La recente conferenza internazionale “Trends in Brewing” tenutasi ad aprile a Ghent in Belgio e il Brewers Forum di maggio a Praga (Repubblica Ceca) sono state opportunità per me per incontrare John Brauer, Direttore della European Brewery Convention (EBC), l’associazione che rappresenta i produttori europei di birra e malto e che si occupa del sistema birrario europeo all’interno dell’organizzazione The Brewers of Europe. Ho chiesto a John di dirmi la sua opinione e commentare lo stato del settore birrario.
Qual è il ruolo dell’EBC nell’attuale sistema birrario tenendo conto anche della recente evoluzione dei consumi, delle aziende e dello scenario internazionale?
Forse è bene chiarire subito una cosa: nel 2008 EBC si è fusa con The Brewers of Europe principalmente per la loro comune base associativa. The Brewers of Europe è la voce del settore birrario in Europa e sostiene i produttori nel loro sforzo di produrre e commercializzare efficacemente la birra. Nel caso dell’EBC, ci definiamo come il braccio tecnico e scientifico di The Brewers of Europe. Ma torniamo alla domanda: il quadro generale del settore della birra può essere descritto in tre tendenze principali. Fino alla crisi dovuta al Covid, il numero di birrifici in Europa ha continuato a crescere e anche tra il 2020 e il 2022 abbiamo assistito all’apertura di altri birrifici in Europa. Ciò significa che attualmente abbiamo oltre 10.000 birrifici nell’UE, Svizzera, Norvegia, Turchia e Regno Unito. La seconda tendenza riguarda il numero di punti vendita, pub e ristoranti. Nella maggior parte dei Paesi dell’UE si registra un calo dei pub, non tanto in termini di ristoranti, quanto di locali specifici per la birra. Questo deve far riflettere perché rispecchia un cambiamento nel comportamento dei consumatori che consumano meno birra in un contesto sociale tradizionale. La terza tendenza è in qualche modo legata alla demografia dell’UE: la maggior parte dei Paesi dell’UE ha una popolazione che invecchia. È un dato di fatto che la birra attrae maggiormente i giovani e, con l’avanzare dell’età, il vino diventa più spesso la bevanda alcolica preferita.
Questo è il contesto in cui dobbiamo operare. Conoscere questo contesto ci aiuterà ad affrontare meglio queste sfide. Sebbene non sia ancora una tendenza visibile, mi aspetto che il numero di birrifici torni a diminuire lentamente, poiché l’epoca dei bassi tassi di interesse è effettivamente terminata. In futuro i birrifici dovranno perciò impegnarsi a vendere più birra per ripagare costi e investimenti.
Qualche anno fa presentavamo e discutevamo del settore della birra come parte della filiera agroalimentare, ma oggi è chiaro che l’elevata complessità del settore spinge a considerarlo e presentarlo come un ecosistema. Qual è la tua opinione su questa evoluzione in cui operiamo?
Questo mi riporta al primo punto. Se riusciremo a contrastare la tendenza al consumo della birra esclusivamente a casa e riusciremo a “ridisegnare” la birra come bevanda sociale che unisce le persone, allora saremo soddisfatti. Se, invece, la birra viene vista come in transizione verso prodotti “di fascia alta”, offerti solo ad un prezzo elevato, temo che la spinta verso prodotti di buona qualità a un prezzo ragionevole e alla portata di tutti sarà messa a repentaglio. L’ambiente in cui operiamo deve essere orientato al servizio e al prodotto, intendo dire che dobbiamo trovare modi innovativi per rispondere alle esigenze dei consumatori.
Anche se non è così innovativo, sono ancora convinto del fatto che concentrarsi sulla “cultura della birra”, cioè sulle caratteristiche intrinseche del malto, del luppolo, dell’acqua e del lievito, sia una buona base per spiegare ai consumatori che cos’è la birra e come possiamo offrire prodotti nuovi e di alta qualità agli amanti della birra, dovunque essi siano.
«Concentrasi sulla “cultura della birra” credo sia una buona base per spiegare ai consumatori cos’è la birra stessa… credo ci sia bisogno di un dibattito più onesto»
Credo che il fenomeno della birra artigianale abbia portato in tutto il mondo nuove energie nell’intero sistema birrario, con la diversificazione dei prodotti, ma anche con nuove opportunità per tutti gli operatori, dai fornitori di ingredienti ai fornitori di attrezzature, dai fornitori di soluzioni di packaging a quelli di servizi. Dove c’è spazio per ulteriori investimenti o attività strategiche?
Siamo tutti consapevoli della forte crescita del segmento della birra artigianale e dei birrifici artigianali, soprattutto negli ultimi 10-12 anni. La maggior parte di noi ha assaggiato questi prodotti e in generale li ha trovati piacevoli da bere. Noi di EBC e di The Brewers of Europe abbiamo riconosciuto già anni fa gli effetti positivi dell’includere i produttori di birra artigianale nelle strutture ufficiali di governance delle associazioni birrarie europee. Ammiriamo la loro creatività, la loro dedizione ai nuovi prodotti e, probabilmente, soprattutto apprezziamo il fatto che i birrai artigianali hanno dato all’intero settore della birra un lifting tanto necessario e un’ottima pubblicità. Spesso troviamo articoli di stampa che descrivono con entusiasmo qualche piccolo produttore di birra artigianale che produce prodotti straordinari. Credo che questa tendenza ci accompagnerà per un po’. Ma qui entra in gioco un “ma”: dobbiamo essere in grado di guidare i produttori di birra artigianale verso l’eccellenza tecnica senza essere considerati palesemente “paternalisti”. La creatività va bene ma noi, in quanto birrai affermati o istituzioni birrarie, dovremmo essere in grado di offrire consigli utili per migliorare la qualità del prodotto, le questioni legate all’imballaggio, la stabilità del sapore e le preferenze dei consumatori. Personalmente ritengo che il movimento della birra artigianale sia vivo e vegeto ma che abbia raggiunto il suo apice, come è naturale che sia dopo la fulminea ascesa degli ultimi anni. Potrebbe esserci spazio per un altro 5-10% dell’attuale numero di produttori di birra artigianale ma, a mio avviso, questo sarà a grandi linee il limite di quanto il mercato europeo è in grado di sopportare. Non bisogna dimenticare che i produttori di birra artigianale non possono competere con i grandi produttori né sul prezzo, né sulle vendite, né sulla distribuzione geografica. È qui che raggiungeremo un equilibrio naturale tra produttori artigianali e produttori affermati, se non l’abbiamo già raggiunto.
Personalmente sono convinto che l’alto valore della birra che abbiamo ottenuto negli ultimi anni potrebbe essere ulteriormente migliorato se riuscissimo a far capire ai consumatori (ma anche ad alcuni operatori) qual è il reale valore complessivo del sistema birra. Per questi motivi abbiamo proposto il tema della Comunicazione nel sistema birra per il nostro prossimo convegno italiano Filiera Birra che si terrà a Milano il 18 ottobre. Su cosa dovrebbe concentrarsi la comunicazione per migliorare o proteggere il valore del nostro sistema?
Capisco il valore della comunicazione, ma c’è un limite a quanto possiamo comunicare. Noi, come settore birra, possiamo sempre fare di più per coinvolgere i consumatori. È solo che i consumatori che sono bombardati da messaggi e comunicazioni continue sul prodotto birra, tendono poi a scollegarsi mentalmente e a ignorare i tentativi del settore birrario di raggiungerli. Credo che ci sia bisogno di un dibattito più onesto e sono felice che abbiate scelto questo argomento, perché non credo che si tratti di un tema facile o con soluzioni facili.
Quello di cui non sono convinto molto è la messaggistica salutistica implicita nella birra. Forse stiamo cercando di emulare troppo il settore del vino al quale non è consentito entrare nel merito delle questioni salutistiche per motivi legali, ma ho l’impressione che loro siano più bravi a distinguere tra “salute” e “benessere”. Noi dovremmo sempre concentrarci sul fattore benessere, evitando di pubblicizzare alcune affermazioni sulla salute che spesso sono difficili da spiegare. E comunque per i prodotti con un contenuto alcolico superiore a 1,2% collegare direttamente la birra alla salute è illegale.
Come professore universitario è importante per me fare ricerca nel modo migliore possibile per soddisfare le esigenze del nostro ecosistema. Secondo te, quali opportunità hanno ricerca tecnica e scientifica per sostenere realmente lo sviluppo del settore della birra?
A mio avviso, la leva principale è rappresentata da ciò che mi piace chiamare “premiumizzare”. È interessante notare che le associazioni dei produttori di birra artigianale non si siano mai stancati di sottolineare che la birra artigianale è riuscita ad avvicinarsi molto alla percezione di “premium”. Questo è chiaramente sostenuto anche dal prezzo di questi prodotti.
Per me “premiumizzazione” significa valutare alcune interessanti tecnologie di produzione della birra – non tutte nuove in assoluto – che possono migliorare il prodotto o, in molti casi, far durare più a lungo la qualità iniziale della birra fresca. Il sapore e la stabilità colloidale, se migliorati, dovrebbero sempre essere una caratteristica dei prodotti di qualità superiore. Come esempi di tali tecnologie, vorrei elencarne tre, anche se certamente ce ne sarebbero altre che andrebbero discusse se avessimo più tempo a disposizione.
La pratica della separazione delle glume del malto, effettuata soprattutto in Germania, sembra contribuire a ridurre la concentrazione di polifenoli delle glume di malto dal sapore potenzialmente aspro in queste birre. Ciò significa che l’amaro in queste birre è essenzialmente derivato dal luppolo e non è realmente legato ai sapori tannici del malto. È inoltre dimostrato che tali birre presentano una migliore stabilità del sapore.
In secondo luogo, l’uso dei cosiddetti “setacci” per il lievito ha ricevuto nuova attenzione. Non è detto che sia l’effettiva setacciatura del lievito raccolto o “coltivato” a produrre birre migliori. È più probabile che, poiché l’anidride carbonica e l’etanolo intrappolati possono essere rimossi in modo più efficiente, questo porti a fermentazioni migliori. Questi setacci possono quindi essere un buono strumento per una gestione del lievito orientata alla qualità.
Infine, è sempre più evidente che le maturazioni più lunghe e più fredde aumentano certamente la “bevibilità” delle lager pregiate. Attualmente sono in corso alcuni interessanti progetti di ricerca sui tripeptidi positivi per il gusto prodotti dal lievito durante la maturazione prolungata. Sfortunatamente, questo potrebbe metterci in conflitto diretto con la nostra volontà di raggiungere la sostenibilità nel nostro settore, dato che la maturazione prolungata comporta un aumento delle bollette energetiche. Qualunque sia l’esito, prevedo che si farà molta più ricerca nei campi di eccellenza della produzione della birra sopra citati.