente liquidato come “errore umano” sottintende un profondo problema organizzativo che può aver portato a sottostimare la natura del compito, le condizioni ambientali, i meccanismi che governano la prestazione o a sovrastimare le capacità dell’individuo. Ci sono errori riconducibili all’abitudine, ossia al ripetere automaticamente, quasi sopra pensiero una determinata azione (a chi non è capitato di imboccare istintivamente la strada che percorre ogni giorno pur dovendo in quella particolare occasione recarsi altrove?). Ci sono errori dovuti all’applicazione di regole giuste in maniera sbagliata o all’applicazione di regole sbagliate seguite alla lettera, e infine ci sono errori causati da conoscenze scarse o inadeguate.Il confine tra errore e violazione è molto labile. Il primo riguarda la sfera cognitiva, la seconda è inserita in un contesto organizzato dove vigono procedure e regole. Ci sono violazioni di routine dettate dal desiderio di raggiungere l’obiettivo con il minor sforzo possibile e violazioni eccezionali dove l’operatore si sente costretto a intervenire in modo scorretto nel tentativo di portare a termine, a qualunque costo, il proprio compito. Ciascuna di queste è parimenti precorritrice di un disastro.
La verità sta nel mezzo, la sicurezza di un impianto, anche di imbottigliamento, dipende sia dall’azienda, sia dai lavoratori. La politica di riduzione degli infortuni è più efficace quando l’azienda esamina il problema anche con gli occhi dei dipendenti, lo risolve con interventi tecnici e formazione adeguata e ha un atteggiamento inflessibile di fronte a ogni piccola o grande violazione.