La carbonatazione di una bevanda ha due diverse origini: la fermentazione da lieviti, come avviene nella birra e nei vini frizzanti; l’aggiunta di CO2 prima dell’imbottigliamento, è il caso per esempio delle bibite e dell’acqua minerale gassata. La CO2 è inoltre utilizzata per pressurizzare e svuotare i serbatoi, nonché per neutralizzare le acque del processo di lavaggio delle bottiglie. A pressione atmosferica è un gas moderatamente solubile in acqua e rende quest’ultima debolmente acida, grazie alla formazione di acido carbonico. L’acido carbonico si dissocia in ioni solvatati idrogeno e bicarbonato; una piccola quantità di HCO3 – subisce una seconda dissociazione formando uno ione idrogeno e uno ione carbonato. Da sempre negli alcolici la carbonatazione contribuisce alla pienezza del gusto, esalta i sapori, forma la schiuma; nei soft drink fa ritenere la bevanda più fredda del reale e ne intensifica la fragranza sia perché estrae i componenti aromatici, sia perché quando le “bollicine” scoppiano in bocca, gli aromi sono spinti a forza nelle cavità nasali. Nel 2009 sono stati scoperti i meccanismi cellulari e molecolari che determinano la percezione della CO2 da parte delle papille gustative.
Il sapore delle bollicine
L’uomo è in grado di distinguere cinque gusti fondamentali: dolce, amaro, salato, aspro e umami (in giapponese significa “saporito” ed è il sapore del glutammato monosodico, riscontrabile nella carne, in alcuni formaggi e in generale in cibi ricchi di proteine). La capacità di distinguere i sapori è importante dal punto di vista evolutivo: consente, infatti, di riconoscere le sostanze “commestibili” da quelle da evitare, perché potenzialmente dannose, acerbe o alterate. La percezione dei sapori è una chemotrasduzione, ossia un processo che converte uno stimolo chimico esterno a una cellula in una risposta cellulare interna.
L’interazione tra le molecole presenti nei cibi e i recettori apicali delle cellule gustative le depolarizza, causando il rilascio di neurotrasmettitori, a livello delle sinapsi, tra le cellule e i neuroni gustativi primari. Le informazioni sono trasmesse alle stazioni centrali del sistema nervoso e raggiungono la corteccia gustativa primaria, consentendo la percezione cosciente del gusto. La chemotrasduzione avviene anche in corrispondenza di cellule nocicettive (sensibili a stimoli chimici) determinando sensazioni dolorifi che e in corrispondenza di cellule che fungono da sensori delle molecole di CO2 o O2. Quest’ultimo fenomeno contribuisce a tenere sotto controllo due variabili la cui concentrazione è essenziale per la sopravvivenza dell’organismo.
Ogni sensazione gustativa è mediata da gruppi di cellule dedicate. I recettori di dolce e umami appartengono al gruppo delle GPCR (G Protein Coupled Receptors) di classe C, caratterizzate da un lungo dominio extracellulare e sono indicati con la sigla T1R. Il dolce è veicolato da un solo recettore (eterodimero T1R2+T1R3) in grado di riconoscere tutte le sostanze dolci, lo stesso dicasi per l’umami il cui recettore (eterodimero T1R1+T1R3) riconosce il glutammato e l’aspartato. I recettori per l’amaro (T2Rs) sono più di trenta. Si tratta di GPCR (recettori accoppiati alle proteine) con il dominio extracellulare corto. Per salato e acido, invece, i recettori sono canali ionici: il primo è sensibile agli ioni Na+ e, in misura minore, ad altri ioni; il secondo è sensibile agli ioni H+.
Proprio per l’acido diversi ricercatori concordano sul fatto che il canale ionico sia di tipo TRP (Transient Receptor Potential) e per questo l’hanno indicato come PKD2L1. Solo nel 2009 si è scoperto che il senso del gusto risponde in modo specifi co anche allo stimolo della CO2. A tale stimolo rispondono anche altri organi di senso: le cellule della nocicezione, dell’olfatto e i chemio-recettori essenziali per la regolazione della respirazione. Lo studio sulle sensazioni gustative provocate dalla CO2 è stato condotto valutando le risposte elettrofi siologiche dei recettori del gusto agli stimoli derivanti dal contatto con le “bollicine”. Il sistema gustativo ha mostrato una consistente, dose- dipendente e saturabile risposta a tali stimoli provocati da bibite gassate, CO2 disciolta in soluzioni tampone e stimolazioni dirette con CO2 gassosa. Non vi è stata invece risposta in caso di stimolazione con aria compressa.
È risultato che nell’individuazione della CO2 intervengono le cellule che inducono una risposta PKD2L1 e che il gene Car4, uno dei geni che partecipano alla percezione dell’aspro, codifica un enzima coinvolto nella rilevazione della concentrazione della CO2 nel corpo. L’enzima interviene della conversione della CO2 in ioni bicarbonato e ioni H+ liberi, e poiché il bicarbonato non è in grado di stimolare i recettori del gusto, si ritiene che tale stimolo sia da imputare agli ioni idrogeno. Il gene Car4 potrebbe anche essere coinvolto nel mantenimento del pH delle papille gustative e il suo funzionamento come rivelatore di carbonatazione potrebbe essere solo una conseguenza accidentale della sua funzione primaria. Si è inoltre rilevato che la risposta alla CO2 non è esattamente sovrapponibile alla risposta a una sostanza aspra, potrebbero quindi essere coinvolti altri sensi, per esempio stimoli meccanici provocati dalle bollicine. Il regno animale potrebbe avere sviluppato sensori per la CO2, per riconoscerne le fonti, in particolare per individuare i cibi fermentati potenzialmente pericolosi per la salute. Un’ipotesi avvalorata dalla recente scoperta della capacità di alcuni insetti di rispondere in modo rilevante a tali stimoli.