La scienza è lo sviluppo di idee e l’elaborazione di teorie che aiutano a capire le leggi che regolano un fenomeno; la tecnologia è invece l’insieme delle attività volte a modificare e controllare l’ambiente dove si vive.
Molte attività in campo industriale e nel settore delle materie plastiche in particolare si devono alla tecnologia, ma non avrebbero mai potuto realizzarsi senza la teoria scientifica che le ha guidate.
L’industria delle materie plastiche è da sempre molto attiva in termini di una ricerca e di un’innovazione con risvolti pratici, legati alla trasformazione della materia in vista di un’applicazione industriale.
Si inizia con l’osservare scrupolosamente gli aspetti sui quali si desidera indagare e i fenomeni che ne modificano le proprietà. Si eseguono esperimenti per raccogliere dati e, se tra questi si notano delle regolarità, si formula un’ipotesi scientifica descritta a parole o con un’equazione.
Ogni ricerca fruttuosa è dunque il risultato di una serie ben definita di passaggi qui esemplificati attraverso un caso pratico.
Definire i confini del problema
Il settore imbottigliamento è particolarmente interessato ai risultati di ricerche che studiano come ridurre la permeabilità a O2 e CO2 delle bottiglie in PET, senza aumentare eccessivamente i costi di produzione e di riflesso i costi delle preforme. Nel corso degli anni sono state sviluppate e brevettate diverse tecnologie, accomunate dalla deposizione di uno strato barriera e di un coating per proteggerlo.
Definito l’obiettivo, la ricerca prende il via da un’accurata revisione dello stato dell’arte del settore. La letteratura sul tema bottiglie di PET barriera è ampia e buona parte delle tecnologie sperimentate sono state brevettate.
Molte di queste ricerche hanno indagato l’applicazione di uno strato barriera, solitamente polivinilalcol (PVA) e la sua protezione con un coating impermeabile.
Tutti i ricercatori che si sono dedicati a questi aspetti hanno dovuto superare un serio ostacolo: durante il soffiaggio il volume della preforma cresce di circa 10 volte e lo spessore del coating si riduce, con conseguenti rischi di rotture o di disomogeneità.
La revisione della letteratura
Rivedendo la letteratura in materia, i ricercatori valutano i punti di forza e di debolezza dei precedenti lavori, nell’intento di mantenere saldi i primi e superare i secondi.
Nel caso delle bottiglie di PET e della deposizione di uno strato di polivinilalcol, un primo insieme di studi cita la deposizione di una miscela di PVA addizionato di plastificanti; segue una laccatura con polivinilacetali per ottenere una struttura insolubile in acqua e con una buona barriera all’ossigeno.
Il punto di debolezza di questa soluzione consiste nel fatto che i plastificanti possono migrare nel polivinilacetale e compromettere la resistenza meccanica dello strato barriera.
Un secondo insieme di studi prevede la deposizione di uno strato di PVA seguita dalla deposizione di polivinilbutirrale, con il vantaggio di avere una buona barriera a ossigeno e anidride carbonica, resistenza ai graffi e di non compromettere la riciclabilità della bottiglia. Il doppio coating può infatti essere distrutto meccanicamente perché lo strato barriera è solubile in acqua. Per ovviare al problema della riduzione dello spessore dello strato barriera conseguente al soffiaggio, un terzo gruppo di autori suggerisce di utilizzare come lacca protettiva uno strato di poliestere o di policarbonato.
Lo stesso studio raccomanda di pretrattare la superficie della preforma. Tra i trattamenti chimici è citato l’utilizzo di un adesivo a base di poliestere o di Cymel, tra quelli fisici è citato il trattamento corona. Un quarto gruppo di studi evidenzia i punti deboli del precedente. Il coating in PET resiste al soffiaggio, ma l’intera struttura rischia di delaminare: il PVA è idrofilico e il PET è igroscopico, pertanto il coating è meccanicamente e chimicamente instabile e in ambienti umidi si stacca.
Inoltre il solvente di deposizione del PVA è l’acido isopropanol metanoico e mentre il solvente usato per depositare la lacca in PET è l’acetato di etile. Entrambe queste sostanze sono classificate a rischio ambientale.
Da questa rassegna si deduce che è vantaggioso ridurre la permeabilità delle preforme e di conseguenza delle bottiglie da queste ricavate ricorrendo a un coating, purché quest’ultimo abbia una buona adesività, non delamini, abbia una struttura sufficientemente flessibile da permettere il soffiaggio senza alterarsi.
La nuova soluzione
La soluzione prende gli aspetti positivi delle precedenti ricerche e ne corregge i punti deboli, conferma il coating in PVA e lo protegge con uno strato di polivinilacetali.
Il PVA riduce la permeabilità a O2 e CO2 del PET, prolungando la shelf life dei soft drink o della birra, ma è sensibile all’umidità; i polivinilacetali sono un’ottima soluzione per lo strato protettivo perché hanno una struttura polimerica di base (backbone) simile a quella del PVA.
L’attivazione della superficie esterna della preforma in PET prima della deposizione del PVA migliora la adesione di quest’ultimo e la sua integrità durante il soffiaggio.
Indipendentemente dal tipo di trattamento di attivazione effettuato, è necessario che l’energia superficiale aumenti del 25-50% rispetto a quella della superficie non trattata.
Il PET non trattato ha un’energia superficiale di 30-45 mJ/m2, dopo il trattamento il valore deve essere intorno a 55-60 mJ/m2, ma è possibile arrivare fino a un massimo di 150 mJ/m2.
Segue la deposizione di PVA con un grado di saponificazione/idrolizzazione di almeno il 90%; lo spessore depositato deve essere tra 0,01 e 5 micron, non devono esserci plastificanti, ma potrebbero restare tracce di umidità formatasi durante la laccatura. L’applicazione può avvenire per immersione in soluzione acquosa (5-25% in peso), con il metodo spray o con altre tecniche idonee allo scopo ed è subito seguita da un’essiccazione a temperatura ambiente ed eventualmente a pressione ridotta per 4-8 ore, a 30-60 °C per un tempo variabile da 30 minuti a 2 ore, o in essiccatore per 15-30 sec. Si provvede poi alla deposizione del polivinilacetale ricavato dalla reazione del PVA con una o più aldeidi. Il grado di acetalizzazione deve essere tra il 70 e il 90% e il contenuto di polivinilalcol deve essere tra 8 e 30%mol. Il polivinilacetale è applicato in soluzione di solvente organico (metiletilchetone, metanolo, acetone o etanolo) per immersione o con metodo spray. Anche questo strato deve avere uno spessore compreso tra 0,01 e 5 micron. Le condizioni di essiccamento sono le stesse applicate al PVA.
La verifica del risultato
Le preforme così trattate sono state sottoposte a soffiaggio ed è poi stata verificata la permeabilità all’ossigeno. In una bottiglia da 250 ml non trattata la permeabilità all’ossigeno è in media 0,022 cc/per confezione/giorno contro una media di 0,00078 cc/per confezione/giorno riscontrati in un’analoga bottiglia trattata.
Il coating così depositato riduce la permeabilità dell’8,6%. Lo strato barriera è risultato sufficientemente elastico da non alterarsi durante il soffiaggio, ed è meccanicamente e chimicamente stabile al punto da salvaguardare il contenuto della bottiglia.È stato inoltre eseguito il confronto con una bottiglia che ha subito un trattamento al plasma e il successivo coating. Il trattamento della preforma è omogeneo, quello sulla bottiglia non lo è, le scanalature laterali e gli incavi del fondo sono aree difficili da raggiungere sia pur con un trattamento al plasma.
Si registrano pertanto accumuli di coating in alcune zone e assottigliamenti in altre.
Maria Zemira Nociti