Inchiesta

Export sì, ma i dazi?

 

Il problema dei dazi dovrebbe entrare a pieno titolo tra le questioni aperte a Bruxelles
Maurizio Gardini, presidente dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari

Maurizio Gardini

Il vino made in Italy è oggi un brand riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo e costituisce una delle voci più significative dell’export agroalimentare: solo nel 2012, l’Italia ha esportato 21,2 milioni di ettolitri, per un valore di 4,6 miliardi di euro, con un incremento del +6,5% rispetto all’anno precedente. Eppure la corsa dei vini italiani verso l’estero è frenata dai dazi, un ostacolo che le autorità europee devono assolutamente cercare di rimuovere. Se ne è parlato ad un convegno promosso dall’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari al Vinitaly, dal quale sono emerse cifre tutt’altro che rassicuranti per le imprese vitivinicole che intendono puntare proprio sulla commercializzazione nei paesi terzi. I mercati lontani (Asia, Europa dell’Est, America del Sud) sono quelli nei quali il consumo pro capite di vini è in costante aumento. Un dato su tutti: in Cina negli ultimi cinque anni il consumo procapite è cresciuto del 15,8%, a Hong Kong del +95%. È proprio questa nuova domanda, stante anche il crollo dei consumi interni, fermi ormai sotto la soglia dei 38 litri pro capite, che andrebbe opportunamente intercettata. Da sempre invitiamo le nostre cooperative, soprattutto quelle più strutturate, a puntare sull’export. E c’è da dire che le nostre imprese potrebbero avere margini molto più ampi se non fossero costrette a “riconoscere” ai paesi importatori dazi pesanti, che in India raggiungono una percentuale del 150%! Il problema dei dazi dovrebbe entrare a pieno titolo tra le questioni aperte a Bruxelles come sollecita anche il presidente del settore vitivinicolo di Fedagri Adriano Orsi per il quale “la questione dovrebbe essere affrontata opportunamente anche nell’ambito della discussione attualmente in corso sulla riforma della Politica Agricola Comune”. C’è bisogno, in generale, di una maggiore tutela dei tanti prodotti di qualità dell’Italia, con una difesa dei marchi e un’omogeneizzazione dei controlli.

 

Il tema dell’internazionalizzazione al centro della prossima agenda politica
Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini

Lamberto Vallarino Gancia

Il mercato mondiale ha subito grandi cambiamenti negli ultimi decenni. Stiamo, infatti, assistendo a una progressiva ascesa di nuovi produttori vinicoli che entrano in competizione con i produttori storici − Italia, Francia e Spagna − nella conquista di nuovi spazi di mercato. Il nostro settore è estremamente vocato all’export e le imprese vinicole italiane guardano lontano e scommettono sull’internazionalizzazione, ma devono farlo avendo ben chiari gli obiettivi che intendono prefiggersi, all’interno di uno scenario così composito. Il mercato globale è aperto a tutti ma è complesso e prima di indirizzarsi a un mercato specifico è necessario studiarne le caratteristiche per coglierne le potenzialità e individuare i possibili ostacoli. Accanto ai mercati storici, come gli Stati Uniti, la Germania e il Regno Unito, dove il vino italiano continua a registrare performance con segno positivo, si assiste a un incremento delle esportazioni nei cosiddetti paesi emergenti quali, ad esempio, Cina e Giappone. Questo significa che le nostre imprese stanno imparando a misurarsi con i mercati più lontani, a destreggiarsi con le complessità normative e burocratiche, ma questo non basta: accanto all’impegno degli imprenditori deve necessariamente affiancarsi il contributo delle istituzioni che devono essere maggiormente orientate a sostenere il commercio estero attraverso una progressiva eliminazione degli ostacoli e delle barriere tariffarie. Il tema dell’internazionalizzazione deve essere quindi messo al centro della prossima agenda politica: un primo passo era stato già compiuto con la ricostituzione dell’ ICE, ma ancora c’è molto lavoro da fare. Riteniamo opportuno che ci sia una duplice azione: da una parte un governo nazionale che riesca a promuovere e a sostenere le imprese all’estero attraverso strumenti normativi adeguati, dall’altra un’Europa coesa e determinata a portare avanti i negoziati per ulteriori accordi di libero scambio che possano agevolare gli scambi commerciali.

 

I Paesi a maggior tradizione vitivinicola sensibilizzino sul problema
Giancarlo Vettorello, direttore del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG

Giancarlo Vettorello

Quello dei dazi doganali è un problema sentito anche tra i produttori del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG. Un problema che riguarda i mercati emergenti, l’Oriente, in particolare, penso all’India in cui i dazi oltre a essere particolarmente elevati variano anche da stato a stato, sono mutevoli a seguito di un apparato legislativo molto dinamico, ma soprattutto del condizionamento da parte di lobby influenti in sede istituzionale. Il superamento di questi ostacoli commerciali può avvenire soltanto in seno all’Unione Europea di concerto tra i diversi Stati Membri. Qui l’Italia, come i Paesi a maggior tradizione vitivinicola − Francia e Spagna − devono sensibilizzare sul problema affinché l’Europa intera si preoccupi di questi ostacoli e li rimuova. Penso al caso di Hong Kong dove, grazie ad accordi bilaterali, è stata abolita l’imposta sul vino nel febbraio 2008 agevolando così questo genere di consumo e promuovendo una migliore  penetrazione del vino italiano.

 

Missioni a livello governativo per semplificare l’export
Ettore Nicoletto, presidente di Italia del Vino Consorzio

Ettore Nicoletto

Da un punto di vista meramente tecnico e logistico i problemi incontrati per l’esportazione sono minimi in quanto la resa è normalmente EXW (franco fabbrica) o al massimo FOB (franco a bordo). Inoltre chi importa è un operatore del settore e fornisce abitualmente tutte le informazioni necessarie perché le pratiche di sdoganamento all’importazione possano procedere speditamente. Da un punto di vista squisitamente commerciale le problematiche d’esportazione vanno relativizzate al mercato di riferimento. Le barriere all’ingresso sono di varie tipologie, di natura tariffaria, burocratica, ma anche legate alla complessità e alla conoscenza del mercato. Ad ogni modo, il problema dei dazi doganali interessa più chi si occupa della distribuzione del prodotto piuttosto che il produttore stesso visto che chi vende – almeno nel nostro caso – normalmente non concede sconti in ragione di un mercato fortemente protezionista. Il mix è influenzato a seconda che i dazi siano ad valorem oppure a quantità, anche se nel caso di alcuni mercati gravati da forti accise − è il caso ad esempio del Regno Unito − il prezzo mix rimane molto basso. Entrando nel merito dei Paesi più problematici per l’export, sicuramente c’è il Brasile con barriere tariffarie e burocratiche legate alla registrazione dei prodotti nel mercato. La Cina segue a ruota con l’aggravante che, in caso di pagamenti anticipati, sono richiesti tempi abbastanza lunghi. Nel caso siano richieste garanzie bancarie, anche la Russia rimane problematica. Ci sono poi i Paesi musulmani dove l’accesso al mercato è regolamentato e limitato e Paesi a rischio di alcune aree dell’Africa. Alla luce di questo, l’export necessita sicuramente delle semplificazioni; per farlo servono missioni a livello governativo e accordi bilaterali con l’UE per garantire accesso privilegiato e preferenziale al mercato.

 

Roberto Tognella