Il sunto semplice e perfetto della lunga, variegata e gratificante esperienza professionale del professor Luigi Moio è Quintodecimo, l’azienda che in 15 ettari e sei vini sa esprimere appieno la storia di un uomo e della sua passione per l’enologia.
Nel cuore dell’areale della DOCG Taurasi, nella bella e montuosa Irpinia, a Mirabella Eclano, sorge Quintodecimo, 15 ettari di vigneti suddivisi tra i principali vitigni autoctoni della Campania: Aglianico, Fiano di Avellino, Greco di Tufo, Falanghina. A Quintodecimo sembra regnare la perfezione: si fanno sei vini, 3 rossi e 3 bianchi, senza velleità di proporne di nuovi, ma con l’intento preciso a ogni annata di creare quel vino equilibrato, straordinariamente intenso perché pregno di quel terroir da cui nasce l’uva che l’ha generato; le vigne sono veri e propri giardini in cui ogni pianta è curata e accudita con straordinaria passione – nel rispetto del terreno, del microclima, della pianta e della biodiversità del luogo – per ottenere il frutto migliore; la cantina – semplice, piccola, essenziale, senza alcuna tecnologia particolare – è fatta per soddisfare un bisogno intimo più che per stupire. Quintodecimo è un sogno di libertà, è il sogno enoico che il professor Luigi Moio, ordinario di Enologia all’Università degli Studi di Napoli Federico II, presidente della Commissione tecnologia dell’OIV, consulente enologico affermato, ha a lungo cullato, fin dai banchi di scuola, fin dagli anni della ricerca universitaria in Borgogna, durante il suo lungo percorso accademico. Insieme alla moglie Laura, il professor Moio ha plasmato con meticolosa cura un vero e proprio progetto di vita avviato nel 2001, con la forte ambizione di creare grandi vini, purissima espressione dei cru d’origine.
Professor Moio, a Quintodecimo nulla è stato lasciato al caso… Quintodecimo vuole essere la sintesi ambiziosa di una vita trascorsa nel mondo del vino, in qualità di ricercatore, di docente, di enologo.
Quando ho pensato di dar vita a questo sogno – e per questo tanto devo alla passione che mia moglie Laura ha profuso e profonde tutt’oggi nel progetto – volevo realizzare qualcosa di assolutamente verace, volevo che Quintodecimo fosse la testimonianza più limpida e autentica di ciò che per anni ho detto e insegnato sul conto dell’enologia; testimonianza autentica come le mie lezioni “gesso e lavagna”, senza nulla di preconfezionato in powerpoint! Per me sarebbe stato più facile creare un’azienda da 700-800mila bottiglie di vino da vendere a buon prezzo, un’azienda tecnologica, competitiva sui mercati, ma che senso avrebbe avuto? Qui a Quintodecimo si producono 50mila bottiglie l’anno, vini di assoluto pregio. Per farli s’impiega un’uva coltivata in maniera maniacale, nella quale solo i grappoli migliori di ogni ceppo – non più di 4-5 – vengono portati fino alla vendemmia. Questo significa che vinifichiamo un’uva perfetta, immacolata dal punto di vista dell’integrità sanitaria e questo ci permette, per esempio, di non utilizzare anidride solforosa in ammostatura per le uve rosse. Per la coltivazione utilizziamo un’agricoltura biologica di precisione, non impieghiamo prodotti dannosi per la pianta, per l’uomo e l’ambiente, né diserbanti o concimi; la gestione del terreno è completamente meccanica e la fertilità del suolo è sostenuta mediante idonee pratiche agronomiche come inerbimento, trinciatura, sovescio. L’obiettivo è di produrre vini fortemente legati alla terra nella quale le viti vivono e vengono curate dagli uomini.
E in cantina?
Il miglior vino non nasce da un protocollo definito, da una ricetta, ma da un ragionamento frutto di quelle conoscenze scientifiche messe a disposizione dalla ricerca enologica. C’è un percorso preciso dell’uva a Quintodecimo, ragionato… Preselezione dei grappoli con tre passaggi di diradamento, fino ai fatidici 4-5 grappoli per ceppo. L’uva passa poi su un primo tavolo di selezione prima della diraspatura e siccome l’Aglianico è un vitigno geneticamente ricco di tannini, non esistendo alcuna diraspatrice che riesce a evitare la lacerazione dei raspi, utilizziamo un secondo tavolo di selezione in post-diraspatura per eliminare tutti i frammenti del raspo per impedire che questi ultimi macerino per 20 giorni rilasciando tannini che potrebbero compromettere la buona riuscita del vino. Utilizziamo solo pompe peristaltiche per evitare la rottura dei vinaccioli che potrebbero causare processi d’irrancidimento idrolitico. La fermentazione parte velocemente, così come la degradazione malolattica che si completa spontaneamente dopo la fermentazione alcolica. Un grande vino può e deve invecchiare lentamente non velocemente, quindi sarà necessario farlo nascere in modo corretto. Ci sono delle cuvèe di fermentazione, dei serbatoi stretti e alti concepiti per limitare l’estrazione dei tannini, visto la ricchezza in tale componente in queste uve; poi i classici rimontaggi o follature sempre con peristaltiche, l’elevage classico in barrique di non più di tre anni – quindi travasi ogni tre mesi con sanitizzazione della barrique –, i vini, infine, vanno in bottiglia con 35- 40mg massimo di SO2 totale.