L’attività produttiva del Birrificio 4 Mori, incentrata sulle basse fermentazioni, è realizzata con accorgimenti tecnologici che contrastano con l’austerità della struttura. Le birre, alcune delle quali pluripremiate in vari concorsi, prendono il nome dai pozzi minerari dell’epoca, restituendo all’oggi la storia del periodo estrattivo dell’isola e del quale la popolazione e il territorio portano ancora i segni. A raccontare l’esperienza di questo birrificio attivo da circa 10 anni sono Paolo Lai, socio fondatore e responsabile commerciale, e Fabio Serra, mastro birraio e responsabile della produzione.
La maggior parte dei birrifici artigianali più o meno coetanei al vostro sono nati attorno alla figura del mastro birraio che lascia le pentole e la cantina per lanciarsi nel mondo del commercio. Anche nel vostro caso è stato così?
«Effettivamente siamo partiti con un’idea chiara sugli obiettivi da raggiungere, sulla figura tecnica del mastro birraio, sugli stili da realizzare e sul piano di sviluppo commerciale: nel nostro caso, quindi, la figura del mastro birraio risulta complementare rispetto all’intera azienda e non predominante».
«Il mercato della birra artigianale in sardegna ha ancora importanti margini di crescita soprattutto se si continua a lavorare in maniera professionale diffondendo la cultura della birra artigianale»
Il legame delle vostre birre con il territorio è dato non solo dall’utilizzo di alcune materie prime locali, ma anche dalla particolare collocazione dell’impianto produttivo. Cosa significa fare birra all’interno di un sito così carico di significati storici e ambientali?
«Il posizionamento del birrificio all’interno del Parco Geominerario, un’operazione di riconversione industriale che ha trasformato la vecchia centrale elettrica del 1900 in un moderno birrificio artigianale, nasce dall’esigenza di realizzare un progetto con un forte legame con il territorio, in un’ottica di sviluppo sostenibile e di salvaguardia del patrimonio storico-culturale. Il birrificio è fortemente integrato nell’ambiente che lo ospita e con i propri prodotti racconta il territorio e la sua storia. Si tratta di un’attività portata avanti con grande rispetto per le persone che hanno lavorato nelle miniere con le loro storie drammatiche, di fatica e di innumerevoli sacrifici. Il nostro progetto costituisce un esempio di come si possano recuperare delle vecchie strutture, ormai abbandonate, riconvertendole in moderne attività produttive, conciliando l’aspetto economico-produttivo con quello umano, insieme alla salvaguardia e promozione del territorio. È evidente che fare birra in questo contesto è per noi motivo di grande orgoglio e responsabilità. Chi viene a trovarci percepisce la storia, il vissuto di questi posti e soprattutto la nostra forza di spirito per ridare speranza a un territorio devastato da anni di estrazioni minerarie».
Il movimento birrario artigianale si è formato ed espanso contrapponendo produzioni di alta fermentazione a quelle di bassa proposte dall’industria. La vostra scelta, allora controcorrente, è oggi invece fortemente attuale. Ve l’aspettavate?
«Quando siamo nati sapevamo benissimo di andare controcorrente, ma abbiamo voluto privilegiare appositamente gli stili a bassa fermentazione, anche se questo ci è costato nella fase iniziale alcune critiche da parte del settore. Eravamo sicuri che quella scelta ci avrebbe premiato in quanto si trattava di stili più vicini ai gusti dei consumatori non ancora preparati al mondo delle birre artigianali. Servivano delle birre facili da bere che avvicinassero i consumatori a bere birre comunque di maggiore complessità. Eravamo anche consapevoli di produrre stili più difficili da realizzare, ma confidavamo nell’esperienza dei nostri bravissimi mastri birrai entrambi provenienti dalla scuola bavarese. Non ci spaventava neanche la concorrenza delle birre industriali in quanto eravamo convinti che, producendo basse fermentazioni artigianali, i consumatori avrebbero saputo valutarne la differenza e premiarne la qualità. L’industria ha infatti cercato in tutti i modi di emulare le birre artigianali, creando non pochi problemi al settore, ma siamo riusciti a tenere botta mantenendo alta la qualità dei nostri prodotti».
Nel caso decideste di abbandonare la confort-zone costruita in questi anni, quale sarebbe l’orizzonte da esplorare?
«Abbiamo diversi progetti in corso. Al momento il più importante e imminente riguarda un progetto di filiera che ci consentirà di realizzare una birra con sole materie prime prodotte in Sardegna. Sappiamo che l’orzo e i luppoli prodotti in Sardegna, così come l’acqua sono di altissima qualità. È importante riconoscere il valore delle nostre produzioni al fine di consolidare il legame con il territorio di appartenenza. Si tratta di un progetto con importanti ricadute economiche sull’intero territorio in quanto porterebbe alla valorizzazione dell’intera filiera produttiva, sviluppando la produzione di materie locali e rendendo il settore della birra artigianale autosufficiente e non più dipendente da fornitori della penisola, o addirittura esteri».
In che maniera state affrontando la sfida delle birre a bassa gradazione alcolica?
«Stiamo già realizzando delle birre a bassa gradazione alcolica per venire incontro alle esigenze dei consumatori. L’ultima birra prodotta è una bitter con 3,5 gradi alcolici, realizzata appositamente per un cliente della penisola. Il risultato è stato molto positivo. Si tratta di un tema che abbiamo preso in seria considerazione sul quale stiamo lavorando con diversi progetti da realizzare».