La maggior parte delle lattine per bevande sono in alluminio, metallo che, se esposto tal quale ad aria o acqua, si ossida formando uno strato superficiale di Al2O3. Questo rivestimento naturale desquama e tende a sciogliersi spontaneamente a pH estremo (in ambienti molto acidi o molto basici) o in presenza di alte concentrazioni di sali di cloro. A lattina chiusa, la rigenerazione dello strato interno di Al2O3 dipende dalla concentrazione di ossigeno residuo. In assenza dello strato di ossido, si innesca un processo di corrosione che compromette la shelf life del prodotto e l’immagine del packaging. Di qui la necessità di proteggere il contenitore con rivestimenti (coating) interni ed esterni. I coating interni difendono prodotto e metallo da interazioni che possono degradare il materiale, indurre cessioni e modificare le caratteristiche della bevanda. Si pensi, per esempio, all’intorbidamento della birra qualora la lattina cedesse alluminio.
I primissimi coating erano oli e resine naturali di origine vegetale; dagli anni ’40, sono stati sostituiti con resine sintetiche, meglio rispondenti alle accresciute velocità delle linee di produzione dei contenitori e alla sicurezza dei contenuti. Nelle lattine imbutite, il coating è applicato al contenitore formato; l’applicazione è seguita dal curing (essiccazione, esposizione a raggi UV o IR) che reticola il polimero e trasforma il rivestimento in uno strato duro e flessibile. La deposizione può essere mono o pluristrato. La deposizione di più strati sopperisce meglio alle eventuali imperfezioni del metallo e ne migliora la lubrificazione utile a previene l’usura delle attrezzature degli impianti di produzione dei contenitori.
Durante le successive fasi di lavorazione il coating non deve desquamare, rompersi, perdere adesione, stirarsi o alterarsi. Altri fattori predisponenti le interazioni bevanda – metallo sono sbalzi di temperatura, trattamenti a caldo (cicli di pastorizzazione della durata di 20 – 30 minuti a temperature tra 60 e 70°C), urti durante la movimentazione lungo le linee di produzione, stoccaggio e trasporto in condizioni inadeguate. La tabella sottostante sintetizza le zone d’applicazione dei coating e le loro funzioni.
Tabella 1 – Zona di applicazione del coating e loro funzioni
Zona di applicazione del coating | Funzione |
Esterno | |
Corpo della lattina (coating) | Proteggere il metallo e fungere da base per l’inchiostro |
Corpo della lattina (inchiostri) | Decorazione, informazione; identificazione; avvenuto trattamenti termico (pastorizzazione) |
Corpo della lattina (vernice a protezione della stampa) | Protezione della decorazione |
Rim (coating) | Riduzione degli attriti durante lo scorrimento sui nastri |
Fondo (coating) | Protezione da ruggine e abrasioni |
Coating di ripristino | Ripristinare i coating danneggiati durante la produzione o la movimentazione delle lattine |
Interno | |
Corpo e fondo (coating) | Protezione del metallo dalla bevanda e vice versa |
Coperchio (compound) | Assicurare una chiusura ermetica tra lattina e coperchio |
I coating interni
I coating interni si dividono in due grandi categorie: idonei o non idonei al contatto con gli alimenti. Per i primi, la normativa pone precisi limiti all’impiego di determinati componenti di resine, solventi ed additivi. Le resine possono essere ricavate da migliaia di starter differenti (molecole naturali o di sintesi) ed essere miscelate ad altrettanto variegati additivi per ottenere le caratteristiche adatte a specifiche combinazioni lattina / prodotto. I principi attivi sono identificati con un nome dove i due o più componenti principali sono citati in ordine decrescente e separati da un trattino per esempio (epossi – amino).
La chimica
Le resine acriliche tal quali sono poco utilizzate nel settore lattine per bevande perché il monomero di partenza (l’acrilato di etile) è una molecola a bassissima soglia olfattiva (0,0002 parti per milione). Per anni, le resine epossidiche sono state il rivestimento d’elezione. Si ottengono dalla condensazione a caldo di epicloroidrina e bisfenolo A, in presenza di un indurente capace di determinare forti interazioni tra le catene polimeriche. Dal 2008 il BPA ha reiteratamente attirato l’attenzione dei media allarmati dai risultati di alcuni studi sulla sua sicurezza.
I coating epossidici sono resistenti, flessibili, compatibili con la maggior parte delle bevande in lattina, aderiscono bene ai metalli e spesso sono usati anche come primo strato esterno dove depositare coating acrilici o vinilici. Le oleo resine derivano dalla fusione di gomme e resine naturali poi miscelate ad oli siccativi (olio di semi di lino o olio di Vernicia fordii).
Pressoché abbandonate intorno agli anni ’60, sono poi state rivalutate in risposta ai timori suscitati da BPA. Avendo una struttura micellare aperta proteggono poco dalla corrosione; sopportano bene gli stress da fabbricazione ma, avendo scarsa adesione ai metalli, richiedono un curing più lungo rispetto alle resine sintetiche. Le resine fenoliche si ottengono per condensazione di uno o più fenoli con una o più aldeidi. Resistono bene alla corrosione ma, essendo poco flessibili, sono utilizzate come reticolanti in miscela con altre resine. Migliorano la protezione in presenza di prodotti aggressivi e di composti solforati che tendono a macchiare l’interno della lattina. Le resine in poliestere sono prodotte condensando un acido con uno o più alcol o epossidi. Segue una copolimerizzazione in presenza di agenti che favoriscono la formazione di legami trasversali tra catene polimeriche. In funzione della formulazione variano da molto rigide a molto flessibili.
Non sono utilizzabili con bevande aggressive o a basso pH, perché l’acidità favorisce l’idrolisi degli esteri, non alterano odore e sapore del prodotto, ma possono causare scalping degli aromi.
Sono state spesso indicate come la miglior alternativa alle resine epossidiche, prendendo come riferimento il loro diffuso impiego in Giappone, dove peraltro non sono spalmate o spraizzate direttamente, ma sono applicate sotto forma di lamina di PET accoppiata ad un coating adesivo epossidico a base di BPA. Resistendo poco alla corrosione, le resine viniliche sono in genere miscelate a resine alchidiche, epossidiche e fenoliche. Sono flessibili, ma aderiscono poco al metallo se non è stato predepositato uno strato di resina epossidica, non sopportano la pastorizzazione, resistono invece al riempimento a caldo.
Una categoria a sé sono gli organosol vinilici, utilizzati in monostrato e come distaccanti nelle lattine di conserve di carne o pesce. Sono delle dispersioni di resine OVC ad alto peso molecolare in un solvente idrocarburico. Se combinati a resine epossidiche creano un rivestimento con una buona resistenza chimica, stabilità termica ed adesione.
Le formulazioni
Un tempo si utilizzavano in prevalenza coating a solvente, preparati in forma liquida o ad alto tenore di solidi. Questi ultimi sono molto viscosi e, prima della deposizione a rullo o spray, richiedono un preriscaldamento. Ad alto tenore di solidi sono anche alcuni inchiostri a base poliestere; si utilizzano per decorare le lattine con tecnica litografica dry offset. L’uso dei solventi ha spesso recato con sé preoccupazioni per l’alto tenore di VOCs (composti organici volatili) e per l’emissione HAP (Hazardous Air Pollutants). La ricerca si è pertanto indirizzata verso coating a base acqua composti da polimero di base, acqua e una piccola quantità di solvente organico. I polimeri di base sono alchidi, poliesteri, acetati di vinile, acrili, epossidi usati in emulsione, dispersione o soluzione. L’acqua funge da carrier o disperdente, il solvente organico da umidificante, disperdente e regolatore della viscosità. Sono impiegati sia come protezione interna, sia all’esterno come coating di base, per il rim o come vernici a protezione della stampa. Le attrezzature per l’applicazione sono simili a quelle per i coating a solvente, ma devono essere dedicate; i residui dei coating a solvente sono incompatibili con i rivestimenti a base acqua e devono essere del tutto rimossi prima dell’utilizzo di questi ultimi. Gli impianti “misti” richiederebbero quindi dei lunghi e antieconomici fermi per pulizia. Il settore ha ampliato le proprie possibilità di scelta con l’avvento dei coating UV, utilizzati per l’esterno della lattina, per evitare cessioni. Sono composti da oligomeri, monomeri e fotoiniziatori. I monomeri riducono la viscosità della formula, migliorano gloss, durezza e tempi di reticolazione. Gli oligomeri garantiscono flessibilità, durezza e resistenza chimica. I fotoiniziatori sono molecole instabili che, esposte a luce UV, generano protoni o radicali liberi ed avviano la reticolazione.
I coating con radicali liberi contengono acrilati epossidici, uretani e poliesteri, mentre i coating cationici a base epossidica liberano protoni. Entrambe reticolano in fretta, consentono di lavorare a basse temperature, hanno un bassissimo contenuto di VOCs, non prevedono essiccazione a caldo (ne consegue un buon risparmio energetico), necessitano di linee dedicate che hanno il vantaggio di occupare meno spazio rispetto alle linee tradizionali. Si utilizzano anche inchiostri e vernici di finitura UV. In caso di imperfetta applicazione si notano tendenza ad ingiallire e la minor resistenza all’abrasione rispetto ai coating tradizionali. Anche i coating in polvere, composti da piccolissime particelle di coating solido, hanno un bassissimo contenuto di VOCs. Sono applicati per deposizione elettrostatica, immersione in letto fluido, spray a fiamma e sono reticolati a caldo in fornetti ad infrarossi. Si dividono in due grandi gruppi: termoplastici e termoindurenti. I primi contengono resine termoplastiche ad alto peso molecolare e se nuovamente scaldati dopo il curing, tornano fluidi; i secondi, dopo il curing, diventano termoresistenti. In entrambe i casi, il curing si svolge a temperature comprese tra 60 e 200°C. I coating in polvere hanno proprietà barriera ed una buona resistenza ad agenti chimici ed abrasione; sono l’ideale per i rim, ma la loro applicazione è piuttosto lenta e non sempre sono disponibili nei colori, finish e texture desiderati dai produttori.
Coating ed emissioni
In passato la maggior parte dei rivestimenti per lattine conteneva solventi, con conseguenti elevate emissioni di HAP e presenza di VOCs monocomponenti o sotto forma di miscele di eteri volatili, eteri glicolici, acetati, sostanze aromatiche a basso peso molecolare, idrocarburi alifatici. Quanto agli HAP la quota principale è costituita da eteri glicolici, in particolare (EGBE – etilen glicol monobutil etere) uno dei solventi più usati nella produzione di coating a base acqua. Per molto tempo nella produzione dei compound per la sigillatura dei coperchi è stato utilizzato l’N – esano poi sostituto dall’eptano. La tabella riporta le principali categorie di coating, i loro impieghi nel settore lattine per bevande ed il potenziale contenuto in VOCs.
Tabella 2 – Coating: principali impieghi nel settore lattine in alluminio per bevande e contenuto in VOCs
Tipo di coating | Principale utilizzo | VOCs in g/litro di coating meno l’acqua |
Epossidica a base acqua | Spray – interno lattina | 335 – 430 |
Poliestere bianco a base acqua; acrilica
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Coating di base – esterno lattina | 167 – 250 |
Poliestere bianco a base acqua; acrilica | Finitura esterna e rim | 167 – 250 |
Vernice UV | Finitura esterna e rim | Inf. a 1 |
Base solvente con alto contenuto in solidi; base acqua
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Sigillatura coperchi | Fino a 440 |
La tensocorrosione dei coperchi delle lattine
La rottura dei coperchi easy – open delle lattine per bevande a seguito di tensocorrosione non è frequentissima, ma è molto pericolosa per l’immagine dell’azienda e la conservazione del prodotto. In meccanica la frattura è la rottura di un materiale a seguito di sollecitazioni che disgregano i legami che uniscono i suoi costituenti. Può essere provocata da cause esterne (per esempio un urto) o da cause intrinseche; in entrambe i casi le forze che legano le molecole o gli atomi del materiale sono inferiori a quelle esercitate sul materiale stesso. La probabilità di rottura è funzione della struttura, delle caratteristiche e dello stato del materiale; altri fattori predisponenti sono la temperatura di esercizio, le modalità di applicazione delle sollecitazioni, le condizioni ambientali.
La rottura può essere intergranulare (si propaga lungo i bordi dei grani che compongono il materiale) o transgranulare (si propaga attraverso i grani). Talvolta si verificano rotture miste. Le fratture intergranulari si devono alla decoesione dei grani cristallini in corrispondenza del bordo del grano. La decoesione può essere causata da precipitazione di fasi fragili; segregazione elementi infragilenti; infragilimento da parte di ambienti aggressivi (es. idrogeno negli acciai, ammoniaca negli ottoni); corrosione. Tra le zone più soggette a rottura c’è il perimetro delle linguette easy-open; in loro corrispondenza possono verificarsi effetti di intaglio e sforzi residui di trazione che si sommano ai carichi esterni.
La tensocorrosione
È un fenomeno molto studiato ma di difficile soluzione. Le prime testimonianze di ricerca in tal senso risalgono agli inizi del ‘900 e si riferiscono alla rottura di casse contenti munizioni in ottone in dotazione all’esercito britannico. Il fenomeno si verificò in India, durante la stagione dei monsoni. Chi indagò dedusse che la situazione era stata aggravata dall’aver conservato le casse nei pressi delle stalle. Da allora uno dei test per valutare la resistenza degli ottoni al SCC (Stress Corrosion Cracking o tensocorrosione) è la conservazione in atmosfera ammoniacale. Le ricerche si sono intensificate negli anni ’60 in concomitanza con la costruzione di navicelle spaziali. A lungo si è ritenuto che la tensocorrosione fosse determinata da un’unica causa comune, oggi si sa che le cause e le modalità di avanzamento delle fratture sono molte e diverse. Lattine e coperchi per bevande sono anch’essi soggetti a SCC, insidioso attacco all’alluminio che compromette la qualità del contenitore. Il fenomeno prende solitamente il via dal perimetro della linguetta easy – open soprattutto quando la lattina non è ben asciutta o è conservata in ambienti umidi. La reazione chimica che si determina indebolisce il metallo residuo. L’azione corrosiva, unita alla pressione interna della lattina e ai tensionamenti creatisi durante la fabbricazione del contenitore possono causare l’apertura dei quest’ultimo. La corrosione è favorita dalla presenza di sali (ioni cloro, zolfo, alidi). Una delle fonti più pericolose è l’acqua utilizzata per sciacquare le lattine dopo il riempimento. La rottura di una lattina in un fardello o su un bancale innesca la corrosione nelle lattine circostanti. A temperatura ambiente, una lattina contenente un soft drink gassato ha una pressione interna di circa 370 kPa, dovuta ai gas presenti nello spazio di testa in equilibrio con la CO2 sciolta nella bevanda. Tale pressione tende a deformare il coperchio e lo sottopone a sollecitazioni di trazione biassiale. La linguetta dei coperchi easy open si ottiene intervenendo, con una fustella della forma prescelta, sulla parte esterna del coperchio già protetto dal coating. Lo spessore dell’alluminio diminuisce in corrispondenza del perimetro della zona indebolita e nel punto minimo è pari al 35 – 40 % dello spessore iniziale.L’operazione genera delle deformazioni per compressione. Spesso l’SCC prende il via dal punto di giunzione per lo strappo della linguetta e si propaga in profondità dall’esterno verso l’interno del materiale. All’indebolimento causato dalla fustellatura si sommano altri tre fattori predisponenti l’SCC: una lega suscettibile a questo fenomeno, condizioni ambientali favorevoli, tensioni del metallo. Il profilo di deformazione del metallo in corrispondenza dell’area fustellata presenta un gradiente di compressione che diminuisce a partire dalla zona di fustellatura fino al metallo non deformato. Per una data geometria dell’indebolimento per ricavare l’easy open (larghezza ed angolatura) la deformazione laterale è inversamente proporzionale allo spessore residuo. Più l’easy open è sottile più aumentano la deformazione e gli stress laterali residui.
La pressione interna
Per garantire la resistenza durante movimentazione, stoccaggio e trasporto è necessario instaurare una pressione interna alla lattina. Tale pressione dipende da un insieme di fattori; oltre alle già citate quantità di CO2 e pressurizzazione, contano molto anche la natura del prodotto (zuccherato o diet), le dimensioni dello spazio di testa e la temperatura. La pressione interna è direttamente proporzionale alla temperatura, al crescere della temperatura aumenta la pressione dei gas contenuti nello spazio di testa (che resta sostanzialmente costante) e diminuisce la quantità di CO2 disciolta. La CO2 si scioglie più nelle bevande zuccherate che nelle diet. Nelle lattine dei soft drink tradizionali la pressione interna è inferiore a quella delle lattine delle bibite diet soprattutto per temperature prossime a quelle di pastorizzazione e superiori. Le lattine per bevande sono solitamente progettate per resistere ad una pressione di almeno 620kPa. In considerazione del minore contenuto di CO2, la pressione interna delle lattine di birra è in genere inferiore a quella delle lattine di soft drink; la birra ha mediamente una carbonatazione di 2,8 volumi di CO2 per volumi di liquido, contro i 3,6 – 4,0 dei soft drink. Bottiglie e lattine delle birre di produzione industriale sono pastorizzate a temperature intorno a 60°C, la pressione interna della lattina durante la pastorizzazione può avvicinarsi a 620 kPa.
Le caratteristiche delle fratture
L’SCC è raro nelle lattine di prodotti pastorizzati, probabilmente a causa della autoasciugatura dei contenitori caldi dopo la pastorizzazione. Nelle leghe di alluminio le fratture da tensocorrosione sono prevalentemente intergranulari, anche se, in particolari condizioni ambientali, sono state talvolta individuate anche rotture transgranulari. Nel settore lattine le rotture transgranulari si verificavano soprattutto nei coperchi SOT (Stay On Tab), mentre nei coperchi LOE (Large Opening End) si sono riscontrate sia rotture intergranulari, sia rotture transgranulari, in proporzione variabile in funzione delle diverse condizioni ambientali. Le fratture hanno quasi sempre la forma di un ventaglio, che avanza attraverso la struttura dei granuli dell’esterno verso l’interno dello spessore del coperchio, interessando il 75% – 80% dello spessore residuo. Le fratture si propagano contemporaneamente da diversi punti di innesco.
Nelle lattine con easy – open SOT, l’innesco della frattura è quasi sempre in posizione ore 4 o ore 8, prendendo come riferimento (ore 12) il rivetto di giunzione dell’anello a strappo e l’SCC è prevalentemente transgranulare. Nelle lattine con easy – open LOE l’innesco è prevalentemente ad ore 6 e le fratture sono miste, transgranulari e intergranulari, con prevalenza dell’una o dell’altra forma in funzione del grado di stress esercitato sull’innesco. All’aumentare dello stress aumenta la diffusione intergranulare. Data la criticità della fustellatura per la formazione della linguetta easy open la ricerca si sta indirizzando verso modifiche a tale processo o della forma della linguetta stessa.