Birra artigianale: la sfida della costanza di processo

Riuscire ad ottenere la birra desiderata è un lavoro che richiede tempo in termini di studio della ricetta, ottimizzazione della scelta e dell’utilizzo delle materie prime, sviluppo dei processi di produzione del mosto e, per ultimo ma non meno importante, una gestione della cantina e dei confezionamenti di alto livello. Diventa di fondamentale importanza l’analisi dei vari lotti di ciascuna etichetta in produzione, mettendo a confronto tra di loro i numerosi parametri di processo raccolti.

I tempi in cui il birraio artigiano poteva nascondersi dietro alla giustificazione dell’essere appunto un artigiano quando il lotto di una specifica birra non risultava conforme con il lotto precedente o allo storico del birrificio, sono oramai passati e sempre di più i birrifici che hanno un occhio sul futuro stanno investendo su personale formato e in grado di operare nella direzione di una costanza di processo sempre più ad elevati livelli. Questo personale ha poi a disposizione strumenti per le analisi e macchinari che fino a pochi anni fa era impensabile reperire sul mercato ai costi accessibili odierni.

L’incostanza è intrinseca alla birra artigianale

L’incostanza delle birre artigianali è dettata dall’uso di piccoli lotti di materie prime che possono variare durante l’anno o le annate, dalla totale o quasi mancanza di analisi pre-produzione sulle materie prime utilizzate e da processi di confezionamento che non uniscono, se non in rari casi, lotti diversi della stessa birra ad uniformare il prodotto finito. Inoltre, non pastorizzare le birre le rende molto più vulnerabili al tempo: è banale sottolineare come un qualsiasi prodotto artigianale cambierà al passare dei giorni, pur rimanendo riconoscibile; evolverà attraversando momenti di forma eccezionale, passando per una condizione organolettica meno smagliante ma comunque apprezzabile, fino ad arrivare ad essere “stanca”, momento che il birraio, o chi per esso, indica con il Termine Minimo di Conservazione (TMC) indicato in etichetta. Purtroppo il TMC è fortemente influenzato dalle temperature di stoccaggio, spesso e volentieri ancora oggi un tema al quale pochi addetti al settore sono realmente sensibili.

Ottimizzare i processi

Tutti questi argomenti messi insieme impongono un’attenta riflessione sulla necessità di operare attraverso processi ottimizzati e soprattutto ripetibili per proporre birre il più costanti possibili ai clienti. Proprio questi ultimi devono essere considerati il vero focus dell’argomento: una persona che si innamora di una determinata birra desidera ritrovare nel bicchiere sempre lo stesso prodotto. Sta investendo il suo denaro per passare del tempo in compagnia e vuole sentirsi a suo agio, nella sua zona di comfort; la birra che sta bevendo è il suo porto sicuro, e il birraio deve fare in modo che questa esperienza si ripeta ogni qual volta venga scelta una delle sue etichette. Il consumatore finale è l’ultimo tassello di una catena di approvvigionamento che può essere anche molto lunga e complessa da gestire in caso di non conformità dei prodotti, con perdite di reputazione che rischiano di incidere notevolmente sulla sostenibilità aziendale.

Il monitoraggio e la registrazione dei parametri in sala cotte, in fermentazione e in confezionamento hanno proprio questo scopo: rendere replicabile di cotta in cotta l’intero processo. Ma non solo! Conoscere, annotare, ma soprattutto confrontare i dati di ciascun lotto di ogni specifica birra permette un’accurata analisi sugli effetti ottenuti dalla modulazione di differenti variabili che il birraio può manipolare a suo piacimento.

Misurare significa conoscere e conoscere vuol dire governare

Il quantitativo di analisi da sviluppare è relativamente elevato, restando comunque facilmente gestibile anche in piccoli birrifici artigianali. Le competenze necessarie richieste per la gestione di un preciso controllo qualità vanno sviluppate con studi adeguati e una intensa formazione professionale, oltre ad un’esperienza sul campo importante: aver lavorato in più birrifici consente di incrociare dati che riguardano diverse sale cotta, diversi fermentatori e diverse confezionatrici. Ogni impianto produttivo è un mondo a sé al quale adeguarsi per poi studiarlo e farlo rendere al massimo sotto tutti gli aspetti, qualitativi ma anche funzionali. Saper produrre un buon mosto è importante, così come riuscire a gestire adeguatamente il lavoro del lievito e gli svariati problemi connessi alla fermentazione che si possono verificare; non rovinare il prodotto con le lavorazioni successive e che portano al confezionamento è infine di vitale importanza.

Durante la produzione del mosto va garantita la costanza delle tempistiche di macinazione dei malti, ammostamento, filtrazione, bollitura, raffreddamento e gli eventuali travasi da un tino ad un altro. Alcune di queste tempistiche sono più importanti di altre, ma non esistono tempi di produzione universalmente validi e da ripetere nella produzione di qualsiasi mosto: ogni ricetta ha delle specifiche esigenze che vanno conosciute e ripetute sempre allo stesso modo per raggiungere l’obiettivo finale, ovvero dare in pasto al lievito un mosto dalla composizione il più costante possibile di cotta in cotta. Lo stesso discorso vale per le temperature di ammostamento, con una piccola complicazione: mentre il tempo viene misurato in maniera uguale in qualsiasi birrificio questo non vale per le temperature. Ci possono essere differenze, anche notevoli, fra le misurazioni di temperatura di diverse sale cotta, sia per l’utilizzo di sonde differenti o comunque non tarate tra di loro, che per le dimensioni e le geometrie dei tini di cui sono composte. Sarà l’attenuazione degli zuccheri ottenuta dalla fermentazione a mostrarci la via corretta da seguire, ad esempio, negli step di ammostamento. Un altro parametro da monitorare è la densità che caratterizza il mosto durante la sua produzione e deve essere controllata in più momenti per due motivi che, in ordine di importanza, sono: ottenere il corretto grado plato in fermentatore, che dipende dalla densità del mosto ottenuto grazie alla filtrazione, e poter reagire prontamente ad eventuali rese di ammostamento, minori o maggiori che siano, diverse rispetto alle attese. Non va poi ovviamente trascurato il pH, fondamentale per garantire un’adeguata funzionalità degli enzimi durante l’ammostamento, oltre ad essere un parametro che influenzerà l’estrazione delle componenti amaricanti del luppolo e la chiarificazione del mosto. Va sottolineato come non esistano i pH di ammostamento o bollitura perfetti per tutte le birre, ma l’importante è riprodurre i valori caratterizzanti ciascuna ricetta, sempre attestandosi ovviamente nei range considerati ottimali.

Una volta prodotto il mosto sarà il lievito a procedere con la successiva fermentazione a dare alcool, CO2 e aromi, ovvero la birra; la quantità di cellule inoculate nel mosto influenzerà l’andamento della fermentazione in termini di velocità, produzione di composti aromatici, riassorbimento o espulsione di molecole organiche indesiderate e successiva rapidità di sedimentazione. Il birraio, o ancora meglio il cantiniere, deve controllare quotidianamente l’andamento di parametri quali la densità e il pH (almeno fino al termine della fermentazione), la temperatura, la conta cellulare (durante l’abbattimento), e l’eventuale comparsa di molecole aromatiche indesiderate. Quest’ultimo aspetto è particolarmente complicato da gestire e richiede attitudine, esperienza e, ancora meglio, che più persone assaggino le birre durante la loro evoluzione nei serbatoi: più nasi analizzeranno ciò che sta accadendo durante la fermentazione più facile sarà individuare eventuali problemi in tempo per gestirli prima che sia troppo tardi.

L’importanza delle analisi, quali?

Quando la birra è pronta ad essere confezionata torna ad essere molto importante il microscopio per garantire la desiderata torbidità microbiologica del prodotto. Nel caso si stia confezionando in rifermentazione risulta fondamentale essere sicuri di avere un sufficiente quantitativo di cellule vive che possano consumare lo zucchero necessario a gasare la birra, mentre, in tutti quegli stili caratterizzati da concentrazioni medio-alte di lievito, poter gestire il confezionamento con note quantità di cellule in sospensione permetterà di mantenere una torbidità microbiologica costante di lotto in lotto. Uniformare la concentrazione di lievito non è banale, soprattutto in serbatoi di dimensioni notevoli, ma l’analisi al microscopio aiuterà il birraio nel valutare le tecniche di processo necessarie ad un confezionamento omogeneo e ripetibile. Confezionare senza cellule in sospensione è “facile”, ma può essere eseguito solo ed esclusivamente se si adotta un confezionamento di tipo isobarico grazie a macchine in grado di operare in contropressione. Quando invece è necessaria una determinata quantità di cellule in sospensione diventa imprescindibile l’uso del microscopio per eseguire questo tipo di valutazione.

Altre due analisi permettono di ottenere processi ripetibili: la misurazione della CO2 disciolta nel caso si adotti la tecnica del confezionamento isobarico, e la misurazione dell’ossigeno disciolto durante eventuali travasi e il confezionamento in bottiglie e/o lattine.

Conoscere la quantità di anidride disciolta nel fermentatore ma, soprattutto, misurarla con un solo strumento anziché affidarsi alla misura indiretta tramite i singoli manometri collegati ai fermentatori consente di gestire la gasatura delle birre a livelli di precisione elevatissima. I vari manometri applicati ai fermentatori non saranno mai tutti tarati allo stesso modo; la valutazione della carbonica disciolta tramite un unico strumento risolve questo problema.

La misurazione dell’ossigeno disciolto nelle varie fasi post fermentative aiuta invece il birraio a evidenziare quali parti del processo introducono micro-ossidazioni da limitare il più possibile per garantire una qualità del prodotto adeguata. Ogni birrificio decide internamente i suoi standard, anche in base alla longevità che si vuole conferire alle proprie birre, ma identificare quali azioni e quali attrezzature siano peggiorative per il prodotto permette di attuare le correzioni necessarie in maniera mirata.

Tutte le analisi che vengono effettuate in birrificio diventano di estrema utilità se digitalizzate ed elaborate grazie a calcolatori e a tecnologie d’avanguardia che affiancano il birraio nella comprensione e nella valutazione delle differenze di processo delle singole cotte, permettendo di introdurre variazioni tecniche correttive, anche istantanee, quando uno o più parametri variano inaspettatamente. L’Intelligenza Artificiale tramite il Machine Learning, per fare un esempio, è in grado di prevedere il risultato del processo in tempi talmente rapidi da consentire una modulazione dello stesso e correggere la strada presa in produzione in tempo reale.