Una review degli studi sugli edulcoranti a ridotto contenuto calorico ribadisce l’assenza di effetti patologici sull’organismo. Possono quindi essere usati tranquillamente dalle aziende, nel rispetto delle dosi ammesse, per la formulazione di bevande o di altri prodotti alimentari light
Basta digitare nella stringa di ricerca di Google il nome di uno qualunque degli edulcoranti a basso contenuto calorico e, insieme a poche voci scientifiche e precise, il motore di ricerca rimanda a una serie infinita di blog e siti, nazionali e internazionali, che associano queste sostanze alle più gravi patologie che affliggono la popolazione mondiale, adducendo argomentazioni non supportate da fonti attendibili. Ancora più grave è il fatto che i messaggi contro i dolcificanti artificiali vengano “urlati” e moltiplicati attraverso il passaparola privo di controllo concesso dai nuovi media. È difficile, al contrario, che una comunicazione scientifica seria, precisa e ben documentata, trovi la stessa eco. Il vissuto negativo di questi prodotti coinvolge non solo loro, ma tutte le filiere che li impiegano per ottenere alimenti e bevande in linea con le più moderne esigenze del mercato: quello di avere prodotti buoni e gratificanti, ma dal contenuto calorico ridotto. L’industria delle bevande è tra i principali utilizzatori di questi prodotti, in sostituzione dello zucchero.
Ampio consenso dalla comunità scientifica Il mondo della comunicazione scientifica ufficiale è attento a questo tema e recentemente è stata pubblicata una review sulle pubblicazioni in materia, curata da un gruppo di ricercatori italiani, tra cui la tossicologa Marina Marinovich, del Dipartimento di scienze farmacologiche e biomolecolari dell’Università di Milano, e l’epidemiologo Carlo La Vecchia, del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità dell’Università di Milano e dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. La revisione, dal titolo “Aspartame, lowcalorie sweeteners and disease: Regulatory safety and epidemiological issues” (Aspartame, dolcificanti a basso contenuto calorico: aspetti regolatori ed epidomiologici), ha esaminato gli studi pubblicati negli ultimi 22 anni sulla possibile associazione tra il consumo di edulcoranti a basso contenuto calorico, principalmente l’aspartame, e il verificarsi di condizioni di salute avverse. La conclusione? Dalla revisione degli studi non è emerso alcun rapporto tra gli edulcoranti e patologie come il cancro al cervello, al seno, al pancreas, le neoplasie ematopoietiche (come il linfoma di Hodgkin) e i parti prematuri.
«Anche le ricerche condotte direttamente nel nostro centro – spiega Carlo La Vecchia – escludono ogni correlazione tra il consumo di dolcificanti artificiali e numerose tipologie di tumori dell’apparato digerente e ormono-relati (apparato riproduttivo femminile, prostata). E ciò conferma quanto è emerso nella review. Il quadro epidemiologico di queste sostanze è affidabile e chiaro. Tutti gli usi normali del dolcificanti sono ampiamente contenuti nei limiti di sicurezza, possono quindi sostituire lo zucchero nella dieta, senza provocare problemi. In particolare, trovo importante la sostituzione dello zucchero nei soft drinks. Queste bevande, infatti, contengono molti zuccheri di immediata assimilazione e chi le consuma abitualmente tende a controllare poco la quantità assunta, mettendosi un po’ più a rischio di essere colpito da alcune malattie metaboliche, come il diabete. Il consumo di bevande contenenti dolcificanti artificiali può contribuire a prevenire questo rischio, oltre che il sovrappeso».
Ampi margini di sicurezza
Si parla di limiti di sicurezza, perché tutti i dolcificanti sono stati sottoposti a prove tossicologiche per definirne l’ADI (Acceptable Daily Intake), in italiano DGA (Dose Giornaliera Accettabile), ovvero la quantità espressa in mg su kg di peso corporeo che può essere ingerita tutti i giorni per tutto l’arco della vita senza incorrere in un rischio apprezzabile.
«Anche se spesso l’onestà dei ricercatori viene messa in dubbio – afferma Marina Marinovich – la realtà è ben diversa. La definizione di ADI implica una responsabilità molto forte per la comunità scientifica. Per condurre studi di tossicità seri è necessario seguire protocolli riconosciuti internazionalmente. L’ADI è stabilita applicando un fattore di sicurezza al valore di assunzione a cui non sono stati riscontrati effetti avversi in animali da esperimento. Questo valore, il NOAEL (No Observed Adverse Effect Level), viene diviso almeno per 100, per tener conto delle possibili differenze tra le specie animali e l’uomo e tra gli stessi essere umani (età, stato di salute…). Se necessario, il fattore di sicurezza può essere ulteriormente alzato. Per questo i valori di ADI ottenuti sono ampiamente cautelativi. Inoltre per ogni sostanza, compresi i dolcificanti, sono fissati livelli i massimi ammessi nei diversi alimenti, per calcolare l’esposizione più alta cui una persona può andare incontro.
I calcoli vengono fatti sulla base di diete standard per le diverse popolazioni, di quelle relative alle fasce di popolazione più deboli e anche dei “mangiatori compulsivi” di questo o quel prodotto. Il tutto deve risultare inferiore all’ADI. Per questo motivo il consumatore deve sentirsi estremamente tranquillo, anche se introduce dolcificanti diversi, perché è dimostrato che, con i limiti imposti, non c’è sovrapposizione tra i rispettivi effetti. Nel caso dell’aspartame, l’unico pericolo possibile può essere a carico dei soggetti affetti da fenilchetonuria, per questo è stato stabilito di riportare un avviso di cautela sulle confezioni di alimenti e bevande contenenti questo dolcificante». Insomma, il cittadino può sentirsi sicuro e l’industria può utilizzare con tranquillità queste sostanze, rispettando ovviamente i limiti imposti.
«Non è che non esistano evidenze sulla tossicità o meno dei dolcificanti – commenta Andrea Poli, direttore scientifico di NFI (Nutrition Foundation of Italy) – anzi, esistono abbondanti evidenze del contrario. I valori di ADI stabiliti per queste sostanze sono tali che, per superarli, un soggetto di 70 chili dovrebbe introdurre giornalmente una quantità di potere dolcificante pari a quantitativi enormi di zucchero: 210 grammi per l’acesulfame K, 560 per l’aspartame, 1.120 per il neotame e 630 per il sucralosio. Sono quantitativi enormi rispetto al consumo medio di zuccheri semplici giornalieri: da studi che stiamo realizzando è emerso che se ne assumono 60 grammi complessivamente, sia come zucchero in quanto tale, sia all’intero di alimenti in cui i carboidrati semplici sono aggiunti (dolci, bibite…) o sono presenti naturalmente (frutta, latte…)».
[box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=”Caratteristiche dei dolcificanti impiegati nell’industria delle bevande”]Aspartame
È utilizzato in oltre 6.000 prodotti alimentari e bevande grazie alle sue buone proprietà gustative. È costituito da due amminoacidi: acido aspartico e fenilalanina, naturalmente presenti nella maggior parte degli alimenti che contengono proteine. La DGA è 40 mg/kg. Il potere dolcificante è 200 volte superiore allo zucchero e quello calorico è 4 kcal/g. Perde il proprio potere dolcificante se sottoposto ad alte temperature. Al momento della digestione, si producono acido aspartico, fenilalanina (aminoacidi) e una piccola quantità di metanolo – tutti normalmente metabolizzati. L’utilizzo dell’aspartame è approvato in più di 100 Paesi. L’EFSA ne ha riesaminato e riconfermato la sicurezza nel 2002, 2006, 2009, 2010 e 2011. L’impiego è regolato dalla direttiva sui dolcificanti 94/35/EC.
Glicosidi steviolici
Sono estratti dalle foglie della pianta Stevia rebaudiana, nativa del Paraguay. Poco assorbiti dopo l’esposizione orale, vengono idrolizzati dalla microflora nel colon in steviolo, di cui una parte viene assorbita e coniugata nel fegato, formando glucuronide steviolo, rapidamente eliminato nelle feci. Per questo non si verifica alcun accumulo di derivati dei glicosidi steviolici nel corpo. Stabili al calore e facilmente solubili, le preparazioni di glicosidi steviolici hanno un potere dolcificante 2 o 300 volte maggiore dello zucchero. Nel 2010, l’EFSA ha valutato la sicurezza dei glicosidi steviolici e ne ha stabilito la DGA a 4 mg/kg; il loro utilizzo è stato approvato nell’Unione europea con il regolamento (UE) 1131/2011.
Acesulfame potassio
È costituito dalla combinazione di un acido organico con il potassio. Non viene metabolizzato ed è escreto senza subire alcuna trasformazione. È stabile al calore, facilmente solubile e ha un potere dolcificante 200 volte superiore allo zucchero. Il suo impiego è autorizzato in oltre 100 Paesi; nell’Unione Europea è regolato dalla direttiva sui dolcificanti 94/35/EC ed è stato rivalutato nel 2000.
Saccarina
Priva di calorie ha potere dolcificante 500 volte maggiore dello zucchero. Non viene metabolizzata ed è escreta senza subire alcuna trasformazione. Scoperta nel 1879, in Europa è disciplinata dalla direttiva sui dolcificanti 94/35/EC e ne è stata riesaminata la sicurezza nel 1995. La DGA è 5 mg/kg.
Ciclammato
Fino a 50 volte più dolce più dolce dello zucchero, ha una DGA di 7 mg/kg. Privo di calorie, generalmente non viene metabolizzato ed è escreto senza subire alcuna trasformazione. È solubile e stabile anche alle alte temperature. Nell’Unione Europea è possibile impiegarlo seguendo i dettami della direttiva sui dolcificanti 94/35/EC. La sua sicurezza è stata rivalutata nel 2000.
[/box]