Con 11,96 euro mensili per famiglia, in Italia, le vendite di acqua in bottiglia si sono riavvicinate a quelle del vino (12,01 euro). L’acqua disseta, idrata, pulisce, diverte, cura, secondo gli studi dell’immunologo francese Jacques Benveniste mantiene una memoria delle sostanze in essa disciolte o diluite, eppure, agli occhi dei consumatori italiani, è diventata una commodity poco differenziata. Certo è preziosa per la vita, ubiquitaria, ma in quanto “diritto umano” deve essere gratuita o a bassissimo costo. Prova ne è il trend che vede crescere i volumi delle acque primo prezzo e diminuire la marginalità degli imbottigliatori.
A mio parere, nel nostro Paese il mercato delle acque minerali premium ha bisogno di un’urgente e coraggiosa riconversione d’immagine. Penso ad un cambiamento di rotta simile a quello che, dalla metà degli anni ’80, dopo l’episodio del vino al metanolo, ha rilanciato il settore viti – vinicolo. Un’ acqua premium che voglia riaffermare la propria eccellenza dovrebbe avere il coraggio di superare l’idea del dissetare e del benessere e addentrarsi in un contesto di maggior gratificazione, più simile a quello utilizzato per valorizzare un piatto, un vino, una birra.
Oggi la pubblicità dell’acqua è banale, indifferenziata e ripetitiva; tutti i marchi usano gli stessi termini (purezza, idratazione, freschezza, consumo on the go, natura, ambiente), le stesse immagini (montagne e ghiacciai) e gli stessi colori. Concetti scontati, come se non ci fosse nulla di più da comunicare.
Per quanto ci sia un limite oltre il quale la quantità di informazione trasmessa dalla pubblicità non ha interesse a spingersi, ciò non significa dover privare del tutto il testo pubblicitario di connotazioni ed elementi originali. Una prima via per differenziarsi potrebbe essere creare un legame più emozionale con i consumatori, comunicare che ogni acqua è diversa non solo in termini di contenuto in sali minerali ma anche di sapori e abbinamenti con il cibo.
Differenze dovute al naturale percorso dell’acqua attraverso rocce che l’arricchiscono di sali minerali e le impartiscono specifiche caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche che la rendono più adatta ad abbinamenti con carne, pesce, fritti, primi piatti o con i prodotti di pasticceria. Un’ acqua premium dovrebbe rinnegare lo stereotipo di consumo “sempre e ovunque” e privilegiare la presenza a tavola, come simbolo di gastronomia, come acqua da scoprire e apprezzare quanto un buon vino. No quindi a bottiglie e bicchieri di plastica; sì a bicchieri dedicati capaci di indurre i consumatori a riflettere sul sapore di ciò che stanno bevendo, sia essa acqua del rubinetto o acqua in bottiglia.
Se contestualizzata, la degustazione è un ottimo tramite per parlare al cliente. Il suo linguaggio, il rituale di consumo, la valorizzazione del territorio che ospita la fonte possono conferire al prodotto un’aura aspirazionale che rimette al centro l’eccellenza del prodotto; si pensi al successo riscosso da Perrier negli anni ’70.
Se non si chiede di essere percepiti come prodotti di qualità non lo si sarà.
Un altro filone vincente è proporre l’acqua premium come soluzione a un problema. È il caso dei cubetti di ghiaccio ottenuti da acqua minerale subito dopo il suo sgorgare dalla fonte e venduti per la preparazione di cocktail. Abenbury Natural Mineral Water di Wrexham (UK) ne produce 50 tonnellate al giorno, distribuite ai locali notturni inglesi. Lo stesso dicasi per l’acqua minerale dedicata alla diluizione del whisky: secondo gli esperti le caratteristiche dell’acqua di diluizione “aprono” il distillato rivelando aromi e sapori distintivi e complessi, spesso penalizzati e coperti dall’alta gradazione alcolica. Un perfetto whisky dram dovrebbe sempre essere preparato con la stessa acqua utilizzata in produzione o con un’acqua di composizione similare. Forte di questa regola, la scozzese Uisge Source imbottiglia tre diverse acque minerali ricavate da altrettante fonti, una per ogni regione di produzione di whisky: Highland, Islay e Speyside.
Sono solo due esempi di come si possa valorizzare un’acqua presentandola come soluzione a un problema, forse poco importante per il grande pubblico, ma fondamentale per un poi non così ristretto numero di appassionati.