Marco Secchi è al timone del Birrificio di Cagliari, primo brew pub della Sardegna che vede la luce nel 2008. Il percorso di Marco è simile a quello di molti mastri birrai della prima ora nel momento di massima espansione del movimento artigianale nazionale: dalle “pentole in casa” all’impianto, che oggi fa bella mostra di sé, dietro le vetrate del locale di mescita. Le birre, che prendono ispirazione dalle principali culture brassicole, vengono reinterpretate per la presenza di ingredienti tipici della macchia mediterranea che vanno dal mirto, passando per i frutti del fico d’india, fino all’utilizzo del miele amaro ottenuto dai fiori del corbezzolo.
Per evidenziare ancora di più l’appartenenza territoriale del birrificio, queste, prendono il nome dagli storici quartieri della città di Cagliari.
Quali sono i vantaggi derivanti dal servire le birre prodotte all’interno del proprio locale?
«Sono molteplici: il primo e più importante è la possibilità di regalare al cliente le nostre creazioni nel loro migliore stato di forma. Il trasporto, soprattutto se non refrigerato, può essere dannoso per le birre artigianali in quanto non microfiltrate e non pastorizzate. Il secondo vantaggio sta nel fatto di poter spiegare e raccontare al cliente tutta la passione e il lavoro che sta dietro la loro pinta, lavoro semplificato per noi in quanto abbiamo l’impianto di produzione a vista nel locale e, non di rado, portiamo i nostri avventori a fare un giro in mezzo ai serbatoi».
«Penso che sia decisamente interessante che si sviluppino produzioni autoctone, sarebbe molto bello avere una filiera totalmente locale»
Qual è l’identikit del consumatore tipo? Più curiosi o più clienti fidelizzati?
«Nel nostro brewpub, non essendo situato in una zona centrale, è difficile “capitarci per sbaglio”. Per attirare clienti nuovi e curiosi facciamo un lavoro mirato e certosino di comunicazione, ciò nonostante e, devo dire, con grande piacere, abbiamo un buon numero di clienti fidelizzati anche grazie al fatto che siamo sul mercato da molto tempo considerando la media dei birrifici nazionali; 16 anni iniziano ad essere un gran numero in tal senso. Il cliente tipo ha dai 30 ai 90 anni (non scherzo vengono anche dei nonnetti fantastici!), non ci rivolgiamo a un pubblico particolarmente giovane in quanto prediligiamo una clientela più consapevole e spesso la maturità aiuta in questo. Non è una regola ovviamente».
Dal 2008 ad oggi quali sono stati i maggiori cambiamenti relativamente alla filosofia produttiva?
«Le birre che produciamo oggi sono molto differenti da quelle che avremmo potuto bere nel 2008, per diverse ragioni: la prima sta nel fatto che da allora e fino al 2013 il mastro birraio era differente. La seconda sta proprio in un affinamento nella capacità produttiva determinato da un mercato, giustamente, più esigente che richiede birre più stabili e bevibili rispetto al passato. La terza è una scelta stilistica che ci ha portato a produrre birre caratterizzate da ingredienti tipici del territorio sardo».
Nelle note di presentazione di quasi tutti i birrifici si fa riferimento alla passione per il proprio lavoro e alla scelta di materie prime di qualità nel processo produttivo. Volendo entrare nello specifico come questi due aspetti si riflettono sulle birre prodotte?
«La passione per il lavoro ti porta a studiare e modificare le produzioni senza sosta, per inventare e produrre birre cercando di incuriosire e far appassionare sempre più avventori. La scelta delle materie prime è fondamentale per il risultato finale. Ma ha un’enorme importanza anche la scelta del packaging che svolge un ruolo fondamentale nella conservazione nel tempo delle caratteristiche sensoriali del prodotto finito, soprattutto se destinato al mercato».
In alcune delle vostre referenze sono presenti ingredienti identitari della Sardegna. Esiste in questo momento una corrente di pensiero piuttosto importante che spinge verso l’utilizzo di materie prime come malto e luppolo di provenienza locale. Qual è il tuo pensiero riguardo questa possibilità?
«Penso che sia decisamente interessante che si sviluppino produzioni autoctone, sarebbe molto bello avere una filiera totalmente locale».