Una ventata di tecnologia al Birrificio Italiano

Sono tante le novità appena introdotte o in fase di realizzazione all’interno di Birrificio Italiano, a Limido Comasco. Accompagnati dal suo fondatore, Agostino Arioli, siamo andati alla scoperta di come stanno cambiando gli impianti per la produzione dell’arcinota Tipopils e di tante altre birre artigianali che qui vedono la luce.

Energia rinnovabile per alimentare la produzione

I pannelli fotovoltaici installati sul tetto dello stabilimento la scorsa estate sono ora in grado di fornire energia sufficiente per le attività produttive. Nella sala cottura, inoltre, è stato posizionato un capiente serbatoio per il recupero dell’acqua calda proveniente dal ciclo produttivo, che viene mantenuta a temperatura da un generatore elettrico di vapore, alimentato quasi integralmente dal fotovoltaico.

Agostino Arioli e Rudy Casas Calvo

«In tal modo l’acqua – spiega Agostino – funge da accumulatore di energia, evitandoci l’uso di batterie. Questo è particolarmente utile nei fine settimana, quando l’attività produttiva si ferma e l’energia in esubero prodotta dal fotovoltaico potrebbe teoricamente essere reimmessa in rete. Ma noi preferiamo “stoccarla” in attesa di utilizzarla nei giorni lavorativi».

Entro il 2024 anche l’impianto di raffreddamento a glicole verrà modificato con l’inserimento di un serbatoio di accumulo, rendendo così possibile l’utilizzo di motori più piccoli, in grado di lavorare ad assorbimenti più bassi e quindi alimentabili interamente col fotovoltaico. «Si tratta di investimenti non ancora così convenienti per le imprese, che tuttavia abbiamo voluto fare perché da sempre siamo particolarmente sensibili ai temi ambientali».

Trasporto malti: dal vuoto alla catena

È in fase di modifica il sistema di trasporto dei malti, che attualmente dalla tramoggia di raccolta li trasferisce alla sala cottura tramite un sistema a vuoto. Quest’ultimo presenta il grande vantaggio di aspirare le polveri e le farine di macinazione, che poi vengono filtrate. Tuttavia esso è piuttosto rumoroso, fatto che ha condotto alla decisione di sostituirlo con un sistema a catena, più silenzioso, a vantaggio del benessere di chi lavora in birrificio. «Ho voluto la tramoggia interrata per facilitare il compito a chi deve alimentarla, riducendo così lo sforzo fisico necessario per svuotare i sacchi».

Dalle cotte alla decantazione

La sala cottura è in fase di ampliamento, con lo scopo di arrivare a eseguire due cotte giornaliere in tempi ragionevoli. È stato aggiunto un bollitore extra che può fungere anche da caldaia di miscela. L’impianto rimane tuttavia a gestione manuale: «Abbiamo provato a preventivare l’acquisto di una sala cottura completamente automatizzata ma per ora non è un investimento da affrontare. E io non credo molto nelle soluzioni semi-automatiche».

Utilizzando il sistema Unitank, il mosto viene poi trasferito in serbatoi cilindro-conici dove avvengono sia la fermentazione che la maturazione. Non si utilizzano né filtri né centrifughe, ma solo decantazione statica a freddo per almeno quattro settimane, nel corso della quali vengono effettuati numerosi spurghi. Il materiale recuperato viene stoccato in un serbatoio posto all’esterno del birrificio e venduto a un allevamento di maiali, che lo impiega nella loro alimentazione. La lagerizzazione ha luogo a una temperatura di +2°C, non più bassa, per ridurre l’incidenza del consumo energetico da produzione di frigorie.

Il recupero della CO2

L’impianto pilota per il recupero della CO2 di fermentazione

Altra importante innovazione introdotta è l’impianto pilota per il recupero dell’anidride carbonica di fermentazione, che a breve sostituirà la macchina dosatrice di CO2 liquida. Costruito da Enomet, è uno dei primi impianti di questo tipo installati in un birrificio artigianale. «In effetti – spiega Agostino – in passato solo l’industria si poteva permettere investimenti in questa tecnologia. Noi stiamo ancora testando l’impianto pilota, ma abbiamo già ordinato quello definitivo».

La CO2 di fermentazione viene aspirata da una pompa, compressa, passata attraverso una serie di filtri che la puliscono ed essiccano, e infine stoccata in un serbatoio all’esterno del birrificio, collegato col resto dell’impianto. «Dai calcoli stechiometrici che abbiamo fatto, ci risulta che dovremmo averne più che a sufficienza per le nostre necessità».

Confezionamento: di più con meno

«Al momento del trasferimento qui dalla precedente sede di Lurago – sottolinea Agostino – abbiamo portato con noi l’infustatrice SIFA a cinque teste, con ottima tecnologia, affidabile, commisurata alle nostre produzioni. La riempitrice per le bottiglie era invece una 12 teste, che tuttavia non ci permetteva i livelli di efficienza desiderati. Volevamo infatti metterci nelle condizioni di fare contemporaneamente infustamento e imbottigliamento. L’imbottigliatrice aveva una capacità lavorativa oraria leggermente maggiore rispetto a quella ora in funzione, e richiedeva la presenza di due persone.

La nuova riempitrice GAI

Con la nuova riempitrice GAI, installata da pochi mesi, abbiamo diminuito leggermente la produttività oraria, aggiungendo però un depallettizzatore SWF, fornito e installato da Tuper srl. La linea ora richiede minori interventi da parte del personale, concentrati soprattutto nelle fasi finali di riempimento cartoni, nastratura e imbancalamento. In questo modo, due sole persone gestiscono imbottigliamento e infustamento contemporaneamente, grazie anche a due pompe gemelle che alimentano i due processi. Di fatto, sempre con due persone raggiungiamo una velocità di confezionamento globale che è 1,5 volte quella di prima, con efficienza incrementata. Inoltre, questo modo di lavorare facilita l’applicazione del principio “tutto vuoto/tutto pieno” dei serbatoi, che permette di ottimizzarne l’uso».

Le bottiglie provenienti dal depallettizzatore passano prima attraverso l’etichettatrice ENOS, poi dalla riempitrice e infine vengono tappate. La riempitrice attuale è una GAI a 6 teste da 1000 bottiglie da 33 cl/ora, con possibilità di assistenza da remoto in caso di guasti. «Si tratta di una macchina automatica – spiega Rudy Casas Calvo, responsabile del reparto – che permette di eseguire molti controlli a monitor, in particolare sulle fasi di riempimento e sgasatura. Per mantenere alta la qualità, dobbiamo porre grandissima attenzione alla pressione all’interno della bottiglia, ma anche alla temperatura a cui imbottigliamo, che dipende da quella dell’ambiente. In pratica per ogni tipologia di birra e formato che confezioniamo, e a seconda della stagione in cui si imbottiglia, stiamo individuando i migliori parametri di processo da applicare, elencandoli in “ricette” che, inserite nel software della macchina, permettono la standardizzazione del processo». Anche per l’infustamento si sta lavorando all’automatizzazione, prodotto per prodotto.