Criticità del Reg. (UE) n. 1169/2011 

A quasi quattro anni dalla pubblicazione e a sei mesi dall’entrata in vigore, il Reg. (UE) n. 1169/2011 finalizzato a disciplinare le informazioni da fornire obbligatoriamente ai consumatori fa ancora discutere. Saranno necessarie ulteriori norme di attuazione da parte della Commissione e dei singoli Stati.

Reading a nutrition label on food packaging
Reading a nutrition label on food packaging

Il 13 dicembre 2014 è scattato l’obbligo di adeguamento alle disposizioni del Regolamento UE n° 1169/2011, del 25 ottobre 2011, testo unico per tutti gli Stati UE finalizzato a disciplinare le informazioni (etichettatura, presentazione, pubblicità e indicazioni nutrizionali degli alimenti) da fornire obbligatoriamente ai consumatori.

Il Regolamento modifica i Regolamenti n. 1924/2006/CE e n. 1925/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio; abroga la Direttiva 87/250/CEE della Commissione, la Direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la Direttiva 1999/10/CE della Commissione, la Direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le Direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il Regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione. Di conseguenza sono sostituiti il D.Lgs 77/1993 sull’etichettatura nutrizionale degli alimenti e il D. Lgs 109/1992 sull’etichettatura, presentazione e pubblicità degli alimenti.

Alcuni punti che hanno presentato delle criticità e sui quali attualmente si discute meritano qualche approfondimento.

La responsabilità

L’articolo 8 del Regolamento tratta della “responsabilità”. Ma che cosa si deve intendere, nello specifico, per responsabilità? La risposta viene fornita dalla circolare del Ministero dello Sviluppo Economico, datata 7/10/2014, che precisa: “La responsabilità disciplinata dall’articolo 8 del Regolamento afferisce la sola responsabilità delle informazioni sugli alimenti. Esistono poi responsabilità della violazione di altre norme – in primis – la violazione della disciplina afferente la produzione e la sicurezza alimentare, di cui al Reg. 178/2002 e al cosiddetto “Pacchetto Igiene” e sottoposte ad apposita disciplina sanzionatoria – che non rientrano nell’accezione di “responsabilità” come disciplinata dall’articolo 8 del Regolamento.

Nel Regolamento: “operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti” (paragrafo 1) è una definizione che identifica il soggetto responsabile delle violazioni al paragrafo 2, il che non esclude che vi siano ulteriori responsabilità delle informazioni sugli alimenti in carico ad altri operatori, relative alle violazioni degli altri paragrafi dell’articolo 8.”

Le nuove responsabilità degli (altri) operatori

Questo tema è trattato all’articolo 8 del Regolamento; quello che deve essere chiarito è il punto 3, che recita: “Gli operatori del settore alimentare che non influiscono sulle informazioni relative agli alimenti non forniscono alimenti di cui conoscono o presumono, in base alle informazioni in loro possesso in qualità di professionisti, la non conformità alla normativa in materia di informazioni sugli alimenti applicabile e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali.”

Il termine generale “operatori” non è definito nel Regolamento, ma dalla lettura del Regolamento stesso è evidente che comprende una vasta gamma di soggetti, che vanno dai produttori, agli importatori, ai confezionatori, ai distributori, ai venditori. Del resto, secondo il regolamento CE 178/2002, “operatore del settore alimentare è la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo.”

Lo stesso articolo 8, al punto 1, tuttavia specifica che: “L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione”.

Non tutti gli operatori alimentari hanno compiti che li obbligano o comunque permettono loro di influire sulle informazioni relative agli alimenti: vi sono distributori e venditori che non hanno tale compito.

Tuttavia, il Regolamento presume che essi dispongano di un livello di professionalità sufficiente per riconoscere se le informazioni sull’alimento che trattano siano conformi alla vigente normativa.

Nell’ipotesi che, anche presuntivamente, verificano o anche soltanto ritengano che vi sia una non conformità delle informazioni (a maggior ragione, ove ne constatino la mancanza), il Regolamento impone loro di non fornire l’alimento al compratore o al consumatore.

Vorremmo sottolineare che non si tratta soltanto del mancato rispetto delle norme sull’etichettatura della confezione.

Nel caso di alimenti sfusi?
Vi sono alimenti che sono offerti in vendita al consumatore finale o alle collettività sfusi (senza preimballaggio) oppure sono incartati sui luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preincartati per la vendita diretta. In questo caso è comunque obbligatoria, in base all’art. 44, la fornitura delle indicazioni di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettera c) del Regolamento. E non è poca cosa; queste indicazioni (che quindi devono essere note all’operatore) sono:

  • la denominazione dell’alimento;
  • l’elenco degli ingredienti;
  • qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata;
  • la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;
  • la quantità netta dell’alimento;
  • il termine minimo di conservazione o la data di scadenza;
  • le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego;
  • il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare di cui all’articolo 8, paragrafo 1;
  • il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto;
  • le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento;
  • per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo;
  • una dichiarazione nutrizionale.

 

Indicazione della sede dello stabilimento di produzione

Un punto sul quale si è molto discusso è la mancanza, nel nuovo Regolamento, di una norma che imponga l’indicazione, in etichetta, della sede dello stabilimento di produzione. Difatti il Regolamento, all’art. 9, precisa che tra le indicazioni obbligatorie vi sono:

  • il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione;
  • il paese d’origine o il luogo di provenienza nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di produzione.

Non vi è quindi l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione, come viceversa era previsto dalla normativa italiana del 1992. La questione ha suscitato molte polemiche sia tra i consumatori, sia tra molti produttori e player della grande distribuzione. L’indicazione dello stabilimento di produzione è ritenuta necessaria al fine di tutelare il Made in Italy: in mancanza, un’impresa con sede legale in Italia potrebbe effettuare la produzione all’estero senza che questo risulti dall’etichetta.

La dubbia stesura dei due articoli (art. 9 e art. 26) suggerisce l’opportunità che l’obbligo, previ accordi con l’UE, venga ripristinato; in tal senso il 21 dicembre il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, ha chiesto al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi (competente sul tema della trasformazione, mentre al Mipaaf spetta il tema relativo all’origine degli alimenti) di espletare i passi necessari a ripristinare l’obbligo di indicazione dello stabilimento. D’altro canto, lo stesso regolamento UE 1169/11 prescrive (all’articolo 26.2.a) il dovere di indicare il paese di origine o il luogo di provenienza dell’alimento ogni qual volta la sua omissione possa indurre in errore il consumatore sulla sua effettiva origine

Le sanzioni
Nel Regolamento non sono definite le sanzioni che rimangono demandate ai singoli Stati. Per quanto riguarda l’Italia, il Ministero dello Sviluppo Economico, con circolare 6 marzo 2015, ha precisato che nell’ambito del Decreto legislativo 109/1992, norma nazionale in materia di etichettatura, resta tuttora in vigore l’articolo 18 che disciplina le sanzioni applicabili alle disposizioni della normativa nazionale, e che sarà abrogato solo con l’adozione di un nuovo decreto legislativo recante il quadro sanzionatorio delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011. La circolare chiarisce il raccordo tra le disposizioni del regolamento dell’Unione e quelle del D.Lgs. 109/1992 sulla base della tabella di concordanza allegata alla circolare stessa. Per esempio, stabilisce che la violazione delle prescrizioni relative all’ Art. 21 e Allegato II del nuovo Regolamento (Etichettatura di alcune sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze) corrisponde alla violazioni delle prescrizioni relative all’ Art. 5 (Ingredienti, c. 2-bis, 2-ter, 2-quater e Allegato 2 sezione III) del D.Lgs. 109/1992 e viene pertanto sanzionata secondo quanto prescritto dall’Art. 18.3 del decreto legislativo. Ma alcuni studiosi della materia hanno osservato che vi è contraddizione con il principio di stretta legalità, sancito dall’art. 25 della Costituzione della Repubblica Italiana. Tale principio – declinato sia nel codice penale sia nella legge 689/1981, sul procedimento sanzionatorio amministrativo – esclude la possibilità di applicazione delle norme “per analogia”: il fatto che dà luogo all’applicazione della pena deve essere previsto in modo “espresso” in un atto avente forza di legge. E ne concludono che ci troviamo di fronte a una “vacatio legis”.

Gli allergeni

Per quanto riguarda i vini e i prodotti vitivinicoli in generale, vale il Regolamento di esecuzione (UE) n. 579/2012 della Commissione del 29 giugno 2012 che modifica il regolamento (CE) n. 607/2009 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio, per quanto riguarda le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l’etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli.

Il Regolamento stabilisce, all’art. 1, che ai fini dell’indicazione degli ingredienti di cui all’articolo 6, paragrafo 3 bis, della direttiva 2000/13/CE, i termini riguardanti i solfiti, il latte e i prodotti a base di latte, le uova e i prodotti a base di uova, che devono essere utilizzati, sono quelli che figurano nell’allegato X, parte A del Regolamento CE n. 607/2009.

Si tratta di allergeni; mentre per l’anidride solforosa le norme riguardanti l’indicazione in etichetta sono consolidate, altrettanto non può dirsi degli altri allergeni.

La nomenclatura è indicata nel citato regolamento (ad esempio «latte», «derivati del latte», «caseina del latte» o «proteina del latte»), ma si pongono problemi analitici e di concentrazione limite.

Nel vino possono essere presenti residui di albumine e caseine, come conseguenza delle operazioni di chiarificazione.

L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), allo stato, non ha potuto escludere con certezza la presenza nel vino di residui di albumine e caseine in grado di provocare reazioni avverse, pur deboli, in soggetti allergici a latte e uova.

Mentre per i solfiti l’obbligo di indicazione in etichetta della presenza nasce quando la quantità totale di anidride solforosa supera i 10 mg/l, per i residui di albumine e caseine il riferimento va cercato nella sensibilità del metodo di rilevamento.

Il metodo analitico ELISA, autorizzato dall’OIV e generalmente adottato, fissa per l’uovo e derivati e per il latte e derivati, il limite di rilevabilità a un valore di 0,25 mg/l.

Conclusioni

Benchè i Regolamenti UE non richiedano di essere recepiti negli Stati dell’Unione in quanto hanno diretta validità, appare evidente che saranno necessarie sia ulteriori norme di attuazione da parte della Commissione, sia norme nazionali.

Ulteriori chiarimenti possono essere reperiti consultando il documento del 31 gennaio 2013, dal titolo “Questions and Answers on the application of the Regulation (EU) N° 1169/2011 on the provision of food information to consumers” rilasciato dalla Direzione generale per la sanità e sicurezza alimentare della UE, disponibile all’indirizzo http://ec.europa.eu/food/food/labellingnutrition/foodlabelling/docs/qanda_application_reg1169-2011_en.pdf.