Il comune lievito del vino, della birra, della pizza e del pane, ovvero il ben noto Saccharomyces può essere considerato un perfetto microrganismo per le applicazioni industriali e biotecnologiche, non solo legate alle produzioni alimentari. Nell’ambito del settore enologico e birrario uno degli elementi che maggiormente ha segnato l’evoluzione e il perfezionamento delle performance produttive in termini di qualità negli ultimi decenni è il processo di selezione e miglioramento dei ceppi e della biomassa di inoculo impiegati per la conduzione delle fermentazioni alcoliche che, in via quasi esclusiva, ha coinvolto lieviti del genere Saccharomyces.
La ricerca di innovazione in termini di caratteristiche organolettiche dei prodotti offerti ai consumatori spinge continuamente i tecnici e gli imprenditori del settore del beverage a ideare nuove soluzioni per le produzioni. Il lievito, nel contesto della birra, gioco un ruolo strategico in tal senso, offrendo importanti possibilità, ma anche grandi incognite. Ad esempio, l’impiego di particolari ceppi selezionati nel corso dei secoli con tecniche empiriche è ancora oggi fondamentale per l’ottenimento di birre afferenti a specifici stili e, se modificati, potrebbero indurre una minore accettabilità delle referenze da parte dei consumatori più appassionati. Inoltre, risulta necessario tenere conto di particolari pregiudizi dei clienti rispetto all’introduzione di specifiche innovazioni, come l’impiego degli OGM nelle produzioni di massa, in relazione a possibili effetti sulla salute umana e sulla tutela della biodiversità naturale e dell’ambiente. Nonostante, infatti, le ampie reali potenzialità di miglioramento delle produzioni di birra, l’impiego di ceppi commerciali derivanti da modificazioni genetiche per produzioni destinate al commercio è risultato estremamente limitato e non competitivo.
Nel corso degli ultimi anni, l’innovazione dei lieviti per la conduzione della fermentazione dei mosti birrari si è spinta oltre l’ambito dei già amplissimi confini del genere Saccharomyces, pur avendo questo dimostrato un’elevata biodiversità che, se opportunamente selezionata e gestita tecnologicamente, assolve a un ampio spettro di esigenze produttive. Un elemento che oggettivamente ha ritardato lo sviluppo di queste sperimentazioni nel settore della birra è legato al fatto che molti lieviti non Saccharomyces giocano un ruolo negativo nel processo di brassatura, determinando problemi di torbidità, scarsa filtrabilità, cambiamenti ed instabilità del profilo organolettico.
Per contro, la modaiola richiesta di stili di birra tradizionali, o ancor meglio “antichi”, la ricerca di nuove esperienze sensoriali da parte dei consumatori più appassionati e la spinta politico – sociale verso la diffusione del consumo di birre a moderato tenore alcolico, hanno acceso gli interessi dei gruppi di ricerca nei confronti di lieviti alternativi.
Le potenzialità produttive di alcune specie come Candida, Hanseniaspora, Issatchenkia, Kazachstania, Lachancea, Pichia, Schizosaccharomyces, Torulaspora, Wickerhamomyces, Williopsis e Zygosaccharomyces sono state dimostrate per applicazioni nel contesto della fermentazione di mosti zuccherini da parte di numerosi studi accademici.
Vuoi continuare a leggere?
Se sei GIA’ abbonato accedi all’area riservata
Se NON sei abbonato vai alla pagina degli abbonamenti