BIOVA, diversamente birra

Che lo spreco alimentare esista e sia una piaga della modernità è noto e innegabile. Ma è solo quando si guarda ai numeri che ci si rende conto dell’enormità di materia, energia e lavoro ad essa collegato che viene davvero sprecato. Ad esempio, prendiamo il pane, simbolo per antonomasia del lavoro quotidiano e del cibo sulla tavola. In Italia, ogni giorno, vengono buttati 13.000 quintali di pane. Secondo uno studio dell’Associazione Internazionale del Panificio Industriale, il consumatore medio italiano consuma 52 chilogrammi di pane all’anno. Con il pane scartato ogni giorno si potrebbero alimentare 25.000 persone per un anno. Questo pane rappresenta circa 1/3 della produzione totale italiana. Nonostante gli sforzi per recuperarlo e donarlo a chi non ne ha, le quantità che finiscono letteralmente buttate rimangono elevate.

È da questi numeri che nasce il progetto Biova. Afferma Franco Dipietro, founder e CEO di Biova Project: «Quando abbiamo visto i numeri ci siamo resi conto dell’enorme spreco. Una contraddizione in una società che parla dell’urgenza di usare in maniera efficiente energie e materie prime. Per questo abbiamo sentito la necessità di inventarci un modo per poter recuperare almeno in parte questi alimenti». E la birra è indubbiamente un modo originale per farlo. «Originale ma non nuovo. Già gli antichi Egizi sapevano del legame birra-pane. Che gli amidacei siano utilizzabili per la produzione di questa bevanda non è dunque la novità del nostro progetto, che invece consiste nell’aver riportato in vita questa idea e, soprattutto, nel principio che sottende ad essa: noi non volevamo creare un nuovo prodotto fine a sé stesso. Noi volevamo trovare una via per poter recuperare ciò che altrimenti andava sprecato, per recuperare un’eccedenza vergognosa. La lotta allo spreco è il motore del progetto e di tutti i nostri prodotti».

Pane al posto del malto

Nella produzione della birra Biova il pane sostituisce una parte del malto per dare il via alla fermentazione ad opera dei lieviti. Il pane viene cioè utilizzato come sostituto di parte del malto. A secondo della tipologia di birra si riesce a risparmiare fino al 30% di malto d’orzo, permettendo un vero e proprio risparmio di materie prime e riducendo l’impatto ambientale. In questo modo si risparmia l’utilizzo di orzo e quindi l’energia e gli input per la sua produzione. Al contempo si recupera il pane invenduto e tutta la materia prima, il lavoro e l’energia utilizzati per produrre quel pane. «Non vi è solo un valore etico nella birra Biova, ma un reale risparmio di materie prime e quindi di emissioni», sottolinea Dipietro.

Da dove viene il pane che Biova utilizza per fare la birra?

«Dall’HO.RE.CA, dai supermercati, dai panifici o dai produttori stessi con i quali abbiamo stabilito una partnership». Ma non vi è mai carenza? Non rischiate di rimanere senza l’ingrediente principe? «Al contrario! Noi riusciamo a utilizzare solo una minima parte di quanto realmente e quotidianamente disponibile».

Pane non è uguale a pane

Dai diversi tipi di pane nascono birre diverse, con una propria identità per la quale non solo le birre si differenziano le une dalle altre, ma per la quale esse si differenziano anche dalle birre prodotte tradizionalmente con malto.

Afferma Dipietro: «Queste birre hanno un sapore particolare, non fosse che per la sapidità del pane che conferisce alle birre quel tocco inaspettato di sale che le rende molto bevibili. Queste birre hanno una bella rotondità, cremosità e corposità che le rende molto ben accette sul mercato».

La nostra percezione è che il mercato sia maturo per progetti come biova

Tipi di pane diverso danno tipologie di birra diverse. Ad esempio, dal pane integrale deriva una birra scura, ad alta fermentazione che ricorda la Altbier, originaria della regione di Düsseldorf. Dal pane bianco si ottiene un’American Pale Ale, chiara con una luppolatura decisa, corpo pulito e fresco con note fruttate e speziate. Il tutto condito da un tocco di sapidità dato dal pane.

Come cambia il birrificio?

Cambia la ricetta, dunque, ma cambia anche il processo di produzione?

«Fondamentalmente no. Bisognerà sicuramente porre più attenzione al filtraggio che dovrà essere più preciso e più marcato perché il pane è un materiale diverso dal malto. Ma nel processo di produzione questa è forse l’unica accortezza. Ciò che davvero impatta l’organizzazione del birrificio sono la raccolta e lo stoccaggio del pane. Non esiste una rete di raccolta pane e questa in genere il birrificio se la deve creare ex novo. Il che significa evidenziare i possibili partner e organizzare la logistica di raccolta». Poi naturalmente bisogna assicurare la tracciabilità del prodotto: «Certamente, questo è fondamentale. Per questo siamo certificati ISO 22.000».

Non di solo pane

Ma Biova si spinge oltre il pane. «Abbiamo visto che anche nel mondo dei pastifici vi sono molti sprechi legati al processo di produzione stesso. Ogni volta che si produce un lotto di pasta, la testa e la coda della produzione tendono a rompersi. È una questione fisica ed ineliminabile. Queste “rotture”  – chiamate sfridi –  sono buone per l’alimentazione ma non sono conformi dal punto di vista estetico e quindi risultano non più vendibili commercialmente; per questo vengono scartati e tradizionalmente diretti alla zootecnica. Dal momento che contengono amido, possono essere utilizzati per fare birra». Detto, fatto! Dal surplus di pasta dello stabilimento di Pasta Berruto, nasce una nuova birra contro lo spreco alimentare, Biova Pasta: la prima birra fatta dalla pasta. «Biova Pasta è un metodo alternativo, innovativo e divertente per recuperare le rotture di pasta e dare loro un nuovo valore», afferma Dipietro. Con 200 kg di surplus di pasta, Biova produce 2500 litri di birra artigianale, una birra «molto rotonda, molto fruttata, molto credibile, piacevole. Ne abbiamo fatto una versione bionda e una versione ambrata».

E poi c’è il riso, le cui rotture – tutti i chicchi rotti durante la lavorazione – vengono destinati anch’essi alla zootecnia, oppure alle industrie di trasformazione per la produzione di prodotti soffiati o estrusi. Riso Gallo ha scelto di destinare parte dei suoi scarti a Biova Project che li trasforma in una birra perfetta per gli sportivi, con poco alcol e dal profumo leggermente fruttato, ricca di sali minerali, senza glutine e con un colore ambrato dato dal riso rosso da cui è fatta.

Ma Biova non si ferma agli “amidacei”. Grazie alla partnership con Babaco Market – il delivery 100% made in Italy di frutta e verdura che combatte lo spreco recuperando i prodotti “brutti ma buoni” – Biova ha prodotto Biova Lemon, una “bionda” di ispirazione tedesca con un tocco fresco dato dal succo di limoni “salvati”, spremuti e mescolati insieme al mosto. Per produrre questa birra sono stati utilizzati 200 kg di limoni femminello IGP recuperati dallo spreco alimentare proprio da Babaco Market: si è trattato di limoni che altrimenti avrebbero faticato a trovare sbocco commerciale, perché seppur buonissimi, presentavano delle piccole “difformità estetiche”, delle cicatrici sulla buccia.

Tutto quanto detto sopra non è per elencare i prodotti di Biova ma per indicare come la possibilità di recuperare alimenti ed eccedenze e trasformarli in nuovi prodotti dall’elevato valore alimentare sia davvero grande. E Biova cerca di sfruttare al massimo il suo settore – la produzione di birra – per dare nuovo valore a ciò che è considerato  – erroneamente  – scarto.

Il mercato? Ricettivo per prodotto e messaggio

Biova è stata fondata nel 2019. Nel 2022 ha prodotto 500 hl di birra.

«Ci consideriamo un birrificio artigianale medio-grosso», conclude Dipietro. I canali di smercio sono nomi di tutto rispetto. Ad esempio, gli hotel Melia, i Radisson, il Mandarin Oriental sul lago di Como, tutte le sedi IKEA d’Italia, alcune GDO e in diversi locali. Questo significa che il pubblico è ben disposto nei confronti di una birra fatta dalle eccedenze alimentari? «Prima di tutto è ricettivo verso una birra buona e dai sapori, sentori, dalla corposità nuova. Quindi lo è a maggior ragione se essa nasce da un progetto di recupero delle eccedenze, diminuzione degli sprechi, risparmio di risorse ed emissioni. La nostra percezione è che il mercato sia maturo per progetti come Biova».