Bibibir, Italian Craft Beer in terra d’Abruzzo

Bibibir sono Flaviano Brandi e Ottavia Bartolacci. Per dieci anni, grazie alla passione nata al festival locale di birre, la produzione da homebrewing; poi, un matrimonio e alcuni viaggi in Belgio per affinare le tecniche, l’apertura di un loro birrificio artigianale nel 2014 a Castellalto in provincia di Teramo. Un progetto chiaro, per un birrificio a conduzione familiare, con un impianto produttivo a fiamma diretta, progettato in casa e fatto realizzare da un artigiano della zona. Da settembre 2017, tra i primi birrifici in Italia a puntare sulla lattina e, negli anni, una crescita costante. Fino ad arrivare, nel 2022, a produrre 2300 ettolitri di birra e al passaggio in birrificio agricolo per utilizzare il proprio orzo e puntare ancor di più su caratteristiche artigianali e locali.

La storia e la filosofia

«Il nome Bibibir è l’acronimo dei cognomi di noi due soci, Brandi e Bartolacci, più la B di birra – ci racconta Flaviano Brandi, 40 anni, che insieme alla moglie Ottavia Bartolacci, 36 anni, ha aperto il birrificio nel 2014 -. Prima di iniziare questa avventura, quando ancora non eravamo sposati, facevamo la birra da homebrewer. L’abbiamo fatto per circa dieci anni e sicuramente la scintilla che ha acceso questa passione è stato il festival delle birre di Castellalto che si svolge nel nostro paese. Al festival del 2006, iniziammo a fare cotte pubbliche da homebrewer e da quel momento, oltre a una decina d’anni di cotte casalinghe, sono iniziati i nostri viaggi per visitare birrifici in Italia e all’estero. Proprio da un viaggio in Belgio è nata l’amicizia con Nino del birrificio De Ranke e questa è stata una tappa fondamentale per noi, perché abbiamo avuto modo di fare uno stage presso uno dei nostri birrifici preferiti e abbiamo preso spunto da loro per progettare il nostro impianto: un impianto unico in Italia, disegnato da me e realizzato da Magnarapa Inox, un artigiano di Vasto. L’impianto a fiamma diretta prevede un ammostamento a infusione con aggiunte di acqua bollente ed è progettato per l’utilizzo di luppolo in fiore, così come natura l’ha fatto. Questo impianto e l’utilizzo di luppolo in fiore è sicuramente il nostro marchio di fabbrica ed è quello che più caratterizza le nostre birre».

«Quando decido di fare una birra è perché in quel momento mi piace bere quello stile di birra»

I tratti distintivi

«Il nostro progetto – prosegue Flaviano – si basa su tre punti cardine imprescindibili. Il primo: fare il mosto con un ammostamento tradizionale, utilizzando un metodo totalmente artigianale e manuale ed esclusivamente luppoli in fiore. Quella del luppolo in fiore è una grande scommessa per svariati motivi: per quanto riguarda la reperibilità e lo stoccaggio il luppolo va prenotato in anticipo prima che venga pellettizzato o che diventi estratto per le industrie. Quindi va fatta un’attenta programmazione, anche con un anno e mezzo di anticipo, poi quando è pronto bisogna conservarlo a temperatura controllata. Un altro “sacrificio” che va fatto è che per toglierlo dal bollitore bisogna entrarci dentro e questo si può fare solo il giorno dopo, quando il bollitore di è raffreddato. Il secondo punto: una fermentazione in serbatoi a fondo piatto, con due travasi per la chiarifica della birra senza fare nulla per accelerare la fermentazione, ma semplicemente aspettare i tempi dovuti. Abbiamo infatti una cantina molto grande rispetto agli ettolitri che produciamo, questo perché le nostre birre riposano anche 40 giorni. Il terzo punto: produrre birre di facile beva. Questo cerchiamo di farlo anche quando si parla di stili più complessi: per me è sempre l’obiettivo primario, perché la birra nasce per essere bevuta e non assaggiata. Questi sono i punti che caratterizzano la nostra birra in modo inequivocabile, rendendola unica e riconoscibile. Negli ultimi anni, abbiamo anche iniziato un progetto per tornare all’utilizzo di materie prime locali, utilizzando quando possibile, malti e luppoli italiani e abruzzesi».

«Abbiamo avviato un progetto di attenzione verso l’utilizzo di materie prime locali, cercando di privilegiare malti e luppoli italiani e, se possibile, abruzzesi»

Referenze e stili

«Quando decido di fare una birra – premette Flaviano – è perché in quel momento mi piace bere quello stile di birra e quindi l’uscita delle diverse referenze di Bibibir, dal 2014 a oggi, rispecchia molto quello che è stato l’andamento delle mie bevute: agli inizi con il Belgio, poi tanto luppolo, e ultimamente un grande ritorno alle basse fermentazioni. In totale, oggi abbiamo a catalogo  una ventina di referenze. Abbiamo iniziato con Birrantonio, Witaly e Granapa, che erano le tre birre che producevamo costantemente a casa. Poi abbiamo continuato con le birre belghe di stampo trappista Vedo Doppio, Vedo Triplo, Vedo quadruplo. Abbiamo proseguito con tante luppolate, come la White Shock, l’American Ipa, la Ddh Session Ipa e la 23zerosei. Nel tempo, dopo le svariate Vedo, è uscita anche la Non ci vedo più, una Imperial Stout da 10,5%vol. Negli ultimi anni abbiamo avviato un progetto sulle basse fermentazioni, con la linea Bibi: BibiHELL, BibiPILS, BibiRAUCH, BibiDUNKEL e BibiLAGER. Più recentemente siamo tornati alle origini, inserendo nella nostra produzione una saison, la Saison D’Antonio, dove utilizziamo grano solina, un grano antico delle colline teramane. Parallelamente abbiamo anche avviato un progetto di attenzione verso l’utilizzo di materie prime locali, cercando di privilegiare malti e luppoli italiani e, se possibile, abruzzesi. In questa direzione si pone il lento passaggio a birrificio agricolo iniziato nel 2022 che porterà ad utilizzare maggiormente materie prime autoprodotte.»

Lo spazio produttivo

«Il birrificio ha sede a Castellalto, in provincia di Teramo, e si estende in un capannone di 400 metri quadri, attualmente in affitto. In progetto abbiamo l’acquisto del capannone e stiamo avviando l’installazione di pannelli fotovoltaici. Ma abbiamo anche in programma l’apertura di una tap room vicino al birrificio e l’aumento della produzione con l’aggiunta di nuovi fermentatori. Oltre ad utilizzare le materie prime che produciamo come birrificio agricolo, un altro nostro progetto è quello di utilizzare sempre meno fusti in plastica e passare all’utilizzo di fusti d’acciaio riutilizzabili. Quanto all’impianto produttivo di Bibibir, come già accennavo, è unico nel suo genere in Italia. Ha un’impostazione belga, ma ci rende possibile ogni tipo di stile, e l’abbiamo disegnato e fatto costruire su misura da un artigiano locale, Mario Magnarapa di Magnarapa Inox. È un impianto che ha una capacità di 2000 litri. Quanto ai serbatoi inox, abbiamo poi due fermentatori da 4000 litri, due da 2500 litri, nove da 2000 litri, per un totale di 31.000 litri di capienza del birrificio».

L’imbottigliamento

«Nel 2022 abbiamo avuto una produzione di 2300 ettolitri di birra: parliamo più precisamente di 35.000 bottiglie da 330 millilitri e 12.000 da 750 millilitri, cui si aggiungono 25.000 lattine dal 330 millilitri e 12.000 lattine da 500 millilitri. Oltre alla birra sfusa, che vendiamo in fusti: Polykeg da 24 litri, Minikeg 3 litri, e fusti in acciaio da 15, da 20, da 25 e da 30 litri. L’imbottigliatrice è una Alfatek  semiautomatica a 9 becchi con cui facciamo circa 1800 bottiglie da 33 centilitri all’ora. Mentre la lattinatrice è un impianto Emma, modello CF30: una semiautomatica da 1300 lattine nel formato 33 centilitri all’ora. Per le lattine, abbiamo due formati: 330 millilitri e 500 millilitri. Per le bottiglie abbiamo invece il formato da 330 millilitri e quello da 750 millilitri. Per le bottiglie e i tappi ci riforniamo da Enovip; per le lattine, da Ball Beverage Packaging Italia. Tutte le nostre etichette sono disegnate a mano dall’artista teramano Alessandro Cioci. La collaborazione è iniziata sin dall’apertura del birrificio e tutte le etichette sono in linea con lo stile che vogliamo avere, uno stile graffiante e innovativo. Ciò le ha rese immediatamente riconoscibili ai clienti. Siamo stati tra i primi birrifici in Italia a cominciare a produrre lattine nel 2017 e riteniamo che alcune birre, le luppolate, in lattina conservino al meglio le loro caratteristiche. Appena si sono iniziate a vedere lattine craft, soprattutto dagli USA, mi sono iniziato subito ad interessare perché penso che la lattina come contenitore rappresenti appieno la mia idea “easy” di birra, per il fatto che te la puoi portare al mare, al concerto, in montagna, dove vuoi!».