«Un buon birrificio deve essere in grado di fornire uno standard, una costanza di qualità, poiché il sapore e la persistenza della birra è bene si dimostrino gli stessi nel tempo, per non deludere il consumatore».
È il pensiero di Loreno Michielin, Fabiano Toffoli e Alessandro Zilli, titolari del birrificio trevigiano 32 Via dei Birrai, fondato 18 anni fa a Pederobba e oggi produttore di 350mila bottiglie all’anno, per un quinto esportate all’estero.
Il numero 32, racchiuso nella forma perfetta di un cerchio, è stato scelto dai titolari perché corrispondente alla classe di appartenenza della birra secondo la classificazione internazionale di Nizza, che indica e categorizza prodotti e servizi: in questo modo il brand è stato reso identificabile ovunque, riconoscibile in tutto il mondo.
Per catturare l’attenzione dei consumatori e distinguersi all’interno di un’offerta sterminata, inoltre, è stato necessario caratterizzarsi con un’identità forte: si è pensato, per questo, a contrassegnare ognuna delle otto birre prodotte con una tinta diversa, un colore vivace e incisivo.
«Un marketing geniale – conferma il mastro birraio, Fabiano Toffoli –. Tantissime aziende ci hanno emulato, in seguito, ma noi siamo stati i primi». Il packaging innovativo è scaturito quasi naturalmente, sull’onda del divertimento: «Proponiamo innumerevoli e coloratissime confezioni regalo, tutte da scoprire». Alla base del progetto, oltre al mantenimento di una costanza qualitativa nel tempo, l’approccio industriale nei confronti dei criteri di produzione e un’attenzione e una cura dei prodotti di stampo artigianale.
Flessibilità, igiene, energia verde
La consuetudine, nello stabilimento produttivo, è quella di realizzare tanti lotti da poche bottiglie ciascuno, in modo da essere flessibili e disporre sempre di prodotti freschi; generalmente si imbottiglia due giorni alla settimana. La linea, da 1.200 bottiglie l’ora, progettata e installata dalla ditta Covolan srl di Valdobbiadene (TV), si compone di una riempitrice Cimec 12 rubinetti a leggera depressione, tappatore raso e tappatore corona Arol, orientatore tappi di plastica Neri, tunnel Ifind, lavasciuga Stentz, capsulatore Robino&Galandrino, etichettatrice Kosme, cartonatrice Mondo&Scaglione, generatore di vapore B.R.A. e nastri Tuper.
«Relativamente alle scelte tecnologiche compiute, per noi era importante che l’impianto fosse facilmente igienizzabile – spiega Alessandro Zilli, Responsabile ricerca e sviluppo in azienda – in particolar modo la riempitrice, ovvero la macchina più critica sia per la sua sanitizzazione che per l’ossidazione della birra. In secondo luogo, i macchinari dovevano essere sovradimensionati, per due motivi: per avere un margine di crescita in termini di numero di bottiglie realizzate e per far sì che i vari dispositivi non funzionassero sempre al massimo regime, evitando usure, rotture e consumi eccessivi».
Fin dall’inizio, infatti, il birrificio ha adottato un approccio sostenibile, a seconda delle sue possibilità economiche e delle proposte di mercato.
«Siamo fortemente convinti che sia necessario operare secondo logiche ecocompatibili e per fare ciò interveniamo a vari livelli, per ridurre gli sprechi e ottimizzare i processi. Alla base c’è soprattutto una fortissima propensione alla ricerca, per migliorare costantemente, da una parte, la qualità delle birre e, dall’altra, per innovare il processo produttivo in ottica green. Dal 2015 utilizziamo solo energia certificata proveniente da fonti rinnovabili e, nel corso degli anni, nonostante il cambio dei fornitori, abbiamo sempre continuato a scegliere energia verde».
Risparmio idrico e riutilizzo del calore
Dal momento che per la produzione di birra è richiesta una grande quantità di acqua, la sala cottura è stata progettata per ridurne al minimo il consumo.
«Effettuiamo più cotte al giorno, in modo da recuperare l’acqua di raffreddamento del mosto e utilizzarla nella cotta successiva» chiarisce Zilli. La disinfezione dei fermentatori è eseguita con acqua ozonizzata, un metodo che presenta diversi vantaggi ed evita l’impiego di prodotti chimici, pericolosi da gestire per gli operatori, impattanti sull’ambiente durante la produzione e difficili da smaltire a fine utilizzo.
«L’acqua ozonizzata la produciamo internamente con uno speciale macchinario, senza rischi e senza nessun additivo chimico: a fine utilizzo non richiede lo smaltimento – è semplicemente acqua, si può bere – e il fermentatore non necessita di risciacquo, per ulteriore risparmio idrico. Per fornire un paio di dati oggettivi, per ogni litro di mosto prodotto consumiamo meno di 5 litri di acqua e negli ultimi anni le migliorie che abbiamo adottato hanno portato a una riduzione del 40% del consumo idrico. Fin dall’inizio, poi – prosegue Zilli –, le trebbie – sottoprodotto della produzione di birra – vengono conferite ad allevatori locali selezionati in qualità di alimento, mentre il lievito esausto, a fine fermentazione, è utilizzato da un salumificio della zona per gestire al meglio il depuratore interno».
Com’è noto, la fermentazione alcolica sviluppa calore, il che richiede, per riuscire a mantenere la temperatura dei fermentatori costante, l’utilizzo di acqua glicolata raffreddata tramite un gruppo frigo. «Normalmente i frigoriferi rilasciano il calore accumulato dal glicole nell’aria, attraverso grandi ventilatori. Nel nostro caso, anni fa abbiamo acquistato un gruppo frigo che accumula il calore dell’acqua all’interno di un serbatoio e, grazie ad esso, abbiamo sempre a disposizione 3.600 litri di acqua calda a circa 45 °C, che usiamo abitualmente nella prima fase dell’ammostamento. Tutto questo calore è gratuito e ci viene gentilmente regalato dai nostri amati lieviti».