Agronomo ed enologo di lungo corso, Gianni Menotti è riconosciuto e premiato dalla critica per i suoi vini di equilibrio, che nascono da una singolare capacità di carpire e interpretare i messaggi della natura.
Quando nelle elegantissime sale del Rome Cavalieri, in occasione degli Oscar del Vino, evento tra i più attesi nel comparto enologico, Gianni Menotti ha ricevuto il prestigioso e ambito riconoscimento di “Miglior enologo dell’anno” l’emozione, per questo agronomo ed enologo friulano, è stata intensissima, indimenticabile. È stato il coronamento di un lungo e appassionato percorso professionale compiuto in una regione straordinariamente enoica, il Friuli Venezia Giulia, così inimitabile per i suoi terroir, dove l’incontro tra il mare e la terra regala bianchi insuperabili per struttura e percezioni olfattive. Importante compito di chi tra quei vigneti lavora è saper cogliere di anno in anno i messaggi di una natura così prodiga e trasmetterli in un vino attraverso uno stile proprio, unico, riconoscibile. Questo Gianni Menotti lo ha fatto per oltre vent’anni in una prestigiosa azienda del Collio cercando l’elegante equilibrio, la “sfericità” nei suoi vini. Ora, aprendosi oltre regione, da consulente e libero professionista, continua a farlo, pensando anche a esperienze internazionali con terroir meno noti o sconosciuti per mettere alla prova un bagaglio ricco e invidiabile di esperienze.
Gianni Menotti, il vino è un “mestiere” di famiglia…
Se ne occupò amatorialmente mio nonno, in maniera professionale, per tutta una vita, mio padre, a partire dal Dopoguerra. Io presi una laurea a Padova in Agraria, mi specializzai poi in enologia, acquisendo anche il titolo di enologo, e continuai sulle orme paterne. Questo nel vero senso della parola, perché nel 1989 gli succedetti alla guida di Villa Russiz, azienda agricola goriziana vocata alla produzione di vini della denominazione d’origine controllata del Collio. Fu una fortunata coincidenza, ma anche un percorso per me logico che dava continuità a un’esperienza incominciata da bambino tra le botti in cantina, tra i filari di vite nell’ampia distesa di vigneti dell’azienda.
Che cosa ricorda di quell’ ”infanzia enologica”?
I profumi di cantina, ma ricordo anche con affetto e nostalgia quella vita spensierata che un tempo il mondo agreste regalava, quell’andare un po’ a rilento, al passo con il ciclico divenire della natura. Quella lentezza, quasi meditativa, permetteva di carpire con sorprendente immediatezza il linguaggio della natura, i messaggi che essa, prodiga, trasmetteva.
La meccanizzazione ha un po’ strappato il mondo agreste a questo lento divenire…
…dando però l’opportunità di lavorare in condizioni migliori. D’accordo il vivere bucolico, gli spazi, la quiete, ma quello era anche un mondo di fatica, di pesante e duro lavoro. La macchina, di per sé, non si è portata via nulla, è piuttosto questa esasperante, continua corsa alla tecnologia, questo voler velocizzare ogni cosa che ha snaturato anche i ritmi dell’agricoltura. L’uva ha oggi un percorso vegetativo più breve rispetto al passato, e questo a seguito del forte impatto del progresso e dell’industrializzazione sul clima.