Planeta, una storia destinata a durare a lungo

«Passione, volontà, visione ampia, attenzione ai dettagli, una naturale propensione a fare sempre il meglio e l’impegno a coinvolgere la comunità e a condividere con il territorio». Francesca Planeta elenca così – brevemente e quasi di sfuggita – i suoi punti di forza. Alla mia domanda risponde in modo rapido, come a non voler focalizzare troppo l’attenzione su di sé, scegliendo, tuttavia, parole chiare e ben precise. È un’eredità importante, la sua, diretta discendente di quel Diego Planeta scomparso oltre tre anni fa che, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, ha cambiato le sorti della vitivinicoltura siciliana, contribuendo all’evoluzione del comparto e alla sua crescita ed espansione anche oltreconfine.

È abituata a parlare di lui, Francesca, e forse non potrebbe essere altrimenti, ma tanti altri sono gli aspetti interessanti e le sfumature di questa donna, per metà sicula e per metà anglosassone, intimamente appassionata alla terra e al suo lavoro, caratterizzata da un forte senso della famiglia.

Francesca Planeta

«Oltre a ricoprire i ruoli di Presidente di Planeta Estate e di amministratrice dell’ospitalità del Gruppo – Palazzo Planeta a Palermo, la Foresteria e il Beach Club a Menfi e le Casette sparse a Noto –, sono mamma e moglie tutti i giorni», dichiara con orgoglio. Dopo il diploma classico, due master di Comunicazione aziendale a Londra e a Milano e una breve esperienza nella divisione Marketing di Nestlé, nel 1995 Francesca sceglie di tornare in Sicilia per partecipare alla costruzione dell’azienda vitivinicola di famiglia, mettendo in gioco non solo la sua vocazione professionale, competenza ed esperienza, ma anche il desiderio di condividere il grande progetto di rilancio del vino siciliano in un contesto internazionale.

Dal 1995 è passato qualche anno, cosa ricorda di quel periodo specifico?

«Quello è stato l’anno in cui le etichette Planeta giunsero per la prima volta sul mercato. Non furono referenze derivanti solo da vitigni autoctoni: lo Chardonnay – vino ormai identitario e pluripremiato – aprì le porte del mondo al brand famigliare e i confini della Sicilia alle cultivar non autoctone, iniziando una diversificazione che, oggi, è un tratto distintivo del Gruppo Planeta. La compagine aziendale è attualmente portata avanti da mio cugino Alessio Planeta, nel ruolo di Amministratore delegato e capo enologo, affiancato da me, dal fratello Santi Planeta, Direttore commerciale, e da 270 collaboratori. Con 386 ettari vitati e 2,4 milioni di bottiglie prodotte in sette cantine dislocate in cinque diversi territori – Menfi, Vittoria, Noto, Etna e Capo Milazzo –, 151 ettari di oliveti e 5 strutture dedicate all’ospitalità e ai wine tour, possiamo dire che oggi Planeta è uno dei principali attori della scena vitivinicola siciliana, ma non solo. Alla viticoltura si affiancano, infatti, le coltivazioni di ulivi, mandorli e cereali, secondo una filosofia imprenditoriale spontaneamente orientata alla sostenibilità, basata sulla profonda conoscenza delle tecniche di coltivazione e di valorizzazione della biodiversità».

Quali sono state le scelte strategiche che hanno decretato il successo di Planeta?

«Credo che il filo conduttore di questa storia, e ciò che ci ha consentito di aprire nuove strade, sia stata l’ostinazione di puntare sull’evoluzione, con un approccio sempre orientato all’apertura e all’innovazione: laddove troppo spesso il mondo agricolo si è rinchiuso in vetusti schemi di consuetudini sociali e pratiche produttive, noi abbiamo piuttosto ereditato, di generazione in generazione, un istinto proteso a cambiare e a originare trasformazioni positive intorno a noi, nella cultura e tra le persone. Per questo abbiamo fondato il nostro progetto sulla possibilità di viaggiare in Sicilia come in un grande continente del vino, avviando le nostre tenute in più territori, da ovest a est, e cercandone una nostra interpretazione attraverso la ricerca sui vitigni autoctoni, compresi quelli ormai dimenticati, e sull’adattabilità dei diversi terroir ad accogliere anche gli internazionali. Oggi vantiamo una produzione articolata che si declina in oltre trenta etichette e in ognuna delle nostre aziende il ciclo produttivo si completa sempre, dall’inizio alla fine, a partire dai vigneti fino ad arrivare alla cantina. I mercati, anche esteri, ci danno bellissime soddisfazioni: siamo usciti sulle piazze mondiali in qualità di pionieri e i nostri primi consumatori non sapevano nulla sulla Sicilia e sulle sue varietà. Oggi incontriamo, invece, fruitori molto più informati, che hanno seguito la nostra evoluzione verso vini più territoriali, narranti la vera Sicilia. Distribuiamo per il 50% sul mercato nazionale e per il restante 50% all’estero, in più di 70 Paesi nel mondo, soprattutto negli Stati Uniti, in Germania, Inghilterra, Russia, Canada, Svizzera e Giappone. Quest’anno mio cugino Alessio, Amministratore delegato dell’azienda, ha conquistato il prestigioso titolo di “Winemaker of the Year” del premio “Wine Star Award”: il riconoscimento, conferito ogni anno dalla rivista nordamericana specializzata in enologia Wine Enthusiast, nomina periodicamente i membri più influenti dell’industria del vino, dei liquori e delle bevande per l’assegnazione del più ambito riconoscimento enologico degli Usa. Finalmente l’Italia, dopo sedici anni, è di nuovo in vetta alla classifica».