Alla veneranda e invidiabile età di ottant’anni, l’ingegner Tullio Zangrando, massimo esperto di birra in Italia, segue ancora con grande vivacità e coinvolgimento il settore birraio, come consulente, conferenziere, docente, cofondatore di slowBrewing − associazione senza scopo di lucro che si prefigge di valorizzare le birre di eccellenza; a titolo onorario è stato a lungo anche curatore della rivista dell’Associazione italiana tecnici birrari. Una vita intera dedicata alla birra la sua, oltre cinquant’anni spesi per marchi che hanno segnato la storia del settore birrario, Birra Pedavena, Dreher, Birra Moretti. Una professione iniziata in maniera inaspettata assecondando il volere paterno…
Ingegner Zangrando, dopo la maturità classica lei pensò di studiare biochimica all’Università di Trieste.
L’idea, in principio, fu quella… A Trieste c’erano gli amici di sempre, a casa dei miei una tavernetta sempre pronta a ospitarci. Ricordo le meravigliose feste tra noi giovanissimi! Mio padre, però, era di tutt’altro parere; lui lavorava alla gloriosa Birra Dreher − gloriosa perché in quello stabilimento triestino fu installato, nel 1878, il primo impianto frigorifero industriale ad ammoniaca! − e mi convinse che la fabbricazione della birra era anch’essa un processo biochimico.
Fu così che m’iscrissi al Politecnico di Monaco di Baviera, mandando all’aria qualche sogno di gioventù: nella sede distaccata di Weihenstephan − 30 km a nord di Monaco − venivano (e vengono tuttora) organizzati il corso di laurea di industrie agrarie e quello dedicato alla tecnologia birraria. E son ben contento di esser così diventato birraio, un mestiere davvero molto bello perché come pochi richiede competenze multidisciplinari, oltre a una spiccata sensibilità sensoriale.
Dopo il diploma…
… (anche se legalmente non riconosciuto in Italia) mi fu facile trovare un impiego, i tempi non erano certo quelli odierni! Entrai in Pedavena, oggi Gruppo Castello. L’ingegner Heinrich Vogel, direttore di stabilimento e mio diretto superiore, fu per me un valente maestro.
Lui, uomo d’altri tempi, integerrimo, rigoroso, prodigo nell’insegnare, arrivava ogni mattina in stabilimento sulla sua Topolino “500C”, prima degli operai, per dare l’esempio; sulla pulizia era particolarmente esigente e ispezionava i più remoti recessi della fabbrica con regolarità, come le valvole di uscita dei serbatoi, le strofinava con un fazzoletto fresco di bucato e se trovava tracce di sporcizia, i richiami non si facevano attendere. Mi sgridava come fossi uno scolaretto!
Questa sua fissazione sottendeva principi di grande importanza, ancora oggi di assoluta attualità per produrre un’ottima birra: qualità delle materie prime, rigido controllo dei parametri, igiene e pulizia scrupolose. Vogel fu uomo di grande personalità, con lui la birreria fu organizzata sul modello tedesco.
Fu suo il merito se al Rizzarda di Feltre nacque l’orientamento per “birrai maltatori”, forse l’unico titolo di studio prettamente birrario esistito in Italia, un corso professionale ispirato al modello duale tedesco: insegnamenti teorici, ma anche pratici con esperienza nei reparti produttivi sotto la guida di un “Meister”, un tutor che controllava assiduamente che gli apprendisti eseguissero a regola d’arte i lavori assegnati nel completo rispetto di tutte le norme di buona tecnica e d’igiene.
Una formazione così, oggi ce la scordiamo…
Purtroppo è proprio così! Eppure dalla Rizzarda di Feltre sono usciti molti diplomati ben addestrati, pronti a entrare nel mondo produttivo, tanto che agli esami di fine corso c’erano sempre dirigenti di altre fabbriche di birra, lì per ingaggiarli subito; birrerie anche tedesche e svizzere − la lingua straniera che s’insegnava ai birrai-maltatori era il tedesco.
Previo superamento di severi esami d’ammissione, il corso professionale dava anche la possibilità al diplomato d’iscriversi a corsi di livello superiore, tra cui Weihenstephan e a raggiungere poi in Italia elevate posizioni nell’industria della birra e del malto. Purtroppo, negli anni ’70, i benemeriti corsi per birraimaltatori furono sospesi, con scarsa lungimiranza anche da parte dei sindacati, i quali, per quel che ricordo, tendevano a sospettare che la Fabbrica di Pedavena utilizzasse gli apprendisti per contenere gli organici.
In tema di studi, anche lei tornò presto sui banchi di scuola…
Sì, divenni nuovamente studente! Fu l’allora amministratore delegato di Birra Pedavena, l’ingegner Mario Luciani, figura di grandissimo spicco del mondo imprenditoriale italiano − il primo nostro imprenditore birrario a ricercare accordi internazionali, riuscendo ad agganciare la Heineken − che mi suggerì di proseguire i miei studi con un dottorato di ricerca a Weihenstephan. Durante questo mio secondo soggiorno in Germania conobbi mia moglie: siamo felici anche di avere due figli e tre altrettanto bravi nipoti. Alla tesi di dottorato seguirono stage impegnativi in fabbriche inglesi, olandesi e americane.
Al ritorno in Italia mi fu dapprima affidato l’incarico di direttore tecnico della “Birra Cervisia” di Genova-Rivarolo; tornai poi a Pedavena, con l’incarico di supervisore tecnologico del Gruppo Dreher, con la responsabilità di coordinare le attività produttive degli allora 7 stabilimenti del gruppo, con l’obiettivo di rendere identiche le caratteristiche organolettiche e analitiche della birra a marchio Dreher e di permettere il rifornimento del mercato ottimizzando la logistica.
Ma i tempi stavano cambiando…
Vogel era tornato in Baviera per dirigere la Fabbrica Statale di Weihenstephan, Luciani era prematuramente scomparso e i suoi successori avevano orientato le strategie del Gruppo privilegiando la crescita a tutti i costi, anche a scapito della qualità del prodotto. Non trovandomi più a mio agio mi misi alla ricerca di un ambiente che mi appagasse di più, accettando inizialmente anche condizioni economiche meno brillanti.
Qualche sistemazione intermedia, poi Birra Moretti a Udine.
Entrai come direttore tecnico e poi come vice-direttore generale, ebbi l’opportunità non solo di creare alcune ricette di successo, come “Baffo d’Oro” e “La Rossa”, ma anche di essere il responsabile del trasferimento della fabbrica da Udine e a San Giorgio di Nogaro, dove fu costruito e avviato, a tappe progressive, il nuovo stabilimento (oggi Birra Castello): un periodo straordinariamente intenso, superato grazie alla bravura e all’impegno dei miei valenti colleghi e collaboratori… e alla pazienza di mia moglie!
Intanto, la famiglia Moretti aveva ceduto l’azienda alla Canadese Labatt…
Già, e mi ci volle un po’, abituato com’ero all’azienda familiare, ad adattarmi al peraltro ammirevole stile manageriale di una multinazionale. Bill Bourne, direttore generale del Gruppo Moretti, in questo mi diede una mano; pur provenendo dal marketing, comprendeva bene anche le esigenze della tecnologia, era abilissimo nel mediare fra mentalità italiana e canadese.
A lui mi sento tuttora molto legato da profonda riconoscenza per i tanti insegnamenti datimi, e in una scala di ammirazione, pensando al mio lungo percorso professionale, è secondo soltanto a Martino Zanetti, titolare di Caffè Hausbrandt e Birra Theresianer, sicuramente l’imprenditore più in gamba lungimirante e illuminato che ho incontrato.