L’elisir di lunga vita del Birrificio Angelo Poretti

La vicenda di gusto e business del Birrificio Angelo Poretti di Induno Olona (Varese) ha avuto inizio grazie alla curiosità e all’ingegno dell’omonimo fondatore, un impiegato classe 1829 del personale viaggiante delle Ferrovie dell’impero austro-ungarico. La professione gli dava la possibilità di visitare le principali capitali e città dell’Europa orientale e assaggiare via via le specialità birrarie di ognuna scoprendone le ricette e le varietà e approfondendo così la sua conoscenza della materia. La passione si trasformò definitivamente in un progetto imprenditoriale il giorno di Santo Stefano del 1877 quando dal suo primo pionieristico impianto sgorgò finalmente la prima cotta. Lo stabilimento produttivo è stato inaugurato sulle strutture di una preesistente amideria: già predisposta alle attività industriali, offriva frescura e le sue grotte erano l’ambiente ideale per la conservazione del ghiaccio.

Campioni del mondo

La prossimità della sorgente d’acqua detta “Fontana degli ammalati” in virtù della sua salubrità è stata l’altro elemento determinante. Tuttora la sorgente sita in località Cinque pini è da considerarsi un ingrediente essenziale per le diverse linee di birra realizzate presso il quartier generale. Attivo a tutto campo anche nella vita sociale e politica del suo territorio, Poretti portò la sua creatura all’Expo internazionale di Milano del 1881 e alla sua morte avvenuta un ventennio più tardi alle redini del brand iniziarono a succedersi più titolari, fra familiari e investitori esterni. Fra questi, la celebre casata del tessile Bassetti, proprietaria dell’altro marchio brassicolo Splügen con il quale le sorti dell’azienda indunese restarono a lungo intrecciate. L’autentica svolta si è compiuta fra gli anni Settanta dello scorso secolo e l’inizio del nuovo millennio, dapprima con le relazioni intessute con il gruppo United Breweries che riunisce le danesi Carlsberg e Tuborg. E in un secondo momento con l’acquisizione completa da parte di quest’ultimo colosso globale. «Possiamo pertanto affermare – ha detto a Imbottigliamento la corporate affairs manager di Carlsberg Italia Maria Grazia Fumagalloche il birrificio abbia due fondatori: il capostipite Angelo Poretti e il danese Jacob Christian Jacobsen. Spillò la sua prima pinta nel 1847 e continuò a perseguire per tutta la vita l’obiettivo della perfetta qualità. Dalla sua ininterrotta ricerca sulle tecniche e le materie prime – i cui risultati furono condivisi con il partner lombardo – sono sorte la scoperta della scala del pH e quella del lievito puro per la realizzazione di birre a bassa fermentazione. Jacobsen è stato il primo a creare una fondazione (Fondazione Carlsberg, appunto) a vocazione commerciale che tuttora detiene in seno al gruppo il 30% delle quote e il 70% dei voti».

L’impianto di imbottigliamento riempie un totale di 37.000 bottiglie l’ora o 250 ettolitri destinati al formato da 66 cl e altri 125 che finiscono nel formato da 33 cl

Apripista del green

La quasi maniacale attenzione nei confronti dell’eccellenza qualitativa si è tradotta nel corso del tempo in una spiccata sensibilità verso le politiche e le iniziative tese alla riduzione dell’impatto ambientale prima che diventassero una tendenza generalizzata. In casa Carlsberg e quindi anche nei reparti di Angelo Poretti si esprimono con la cura delle risorse idriche e la relativa minimizzazione degli sprechi e delle emissioni, attraverso le policy di sicurezza del prodotto e dei dipendenti e quelle di gestione dei rifiuti da imballaggio e riciclo del packaging. L’innovazione tecnologica ha fatto e continua a fare la sua parte. «Nel 2011 – ha ricordato Fumagallo – abbiamo lanciato il sistema DraughtMaster™ che prevede l’utilizzo di fusti in PET in luogo dei tradizionali esemplari in acciaio, senza CO2 aggiunta. Dal 2024 i fusti – del 43% più leggeri e trasportabili rispetto ai corrispettivi metallici e studiati in modo da garantire che la birra venga versata sino all’ultima goccia – sono in R-PET al 50%. Ogni contenitore (da 20 litri) è fatto per essere avviato alla raccolta differenziata e della novità l’Italia è stata apripista e prima sperimentatrice di successo. Oggi soltanto il 3% dei fusti è in inox».

La volontà di innovare e rinnovarsi nel pieno rispetto per l’ecosistema è trainata dagli investimenti: 30 milioni di euro sono stati stanziati nel 2008 per il rinnovamento tecnologico dell’originaria sala cottura.