Ma dove è la differenza tra un aceto balsamico qualunque e un aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia?
Se per aceto “balsamico qualunque” intende l’aceto balsamico di Modena, assaggiandoli le differenze sono talmente evidenti che non c’è discussione. È noto che le modalità produttive sono diverse e nessun produttore di aceto balsamico di Modena si è mai posto l’obiettivo di produrre un prodotto simile al tradizionale. I “tradizionali” di Modena e Reggio Emilia si ottengono con la trasformazione del mosto cotto in un periodo mai inferiore a 12 anni , mentre l’aceto balsamico di Modena si ottiene nelle quantità desiderate miscelando alcuni ingredienti (mosto concentrato, caramello, aceto di vino ecc.).
Da quanto sopra si deduce che per avere esigue quantità di “tradizionale” sono indispensabili ingenti investimenti per almeno 12 anni, mentre per ottenere il balsamico di Modena è sufficiente l’acquisto delle materie prime al momento opportuno e nelle quantità desiderate. Inoltre, per prodotti Dop come i “tradizionali” tutta la filiera produttiva deve avvenire nell’ambito del territorio provinciale, mentre per i prodotti IGP il vincolo territoriale è legato solo a una fase produttiva.
[box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=”Il disciplinare produttivo e gli obblighi della Dop”]Chiedere la Dop o non chiedere la Dop? Questo è stato il quesito postosi dai produttori reggiani. Le motivazioni che hanno spinto per il sì sono state logiche e di diversa natura. Infatti, dato che appassionati/produttori disponevano di una certa quantità di prodotto che avrebbero potuto commercializzare integrando altre attività e dato che sul mercato veniva commercializzato l’aceto balsamico di Modena già riconosciuto dal 1965, seguendo l’iniziativa dei modenesi che hanno richiesto il riconoscimento escludendo il territorio di Reggio Emilia per non aggiungere anche la denominazione di questa seconda città, anche i produttori reggiani hanno presentato domanda per ottenere il riconoscimento.
Così nel 1987 è stato pubblicato il disciplinare. Redarre il disciplinare non fu cosa facile, a causa della particolarità produttiva del tradizionale che si ottiene per trasformazione del mosto di uve selezionate prodotte nell’ambito provinciale reggiano. Un disciplinare diverso sotto certi aspetti da quello dei cugini modenesi. Venne così deciso di fare individuare le caratteristiche qualitative dei prodotti, prima della loro commercializzazione, a commissioni di assaggiatori “indipendenti” e di adottare il loro insindacabile giudizio. Con il provvedimento del 15 maggio 2000 la Comunità Europea inserì l’Aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia tra i prodotti a Dop, abilitando di fatto i produttori all’utilizzo del relativo simbolo.
A questo punto il consorzio fra produttori di ABTRE venne esonerato dall’incarico di svolgere i controlli perché, a corredo del prestigioso riconoscimento, la normativa prevede che da quel momento: 1) tutti i produttori debbano essere certificati da un ente certificatore terzo autorizzato dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, unico organismo deputato a rilasciare l’attestato di certificazione e l’autorizzazione a produrre solo dopo aver accertato il rigoroso rispetto del disciplinare di produzione; 2) tutte le partite vengano assoggettate a esame analitico da laboratori accreditati ISO/IEC 17025 per verificare che avessero i valori di densità e acidità indicati nel disciplinare di produzione e successivamente ad analisi sensoriale; 3) tutte le attività di imbottigliamento avvengano in presenza dell’organismo di certificazione incaricato di controllare il riempimento delle ampolline, la loro tappatura e sigillatura con ceralacca e, al termine delle operazioni, di consegnare le medesime al produttore dotate dei bollini con la numerazione progressiva che consentisse la tracciabilità del prodotto.
Inoltre, i prodotti giudicati idonei devono essere imbottigliati nella provincia di Reggio Emilia esclusivamente negli appositi contenitori di forma e capacità previste nel disciplinare di produzione; Ed è vietato per l’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia indicare ogni riferimento all’annata di produzione e fosse consentita la citazione “extravecchio” per il prodotto con invecchiamento non inferiore a 25 anni.
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Concetto chiarissimo presidente, ma quale soluzione potrebbe esserci per fare un po’ di giustizia al tradizionale?
Ho riflettuto per capire le motivazioni che rendono difficoltosa la commercializzazione del prodotto: principalmente la mancanza di risorse che sarebbero necessarie per farlo adeguatamente conoscere; le ridotte quantità che non consentono la visibilità necessaria; la commercializzazione del tradizionale insieme a prodotti similari, ma abissalmente diversi. Sono giunto alla conclusione che potrebbe essere utile rendere il tradizionale autoreferenziale. Per ottenere questo risultato l’unico modo è presentare una selezione di prodotti con caratteristiche qualitative particolarmente eccelse, una veste adeguata a un prezzo che lo distingua, come 1.000€ a bottiglia.
Penso che dovrebbe essere un tentativo da realizzare se si considera che: il tradizionale “extra vecchio” viene affinato per oltre 25 anni ma alcuni appassionati dispongono anche di prodotti molto più vecchi; al mondo non ne esistono altri che possano vantare queste particolari caratteristiche di affinamento; nessuno si meraviglia dei costi ben più elevati di bottiglie di vino pregiato e che, anche in questa situazione di crisi, esiste un target che potrebbe non avere problemi ad accaparrarsi un prodotto così prezioso.
Crede quindi che, pagando tanto, il consumatore finale capisca la differenza tra un prodotto da business e uno tradizionale? Ma servirebbero clienti molto ricchi e ben informati sul prodotto. Quali sono le maggiori difficoltà per il settore?
Non sono in grado di avere delle certezze però se esistono commercianti che operano in località turistiche che già vendono non solo i tradizionali ma addirittura dei condimenti preparati in cinque minuti al prezzo di qualche centinaia di euro io penso che offrire un tradizionale adeguatamente selezionato con modalità certificate sarebbe un tentativo da effettuare se non altro per ridurre l’anonimato. Certamente il fatto che, in particolare nelle zone produttive, esista un pregresso commerciale diverso non deporrebbe a favore di questa politica integrativa, ma la mia intenzione sarebbe di offrire prodotti inequiparabili. Per loro fortuna esiste un target molto abbiente in numero più elevato di ciò che appare. Pertanto la questione non si pone. Il problema invece deriva dal fatto che, a causa dell’incapacità economica dei nostri produttori a pubblicizzare il prodotto, la sua notorietà è carente e il motivo per cui il settore è in difficoltà.
Il balsamico di Reggio Emilia rischia quindi l’estinzione?
No, non credo! Ma se i consorzi di tutela e di promozione non cambiano le modalità operative, forse le aziende non si consorzieranno più… Insomma così quello che accade al nostro Paese in politica si verifica anche nelle strutture che hanno obiettivi specifici ma che non riescono a perseguire. Le esigenze delle aziende vanno su determinati binari e le strutture di supporto invece non riescono a percorrere quei binari.
Quanto costa associarsi al consorzio?
Dipende dalla grandezza dell’azienda, perché i costi vengono ripartiti in base alla capacità produttiva dei singoli. La forbice varia tra poche decine di euro a qualche migliaio, all’anno.
Quanto aceto balsamico tradizionale si produce a Reggio Emilia e quante aziende sono associate al consorzio?
E quale è il segreto di questo aceto? Premesso che possono produrre aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia solo i produttori certificati dall’organismo preposto autorizzato dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali il loro numero è superiore alle 70 unità di cui 65 iscritti al consorzio. L’imbottigliamento medio negli ultimi anni è sempre stato di poco superiore a 21/22 mila ampolle da 100 ml, ma nel 2012 il nostro Consorzio ha imbottigliato circa il 50% in meno a causa del fallimento di un suo associato che imbottigliava circa la quantità che è venuta a mancare.
Il prodotto esistente nella provincia di Reggio Emilia è di diverse migliaia di litri, il cui valore complessivo, ottenuto con un calcolo molto approssimativo, è di circa 20 milioni di euro. Le quantità di cui sopra potrebbero consentire un imbottigliamento di 55/ 60.000 ampolle da 100 ml ogni anno. Nel silenzio che avvolge i luoghi dove riposa l’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia il tempo e la passione dell’uomo arricchiscono il prodotto di profumi e sapori, che magicamente si affina, si addensa e diventa unico.
[box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=”Imbottigliamento tradizionale”]Come una volta. La procedura d’imbottigliamento dell’aceto balsamico di Reggio Emilia ha ben poche innovazioni tecnologiche. Le bottigliette poi da 100ml sono davvero piccole e devono essere riempite quasi goccia per goccia, data anche la densità del prodotto. Il produttore che dispone di aceto invecchiato almeno 12 anni ha la possibilità di imbottigliare prelevando dal barile più piccolo di ogni singola batteria al massimo i 2/5 del contenuto. Quando il prodotto è affinato per oltre 25 anni, il prelievo può essere al massimo di 1/5 del contenuto del barile più piccolo.
Il prodotto prelevato viene versato in un contenitore di plastica alimentare o di acciaio e viene consegnato all’organismo di certificazione (di seguito OdC) insieme a un modello nel quale sono indicate le quantità e i numeri dei barili dai quali sono stati effettuati i prelievi per consentire al citato organo, che ha per ogni produttore l’esatta situazione aziendale, di verificare la correttezza operativa. Quando l’OdC riceve il prodotto assegna un numero alla partita, preleva quattro campioni che verranno contraddistinti dal suddetto numero e provvede alla sigillatura sia del contenitore che dei campioni. Un campione è utilizzato per le analisi chimiche effettuate da laboratorio abilitato in conformità alle normative comunitarie, che verificherà se la densità e l’acidità hanno valori conformi al disciplinare. Un altro campione è utilizzato per l’analisi sensoriale (soltanto se quella chimica è conforme).
Due campioni sono custoditi dall’OdC e dal produttore, da utilizzare in caso di eventuali contestazioni. L’OdC procederà poi alla nomina per estrazione dall’albo degli assaggiatori abilitati di un panel di cinque assaggiatori più un sesto di riserva, che riceveranno l’incarico di valutare i campioni preventivamente anonimati, attraverso apposita scheda che prevede la valutazione dei caratteri visivi olfattivi e gustativi. Gli assaggiatori, in base alle sensazioni percepite, individuano i descrittori più appropriati ai quali corrispondono dei numeri la cui somma determinerà il valore della valutazione. Delle cinque valutazioni viene scelto il punteggio intermedio individuato ordinandole in ordine crescente.
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