Affacciata sul mare delle Eolie Tenuta di Castellaro nasce dall’incontro fra un territorio di straordinaria complessità e un progetto vitivinicolo che si è posto fin dall’inizio l’obiettivo di integrare paesaggio, architettura e innovazione tecnica.
«L’azienda è nata nel 2005 con l’intento di produrre vini di alta qualità bio e vegan, affiancando all’attività enologica l’enoturismo, l’ospitalità e oggi anche la ristorazione», spiega Massimo Lentsch, fondatore di questa realtà.

A Lipari, la più estesa delle isole dell’arcipelago, la famiglia bergamasca Lentsch ha avviato dal 2005 un processo di recupero e valorizzazione che ha trasformato cave di caolino abbandonate in un parco geominerario e ha riportato in produzione 24 ettari vitati, situati su terreni di origine vulcanica ricchi di ossidiana, pomice e minerali come fosforo, potassio e ferro. La tenuta produce oggi circa 85.000 bottiglie distribuite su dieci etichette, facendo leva su un modello produttivo che mette al centro vitigni autoctoni come la Malvasia delle Lipari e il Corinto Nero, in un contesto climatico caratterizzato da venti costanti e forti escursioni termiche. La cantina ipogea, progettata per un funzionamento quasi autarchico dal punto di vista energetico, rappresenta il fulcro di una filosofia produttiva che vuole coniugare tecniche moderne e protocolli biologici, in un equilibrio che guarda tanto alla sostenibilità quanto alla competitività di mercato.
«Il viticoltore del futuro – osserva Lentsch – non deve considerare la vigna come uno spazio isolato, ma come parte di un sistema complesso, fatto di storia, natura e persone. L’obiettivo è curare ogni dettaglio con la precisione dell’artigiano, utilizzando conoscenze scientifiche e tecnologiche che permettano di operare in modo consapevole e sostenibile».
Tra identità agricola, paesaggistica e culturale
Il progetto Castellaro non si limita dunque alla produzione vitivinicola. A fianco della cantina, la struttura include un wine resort, un bistrot e un’offerta enoturistica che attira ogni anno decine di migliaia di visitatori. In questo senso, la dimensione aziendale supera i confini strettamente agricoli per entrare in una logica di multifunzionalità, capace di generare valore anche attraverso la fruizione del paesaggio e l’accoglienza.
«Abbiamo puntato su un modello di ospitalità diffusa, con piccole residenze immerse nelle vigne e un’offerta di visite guidate e degustazioni che consentono al pubblico di comprendere direttamente la nostra filosofia», sottolinea il titolare. Oggi l’azienda impiega 19 collaboratori stabili, affiancati da una decina di stagionali, e mantiene la sede produttiva a Lipari. La strategia di crescita prevede investimenti costanti, per diverse centinaia di migliaia di euro all’anno, destinati a nuovi impianti viticoli, magazzini, aree di accoglienza e tecnologie di cantina. Il cuore rimane tuttavia l’attenzione per il vigneto e la sua capacità di restituire la specificità dei suoli vulcanici dell’isola.
«Il presente ci consente di attuare una viticoltura che non si limita a garantire un prodotto salubre, ma che lo fa in modo etico, salvaguardando il contesto e accettando di restare sempre stupiti dalla forza della natura», afferma Lentsch. È in questa prospettiva che l’azienda articola le proprie scelte, cercando una sintesi fra ricerca di efficienza e radicamento territoriale, consapevole che ogni bottiglia prodotta porta con sé l’impronta di un’isola la cui identità agricola si intreccia con quella paesaggistica e culturale.
Anche in vigna l’approccio è rigoroso
I vigneti della Tenuta si sviluppano su due aree distinte dell’isola di Lipari, con caratteristiche pedoclimatiche complementari. A Nord-Ovest, nella Piana di Castellaro, le viti sono allevate su terrazzamenti che raggiungono i 400 metri s.l.m., mentre a Sud-Est, nella cosiddetta Vigna Cappero, i filari di Malvasia delle Lipari, posti a soli 80 metri di altitudine, arrivano quasi a lambire il mare. Quest’ultimo appezzamento rappresenta un classico esempio di viticoltura eroica, dove 7.000 metri quadrati di vitigni autoctoni sono coltivati su terrazzamenti di pietra lavica che sorreggono un suolo sabbioso arricchito da frammenti pomicei. La scelta di perpetuare la tradizione vitivinicola millenaria dell’isola ha portato l’azienda a intraprendere, con la consulenza della ditta francese Pépinières Guillame, un lavoro di selezione massale su due varietali indigeni: Malvasia delle Lipari e Corinto Nero. Partendo da marze raccolte in vigneti con differente DNA, l’obiettivo è stato mantenere la massima variabilità genetica all’interno delle varietà e riprodurre piante con caratteristiche fisiologiche e produttive differenziate. L’operazione ha garantito alla tenuta il primato nazionale nella coltivazione del Corinto, vitigno dalla resa molto bassa e complesso da gestire in vigna. Per la Malvasia, l’attenzione si è concentrata su grappoli spargoli e acini piccoli e con alta concentrazione zuccherina, mentre per il Corinto la ricerca ha privilegiato piante con acini minimi e forte concentrazione polifenolica, con l’ulteriore vantaggio di eliminare le principali malattie virali della vite. Composto da cenere vulcanica, lapilli ricchi di microelementi, pomice, ossidiana e caolinite, il suolo di origine vulcanica sul quale dimorano le colture è una risorsa ineguagliabile. La conduzione è affidata alla forma di allevamento ad alberello, tipica delle tradizioni isolane, in questo caso impostata secondo il sesto a quinconce, con piante collocate al vertice di triangoli equilateri di 1,20 metri di lato. L’alta densità d’impianto garantisce un’omogenea esposizione agli agenti atmosferici e uno sfruttamento equilibrato delle risorse nutritive e idriche, spingendo le radici in profondità verso gli strati minerali. Tutte le lavorazioni sono manuali e ogni pianta è seguita individualmente: dalla maturazione al momento della raccolta, la gestione differenziata permette di reagire alle esigenze di ogni vite, confermando un approccio artigianale supportato da una rigorosa conoscenza tecnica.








