Margherita Rodolfi ha conseguito il Dottorato in Scienze degli Alimenti, sviluppando una tesi sul luppolo italiano. Ricercatrice presso l’Università di Parma, è responsabile del corso di insegnamento di “Prodotti Vegetali” nel corso di Laurea di scienze Gastronomiche e “Parametri di qualità nei prodotti vegetali” nel corso di laurea professionalizzante di “Qualità e approvvigionamento di materie prime per l’Agroalimentare”.

In questi anni ha seguito linee di ricerca sulla coltivazione del luppolo, cercando di integrare la ricerca di qualità con la sostenibilità ambientale, in contatto diretto con le realtà luppolicole. Inoltre, lavora nel campo della ricerca di diverse specie arboree, quali olivo, ciliegio, fico e melograno, con l’obiettivo di caratterizzare, valorizzare la biodiversità, ma anche con ricerche volte all’implementazione della qualità attraverso pratiche agronomiche sostenibili.
Secondo te l’ambito birrario della ricerca e quello produttivo sono poco attrattivi per le donne?
«La ricerca nel settore brassicolo è certamente di tradizione prevalentemente maschile, anche se credo che, soprattutto nella ricerca a livello nazionale e internazionale, le ricercatrici siano piuttosto presenti e portatrici di ricerche molto interessanti in diversi ambiti inerenti le materie prime brassicole: studi di caratterizzazione molecolari sul luppolo, ricerche per la comprensione dei meccanismi di sintesi dei diversi composti, orzo e maltazione, valorizzazione dei sottoprodotti.
Se pensiamo invece alla ricerca applicata alla produzione di birra, forse noi donne siamo meno coinvolte o forse meno interessate. Anche sul versante produttivo l’apporto femminile è nettamente inferiore rispetto a quello maschile.
È certo che questa situazione è meno frequente in ambito enologico forse perché il vino è considerato elegante e nobile, mentre la birra passa per bevanda semplice e “grezza”. Nella realtà non è così, infatti quando si scopre il mondo birrario si comprende quanta competenza, quanta pratica e studio delle materie prime siano necessari. Attraverso la conoscenza si comprende quanto possa essere affascinante questo mondo, che forse non sa ancora farlo vedere all’esterno. C’è però un ambito di questo settore che sembra a prevalenza femminile ed è l’analisi sensoriale (o per riprendere un termine più altisonante, la sensomica). In questo ambito sembra che noi donne abbiamo una marcia in più, forse dipende dalla diversa sensibilità alla percezione degli equilibri, dei gusti e dei sentori.
Inoltre, recentemente vedo sempre più spesso donne coinvolte nel funzionamento dei birrifici, magari non come “mastre birraie”, ma sicuramente direttamente coinvolte nella vita del birrificio».
Quali sono le linee di ricerca che stai seguendo in questo periodo?
«Questi ultimi anni hanno visto il proliferare di tantissimi progetti in ambito brassicolo, sia a livello nazionale che internazionale. La particolarità dei nuovi progetti è data dal fatto che si indaga su tanti aspetti al fine di dare una visione a 360° sulla filiera della birra. La speranza è quella di risolvere, o migliorare, qualche punto ancora carente lungo la filiera. Nel mio gruppo siamo specializzati, ormai da più di un decennio, nello studio del luppolo: le linee di ricerca vertono sicuramente al miglioramento della coltivazione di questa pianta in Italia, prendendo in considerazione tutti gli aspetti che lo coinvolgono. Si va dalla selezione alla coltivazione, fino ad arrivare all’applicazione di un approccio di economia circolare. Si sa che noi donne siamo più sensibili all’ambiente e al riuso, soprattutto se il sottoprodotto può ancora dare vita a prodotti di indubbia eccellenza. In dettaglio, stiamo selezionando varietà di luppolo da utilizzare con soddisfazione in ambito brassicolo, focalizzandoci su incroci, ma anche continuando con la caratterizzazione del germoplasma spontaneo già presente nella nostra penisola. Questo potrebbe dare nuova linfa al settore, portando una materia prima molto caratterizzante e legata al territorio italiano.
«quello che manca in italia è la fiducia verso il mondo della ricerca e uno spirito collaborativo tra gruppi di ricerca e tra soggetti della filiera»
Un’altra linea di ricerca molto interessante e attuale riguarda l’agricoltura sostenibile. In questo settore stiamo cercando di applicare strumenti di agricoltura 4.0 e 5.0 per rendere la coltivazione del luppolo più sostenibile. In questo modo possiamo rispondere positivamente all’European Green Deal che ha l’obiettivo di ridurre gli input chimici in agricoltura diminuendo del 50% l’uso dei pesticidi e del 20% i fertilizzanti, oltre a una corretta gestione dell’acqua di irrigazione con soluzioni sostenibili dal punto di vista ambientale ed economico. In questo studio, lavoriamo in stretta collaborazione con un’azienda agricola che coltiva luppolo su 5 ettari (Azienda Agricola Ludovico Lucchi a Campogalliano – MO). Lavorare a fianco di una realtà produttiva professionale è la chiave giusta per poter portare direttamente l’innovazione in azienda, ma soprattutto è il modo migliore per comprendere i problemi del settore.
L’altro obiettivo che ci siamo imposti è la messa a punto di un DSS (Sistema di Supporto Decisionale) per la gestione agronomica della coltura del luppolo. La particolarità del nostro sistema, in corso di validazione, è quella di integrare al normale funzionamento del DSS un sistema che possa indicare all’agricoltore il giusto momento della raccolta dei coni di luppolo. Infatti, questa pianta produce coni, che giunti a maturazione, non mostrano mutamenti evidenti e, ad oggi, il momento della raccolta viene deciso secondo l’esperienza del coltivatore, che purtroppo, per ora in Italia, non è molta e soprattutto non tutti gli agricoltori hanno esperienza nella coltura. Creare e ottenere sistemi oggettivi ed efficaci per predire il momento della raccolta potrebbe essere un bel passo in avanti per poter avere luppolo coltivato in Italia di sempre maggiore qualità.
«non si può coltivare luppolo come hobby, il luppolo è una coltura come le altre, ma che in più ha una peculiarità, una meccanizzazione specifica solo di questa filiera»
Per quanto riguarda la birra, invece, abbiamo diverse collaborazioni con enti di ricerca specializzati. L’obiettivo è sempre quello di creare collaborazioni che possano portare a risultati tangibili sfruttando le conoscenze e le competenze specifiche di ogni ricercatore. A tal proposito stiamo seguendo tre linee di ricerca sfruttando altrettante conoscenze e competenze fornite da colleghi di Istituti di Ricerca diversi: Porto Conte Ricerche (PCR), Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (CREA), gruppo di ricerca di Tecnologie Alimentari della mia stessa Università.
Dall’interazione con PCR stiamo cercando di dare nuova vita ai sottoprodotti provenienti da filiere delle più disparate. Per fare un esempio, dai sottoprodotti della filiera dei succhi di frutta è stata prodotta una birra alle more (beer fruit) con l’utilizzo di tecnologie innovative green di stabilizzazione del sottoprodotto.
Attraverso uno studio in collaborazione con il CREA, abbiamo osservato l’interazione tra ceppi di lievito e varietà di luppolo a diversi stadi di maturazione. Questo è un work in progress ma il lavoro, grazie anche alla partecipazione di un panel addestrato composto da UBT (UnionBirrai Tester) dell’Emilia-Romagna, ha prodotto risultati inaspettati.
Insieme ai colleghi di tecnologie alimentari, da qualche anno stiamo lavorando su tematiche del “post-harvest” del luppolo. In questo caso l’obiettivo è l’applicazione di tecnologie innovative, per conservare il luppolo fresco per un lungo periodo a temperature di 4 °C. In questo ambito siamo riusciti a conservare il luppolo “fresco” fino a 30 giorni a 4 °C mantenendone le caratteristiche aromatiche e microbiologiche. Questo studio vuole dare la possibilità di produrre “wet beer” non solo al momento della raccolta, ma nei mesi successivi. Questo porterebbero i birrifici ad organizzare con più calma la produzione di queste birre».