Sei vini per sorprendere ed emozionare

Le vigne sono veri e propri giardini in cui ogni pianta è curata e accudita con straordinaria passione – nel rispetto del terreno, del microclima, della pianta e della biodiversità del luogo – per ottenere il frutto migliore
Le vigne sono veri e propri giardini in cui ogni pianta è curata
e accudita con straordinaria passione – nel rispetto del terreno,
del microclima, della pianta e della biodiversità del luogo – per ottenere il frutto migliore

Obiettivo degustare un vino e tornare coi sensi alla vigna e al suo terroir…

ImmagineIl mio progetto era di produrre vini di grande qualità nel sud Italia; perché in Toscana sì, in Piemonte sì, in altre parti d’Italia sì, ma non qua? Vini di qualità partendo da vitigni autoctoni: è una curiosa anomalia che i vini italiani più costosi e di pregio vengano prodotti con uve non italiche… Tre vini bianchi campani, quindi: la Campania è forte su questo. Tre vini estremamente interessanti ottenuti da uve di vitigni autoctoni regionali, il Fiano di Avellino, il Greco di Tufo, il Falanghina, e ispirati ai vini alsaziani perciò con una densità, una pienezza di corpo ma anche una freschezza, un’acidità e una longevità; vini impeccabili dal punto di vista sensoriale, privi di difetti. I vini bianchi hanno permesso a Quintodecimo di crescere e consolidarsi e affermarsi, ma il Imbottigliamento 19 vero progetto, quello più intimo e sentito è di produrre un grande vino rosso: il Taurasi DOCG. La scelta di fondare l’azienda proprio a Mirabella Eclano non è stata casuale, l’ho voluta nell’areale del Taurasi DOCG. Qui si coltiva solo Aglianico, siamo quindi in una situazione di monovitigno, simile a quella in Borgogna. Sono stati creati due cru per due grandi vini, il primo chiamato Vigna Quintodecimo Taurasi Riserva DOCG, l’altro Vigna Grande Cerzito Taurasi Riserva DOCG. Due vini che nascono su terroir completamente diversi, sebbene a 700-800 m in linea d’aria l’uno dall’altro, il primo da una vigna esposta a nord-ovest coltivata su suolo argilloso, il secondo da una vigna esposta a sud su suolo nero e vulcanico. C’è poi il secondo vino, il cosiddetto vino base che è stato chiamato Terra D’Eclano ed è un’Irpinia Agliano DOC ottenuto con la rimanente parte dell’uva di Aglianico.

Quindi: sei vini in tutto! C’è oggi grande attenzione alle esigenze del mercato. Va lo spumante?

Tutti lo propongono. Rincorrere il momento è un segno di debolezza, a mio avviso. Il consumatore è oggi subissato di offerte, confuso, senza più riferimenti. Servono certezze, pochi riferimenti, precisi. Servono messaggi chiari, trasparenti, veri: tre rossi, tre bianchi! La novità? La nuova annata… Lei è figlio d’arte… … la quarta generazione di vignaioli. Mio padre, Michele  Moio, è un produttore storico campano che negli anni ’50 rilanciò, nella sua azienda di Mondragone, il Falerno, il celebre vino bevuto dagli antichi romani. Già da bambino casa e cantina erano un tutt’uno, mio padre mi coinvolgeva nella sua passione enoica. Dei tre figli io ero quello che “per gioco” studiava… La mia grande passione è sempre stata lo studio: la scuola enologica ad Avellino, poi Scienze Agrarie all’Università di Napoli. Mi ispirava Fisica, altre branche scientifiche, pensavo alla Normale di Pisa, ma tant’è… Scienze Agrarie, come d’altronde la scuola enologica, furono scelte dovute, in qualche modo obbligate, trovai comunque nel corso degli studi di che soddisfare le mie aspirazioni.

La cantina di Quintodecimo è “dentro” la vigna, un aspetto molto importante perché annulla il tempo di latenza tra raccolta e ammostatura. Semplice, piccola, essenziale, senza alcuna tecnologia particolare – è fatta per soddisfare un bisogno intimo più che per stupire
La cantina di Quintodecimo è “dentro” la vigna, un aspetto molto importante perché annulla il tempo di latenza tra raccolta e ammostatura. Semplice, piccola, essenziale, senza alcuna tecnologia particolare – è fatta per soddisfare un bisogno intimo più che per stupire

In che modo?

L’esame d’Industrie Agrarie con il professor Francesco Addeo decretò la svolta nella mia carriera scolastica. Il professore fu piacevolmente colpito dall’esame che sostenni con lui: mi propose una tesi; scoprii poi con il segreto intento di avviarmi alla cattedra di enologia, c’era, infatti, in progetto di scorporare la cattedra d’industrie agrarie nelle branca lattiero-casearia, enologica e olearia. Mi laureai con una tesi sulle proteine del vino, seguì un dottorato di ricerca in biochimica, vinsi il concorso da ricercatore e approdai per cinque anni all’INRA, l’Istituto Francese per la ricerca in Agricoltura di Digione in Francia, dove mi occupai di aromi nel vino. La mia attività di ricerca scientifica sul vino continuava mi emozionava, ma  paradossalmente dedicavo molto del mio tempo al lattierocaseario. Curioso… ero diventato il punto di riferimento a Portici per la didattica del vino, ma mi occupavo parecchio di latte! Vivevo questa situazione come un’anomalia, ma d’altronde il mondo del vino di allora non suscitava in me grande curiosità…

Poi, però…

…le cose cambiarono, cominciò un periodo aureo per il vino in Italia, s’iniziò a far ricerca vera, San Michele all’Adige fu tra gli istituti che sostenne questo nuovo impulso. Quegli anni coincisero con il mio ritorno in Italia…