Teo Musso e il suo Baladin: dove tutto ebbe inizio

Piozzo, paesino nelle Langhe cuneesi. Dove tutto odora di vino, o dovrebbe. Perché nell’immaginario comune le Langhe sono colline consacrate alla viticoltura, che ne disegna il paesaggio affascinante, con fierezza e dolcezza al contempo, talora quasi con prepotente onnipresenza. Nelle Langhe è nato e cresciuto – ed è rimasto, sia pure dopo aver girato il mondo – un personaggio eclettico e vulcanico come Teo Musso. Lui, che adolescente inizia a bere birra, quella in stile lager, quasi per un istinto di ribellione al padre, viticoltore, che a tavola lo invitava a bere vino e che lo avrebbe voluto con sé nei campi. Lui che nel 1986 a Piozzo, in una vecchia osteria chiusa ricava una birreria, Le Baladin (letteralmente “il cantastorie” in francese antico), dove propone 200 birre diverse provenienti da tutta Europa. Quello stesso Teo che poi, però, dopo le esperienze fatte presso alcuni birrifici belgi, decide che la birra vuole farla a modo suo e nel 1996 in un garage adiacente all’originaria birreria realizza il suo primo impianto di produzione, dà vita al Brew Pub Le Baladin e qui propone soltanto le prime due di quella che nel tempo sarebbe diventata una gamma ampia e diversificata di birre: tutte rigorosamente artigianali.

Oggi in Teo Musso il fenomeno della craft beer italiana vede il padre fondatore.

Abbiamo incontrato Teo nel suo regno, a Piozzo, con lo scopo principale di focalizzarci sull’impianto hi-tech con cui qui, dal 2016, si produce birra artigianale. Abbiamo chiacchierato con lui, lasciandoci trascinare dal suo magnetismo dirompente ma al contempo garbato ed estremamente concreto. E nella visita al birrificio siamo stati affiancati da persone appassionate e preparate come Fabio Mozzone, marketing manager, Paolo Fontana, mastro birraio, responsabile di produzione del birrificio e braccio destro di Teo Musso, e Francesco Visconti, responsabile impianti e responsabile di produzione soft-drink.

Orgogliosamente agricoli

«Il primo messaggio che vogliamo “passi” a chi viene a visitarci – spiega Fabio Mozzone – è il fatto che siamo orgogliosamente un birrificio agricolo, dal gennaio 2012. Questo è il motivo per cui vedete quel silo collocato nella parte centrale del cortile di ingresso. Produciamo autonomamente oltre il 95% delle materie prime necessarie per le nostre birre e laddove ciò non è possibile le reperiamo da filiere agricole italiane. Dichiariamo nell’etichetta di ciascun prodotto la sua percentuale di italianità, che talora sembra quasi una provocazione quando, per esempio, è espressa come “99,6%”. Se questo accade, significa che uno degli ingredienti in Italia proprio non può essere prodotto. È il caso del pepe della Rock’n’Roll o della resina di mirra nella ricetta di Nora». Attualmente sono 300 gli ettari (tra Umbria e Basilicata) coltivati a orzo da Baladin e 9 gli ettari a luppolo, cui si aggiungono alcuni ettari destinati alla produzione dei cereali “crudi” in Piemonte. «L’obiettivo è quello di raggiungere l’auto-produzione pressoché totale di materie prime entro il 2022», sottolinea Mozzone.

Dalla macinazione alle cotte

«Abbiamo scelto di avere solo fornitori italiani, fatta eccezione per Siemens», specifica Fabio Mozzone all’inizio del percorso che si snoda attraverso le diverse zone di produzione del birrificio. Quello stesso percorso che, sette giorni su sette, tutti coloro che desiderino visitare il Birrificio Baladin si trovano a fare, avvolti dai colori caldi delle pareti, tutti giocati sui toni del verde, giallo, marrone e azzurro (la terra, il cielo), che contrastano con l’acciaio degli impianti. «Questo perché volevamo introdurre nel racconto della birra artigianale italiana anche l’indotto».

«I nostri orzi – spiega Paolo Fontana – vengono maltati presso l’Agroalimentare Sud di Melfi (PZ), dove sono tenuti separati da tutti gli altri orzi trattati in malteria. Quando giungono a Piozzo, vengono scaricati nel silo all’ingresso del birrificio e da qui prelevati per essere macinati tramite un mulino a quattro rulli. Il silo di accumulo del macinato è sotto battente di azoto, sia per questioni di sicurezza, stante la grande produzione di polveri, sia per evitare ossidazioni della materia prima. Tutto il processo è completamente automatizzato».

La sala cotte, adiacente al locale di macinazione e anch’essa completamente automatizzata, si compone di quattro tini: uno per la miscela, uno per la filtrazione e due per la bollitura, con gli ultimi due che possono lavorare contemporaneamente o in successione, al ritmo di 50 ettolitri per cotta. L’impianto può arrivare a sei cotte giornaliere, ma oggi lavora al ritmo di tre-quattro, a seconda delle esigenze produttive, ed è studiato per produrre a regime 50.000 ettolitri di birra l’anno. Su di esso inoltre sono state realizzate customizzazioni per consentire l’aggiunta di spezie e luppoli, a freddo e in bollitura. «Le ricette – prosegue Paolo Fontana – sono salvate in un PLC. L’impianto è in grado di gestire in maniera completamente automatica le temperature di ammostamento, gli spostamenti dell’impasto, le filtrazioni, i prelievi di acqua e gli scarichi». Il materiale organico di scarto viene conferito alla Rete Agricola Baladin e diventa o mangime o biomassa per produrre biogas, mentre le acque di lavaggio vengono sottoposte a depurazione biologica e utilizzate per l’irrigazione.

Vuoi continuare a leggere?

Se sei GIA’ abbonato accedi all’area riservata 

Se NON sei abbonato vai alla pagina degli abbonamenti