Nuovi terroir…
Le problematiche che mi trovo ad affrontare, lavorando in terroir diversi, sono esse pure leggermente diverse, ma non così lontane da quelle che già ho vissuto, metabolizzato, superato. Il terroir friulano, straordinario e complesso, è stato un’eccezionale palestra professionale. Il bagaglio di conoscenze e di esperienze che mi ha permesso di maturare, lo porto oggi con me, a disposizione delle nuove occasioni di lavoro; porto con me il mio stile del far vino, nel segno dell’equilibrio, del rispetto del territorio, della massimizzazione della proposta naturale. Coniugare queste diversità che incontro con uno stile personale rappresenta la chiusura di un cerchio.
Uno stile, il suo, che la critica esalta e riconosce!
Durante il mio percorso lavorativo, diversi sono stati i riconoscimenti della critica. Tappe fondamentali di una professione, una sorta di cartina tornasole del proprio operato. C’è stato il premio “Vino bianco dell’anno” con la Guida “Vini d’Italia” del Gambero Rosso e nel 2006, sempre con la stessa guida, il riconoscimento come Enologo dell’anno.

Nel 2012 la consacrazione all’Oscar del Vino.
Miglior enologo d’Italia…
Quando mi è stato consegnato il titolo a Roma, l’emozione è stata intensissima, incalcolabile! Un traguardo professionale che mi ha regalato un’energia incredibile.
Resta ancora un sogno nel cassetto?
Continuare a produrre vini nei quali ho sempre creduto, vini di grande equilibrio, equilibrio che cambia di anno in anno. La diversità tra un’annata e l’altra in un percorso enologico è fondamentale: riconoscere in una verticale del medesimo vino, la “stessa mano”, lo stile dell’enologo che l’ha prodotto, è sicuramente una gratificazione importante! Per questo ogni anno è per me un intrigante inizio: azzerare per comprendere appieno il messaggio che la natura, il terroir è pronto a suggerirti. Questo messaggio vorrei portarlo in altre regioni d’Italia, magari all’estero in territori che conosco meno, sarebbe interessante raccogliere questa nuova sfida…
Dal punto di vista agronomico come si concilia questo pensiero?
I percorsi naturali, per loro definizione, sono nel DNA dell’uva, della pianta. Si tratta di capire quale sia l’intervento tecnico più in armonia con il messaggio naturale, quello che dà alla pianta la possibilità di reagire, senza peraltro essere invasivo. Irrigare, defoliare, produrre più o meno uva, impiantare su un versante piuttosto che un altro, sono alcuni dei molti elementi che l’uomo ha a disposizione per interpretare al meglio questo messaggio naturale e dare l’opportunità alla pianta di massimizzare la sua proposta agronomica prima, enologica poi.
Uno sguardo, infine, ai vini friulani.
La qualità dei nostri vini è ormai consolidata, il vino friulano è ben equilibrato, strutturato, nel contempo profumato e caratterizzato da una pronunciata territorialità. Questo è un punto di partenza fondamentale e non credo che nei prossimi anni ci saranno importanti cambiamenti. Qualcuno potrebbe proporre delle novità enologiche, come è avvenuto negli ultimi anni con dei vini macerati, ma niente più, la definizione di vino friulano è ormai ben chiara a tutti, o quasi…
Che cosa intende?
Quello che manca, forse, è la riconoscibilità a livello internazionale. Fondamentale sarà quindi una comunicazione più decisa. Purtroppo la marginalità geografica di questa nostra terra non aiuta a questo fine, nemmeno aiutano le molte barriere burocratiche che si frappongono in tal senso… La voglia di emergere e farsi conoscere però non manca!
Roberto Tognella