Parliamo di consumi. La crisi ha inciso molto sulla vendita di acque minerali?
Le acque hanno tenuto molto bene nel 2012, e hanno chiuso a volume con un +1,5-1,6%, come dato complessivo. Nel 2013 c’è una invece flessione, molto influenzata dal clima, con una primavera impietosa e un maggio piovoso e freddo. È ancora molto presto per dire se il 2013 sarà insoddisfacente, perché l’effetto stagionalità può valere dai 4 ai 5 punti su base annua. Lo scorso anno, per esempio, c’è stato un caldo forte e prolungato, e i risultati di vendita sono arrivati.
Rispetto ad altri Paesi, negli anni abbiamo tenuto sempre molto bene, e non abbiamo accusato quei traumi e scossoni verificatisi per esempio in Francia, dove per un paio d’anni ci sono state perdite a due cifre per effetto della concorrenza degli acquedotti, con la pressione di grandissime multiutilities che operano a livello europeo come Veolia e Général des Eaux.
E la concorrenza dall’estero si fa sentire?
La concorrenza non c’è proprio. Noi siamo discretamente posizionati sull’export, esportiamo più del 10%, nel 2012 abbiamo imbottigliato 12 miliardi e 450 milioni di litri e di questi al consumo domestico sono andati 11milardi e 400 milioni, quindi la differenza è tutta export. Ma l’import è praticamente insignificante. Oltretutto la concorrenza è fatta di molte tipologie di acque comprese anche le “bottled water”, cioè acque di falda che vengono trattate e purificate.
E qui occorre aprire un capitolo a parte, dal momento che noi abbiamo un patrimonio eccezionale di acque minerali veramente naturali. Per cui dobbiamo stare molto attenti a fare dei distinguo.
Perché?
Perché un patrimonio idrico come il nostro non ce l’ha nessuno. E dunque va valorizzato. Non bisogna inoltre mai stancarsi di sottolineare che il nostro primo mestiere non è quello di imbottigliare ma di monitorare le sorgenti. Un compito fondamentale, perché consente di preservare la contaminazione della sorgente in un momento in cui le risorse corrono sempre più il rischio di essere contaminate.
Un esempio: se uno stabilimento viene chiuso e per qualche tempo non viene monitorato, prima che l’acqua possa ritornare a essere fruibile possono passare anche molti anni. Perché nel frattempo può essere stata contaminata da acque superficiali e da altri agenti esterni. È questo lavoro di controllo che rappresenta il nostro vero impegno.
Ma questa è una prerogativa che vi viene riconosciuta dal mercato…
Certamente. E per questo abbiamo una posizione a livello europeo molto importante. Beneficiamo infatti della risposta del consumatore che continua ad acquistarci perché si fida e perché l’acqua è sicura, come ha bene illustrato una nostra recente inchiesta. Il secondo motivo per cui ci compra è che gli piace, perché l’acqua ha un gusto, e il terzo motivo più importante è che lega all’acqua minerale degli effetti salutari. Questi sono dati che ci danno rassicurazioni forti sull’evoluzione futura del mercato.
Sicuramente anche questo settore sente la contrazione dei consumi, ma siamo molto fiduciosi proprio perché abbiamo uno zoccolo duro di consumatori rispetto ai quali sarà difficile scendere. Naturalmente questa è solo una parte del discorso, il resto dipende da noi. Starà a noi dare risposte industrialmente efficaci in futuro. Per esempio, ed è una considerazione che faccio pacatamente, ci sono troppe aziende sul mercato, quindi c’è una dispersione di marchi, di proprietà e di efficienza. Penso che a questo settore non farebbe male una certa concentrazione.
Parliamo dell’annosa questione che contrappone vetro e plastica. Quanto c’è di vero nella tesi dei detrattori della plastica?
Certamente il vetro è il materiale migliore per la conservazione di alimenti e, soprattutto, dei liquidi. Occorre però dire che la plastica che utilizziamo, il Pet, ha raggiunto livelli alti di sicurezza alimentare, di lavorazione e resistenza agli agenti esterni. In più è il materiale che ci richiede espressamente il consumatore, il quale preferisce la plastica perché è comoda ed è più leggera del vetro.
Se gli ambientalisti andassero a fare le verifiche che hanno fatto in Germania, dove c’è molto vetro perché la plastica è tassata, l’opinione cambierebbe. Ci sono infatti studi che dimostrano che il ciclo del vetro è molto più inquinante di quello della plastica, dove per ciclo si intenda il processo integrale di produzione al quale si dà poi un giudizio di sostenibilità.
La produzione del vetro avviene a temperature elevate, con enorme dispendio di energie, inoltre il vetro incide sulle emissioni dei trasporti essendo molto più pensate, e arriva a consumare molta acqua perché occorre rilavare le bottiglie con enormi sprechi. Inoltre presenta rischi maggiori nel lavaggio laddove gli scarichi in stabilimento non siano perfetti, con il pericolo di rientro di sostanze inquinanti nel ciclo del lavaggio. Ma, purtroppo, anche questa annosa contrapposizione risponde a un’impostazione ideologica antica e dura a morire. Forse il bilancio, se così fatto, porterebbe l’ago a favore della plastica.
Eppure il dubbio rimane…
Ma è sbagliato pensarlo. Alcune aziende hanno laboratori che fanno prove di isteresi e mettono le bottiglie di Pet piene d’acqua in un ambiente con luci fortissime per 70 giorni, dopodiché verificano analiticamente le acque. Ebbene i risultati escludono categoricamente processi di tipo chimico, vale a dire che l’acqua non cambia la propria natura, mentre la plastica non si degenera. Si possono solo rilevare, a volte, delle frazioni di parete interna che si distaccano sotto forma di micro particelle sospese, ma non si dà reazione chimica.
Il Pet è una plastica eccezionale, che si ricicla perfettamente e permette di realizzare anche in Italia quel processo chiamato “bottle to bottle”, per cui da una bottiglia si ricava un’altra bottiglia, o almeno fino al 50%, perché il nostro decreto prevede il recupero di plastica riciclata fino a quella percentuale. Ci sono imprese che lavorano già in questo senso, come San Pellegrino o San Benedetto.
Si tratta di vera sensibilità ambientale o di semplice marketing?
Ci sono imprese che lo fanno per reali esigenze di sensibilità alle problematiche ambientali, ma devono possedere i mezzi per farlo, perché il Pet riciclato oggi costa come il vergine, e non c’è alcun vantaggio economico. Finché ci sarà questa parità di prezzo questo sistema non decollerà. D’altro canto, se si considera che il mercato del Pet è in mano a poche multinazionali e che con il recupero sempre più intenso della plastica queste si preoccupano, è facile comprendere perché il prezzo resti alto.
Oggi l’atteggiamento dei grandi produttori di Pet è di spostarsi su mercati asiatici e americani piuttosto che restare in Europa, tant’è vero che il mercato europeo è in mano ormai a un’azienda di proprietà tailandese, proprio perché sono avvenute queste sostituzioni sul mercato.
Ci dica qualcosa dei vostri programmi per il riciclo e riutilizzo delle bottiglie…
Abbiamo fatto un ottimo lavoro sul risparmio di acqua, con risultati importantissimi. Si pensi solo alle operazioni di prelavaggio delle bottiglie, attività che si realizza utilizzando la stessa acqua minerale prima di riempirle. Prima per un litro da imbottigliare utilizzavamo quasi un litro d’acqua, oggi molto meno. Il tutto grazie a nuovi macchinari. E qui la tecnologia ci sta dando una grossa mano.
Un altro importante risparmio è stato ottenuto sulle acque reflue di molti stabilimenti più strutturati, che le recuperano, le trattano e le rimettono nel circuito. Quello che oggi vogliamo fare, e ci stiamo lavorando debbo dire un po’ disordinatamente, è di legare di più l’industria dell’acqua minerale al sistema di riciclo, per ottenere un recupero dei contenitori maggiore.
[box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=”Che cos’è Mineracqua”]La federazione Mineracqua, costituita nel 1990, è l’organizzazione imprenditoriale che riunisce, rappresenta e tutela le industrie italiane che confezionano acque minerali naturali, acque di sorgente e bevande analcoliche. La federazione rappresenta l’unico interlocutore delle imprese produttrici di acque minerali in Italia ed è riconosciuta dalle amministrazioni statali e regionali e dalle organizzazioni nazionali ed internazionali.
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