Alder Beer: l’obiettivo è raggiunto!

Cosa significa aprire un’azienda, nello specifico un birrificio artigianale, proprio a ridosso dell’inizio di una pandemia globale e riuscire a superare i primi due anni non solo sopravvivendo al mercato, ma facendolo con produzione e fatturato in crescita? Significa avere le idee chiare, saper fare la birra e saperla fare bene. Così è stato per Marco Valeriani, già birraio esperto, che ha inaugurato ufficialmente il proprio birrificio a ottobre del 2019, rendendo concreto un sogno durato anni.

Marco Valeriani

Il coronamento di un percorso

Quando Marco Valeriani di Seregno ha deciso di diventare imprenditore nel mercato oggi piuttosto saturo dei birrifici artigianali, il suo nome era già conosciuto, e anche le “sue” birre. La sua esperienza sul campo infatti inizia sì nel 2000 come homebrewer, ma ufficialmente nel 2005 quando, con la qualifica di Tecnologo Alimentare e una tesi sulla birra, comincia a lavorare presso il Birrificio di Como. Seguono una breve esperienza in Bi du e 4 anni nell’industria alimentare, presso Ferrero, che poi Valeriani lascia per tornare alla sua passione, quella per la birra. Lavora quindi dal 2012 al Birrificio Menaresta per passare poi, nel 2015, al birrificio Hammer, collaborando insieme alla famiglia Brigati alla sua fondazione e diventandone poi responsabile di produzione.

Un bagaglio di esperienze che inizia a diventare importante, così come i riconoscimenti, come quello di birraio dell’anno nel 2016 e 2018, e quel sogno sempre lì, nel cassetto, pronto a prendere vita. E finalmente, nel 2019, la decisione di valorizzare tutti gli sforzi fatti e di realizzare qualcosa di proprio. Nasce così il Birrificio Alder, a Seregno, nella ex zona industriale Pirelli, contraddistinto da un logo con la foglia di ontano, “alder” in inglese.

«Ho aperto questo birrificio anche grazie al supporto di mio papà Luigi e di mio fratello Andrea, che hanno creduto in me e nel mio progetto diventandone soci – spiega Marco Valeriani -, anche se solo io sono socio lavoratore. La corposa ristrutturazione dei locali è iniziata a gennaio del 2019; i due ambienti che oggi sono adibiti a reparto produttivo e taproom erano infatti un ex magazzino e un’azienda di corsi professionali; abbiamo rifatto tutto, messo tutto a norma e unito i due capannoni. Inizialmente la taproom doveva essere un brewpub, ma cavilli burocratici non ci hanno permesso di fare vera e propria ristorazione, ma solo somministrazione non assistita con degustazione. Devo dire che oggi comunque funziona benissimo, e forse, viste le implicazioni che il Covid ha comportato per i pub, è stato meglio così per noi, che siamo sempre stati aperti e abbiamo sempre lavorato molto. All’inizio facevo tutto io, compresa la gestione della taproom, poi il lavoro è cresciuto e oggi ho quattro dipendenti».

Le lattine come pack privilegiato

Per dare qualche numero: oggi Alder confeziona circa 2000-2500 lattine ogni batch e nel giro di due settimane, sfruttando tutti i canali, il lotto è finito. Nel 2020 ha prodotto 100.000 litri di confezionato, di cui 130.000 lattine; nel 2021 155.000 litri di confezionato, di cui circa 200.000 lattine, e per il 2022 la proiezione è di circa 190.000 litri di confezionato.

Al momento la maggior parte della produzione è distribuita in lattine da 44 cl, ma non mancano fusti in polykeg da 24 litri o da 16 per birre speciali, mentre l’acciaio è utilizzato solo internamente. Le bottiglie sono destinate soltanto a tirature limitate, da circa 500 pezzi l’una, e raggiungendo soltanto poche migliaia di pezzi all’anno sono imbottigliate manualmente.

«Noi qui siamo al massimo dell’espansione possibile – afferma Valeriani -. Il birrificio è volutamente piccolo tanto che non abbiamo distributori ma vendiamo tutto direttamente, perché il nostro obiettivo è quello di fare la birra più buona possibile, senza scendere mai a compromessi qualitativi sulle materie prime o sui processi. Abbiamo un ceppo di proprietà a bassa fermentazione e usiamo altri ceppi di lieviti selezionati appositamente per certi stili; selezioniamo i migliori malti possibili da Weyermann e Simpsons, più altri malti speciali che magari ci servono nel corso dell’anno; i luppoli cerchiamo il più possibile di comprarli direttamente dai produttori, sia americani, sia tedeschi che neozelandesi».

Tradizione al primo posto

Dall’apertura a oggi Alder ha realizzato più di 40 birre. La produzione fondamentalmente è divisa in due macro categorie: birre di ispirazione anglo americana, fra cui American IPA, American Pale Ale, Double IPA, in tutte le loro sfaccettature, e poi le Lager, birre di ispirazione tedesca, soprattutto francone.

«Sicuramente la nostra birra di punta è la Rockfield – continua Valeriani -, la nostra american IPA, la prima IPA che abbiamo prodotto e quella che ancora oggi produciamo di più. Come Lager invece la Karpfen (Zwickel pils), anche quella molto apprezzata dagli amanti del prodotto. Birre ‘strane’ non ne facciamo perché a me piace molto essere inquadrato nello stile tradizionale. La cosa più particolare che realizziamo sono le birre scure, dove magari utilizzo cacao, caffè, vaniglia o sciroppo d’acero in fermentazione, ma a parte questo non utilizzo frutta o altro, al momento non mi interessa. Credo che ognuno debba seguire la propria visione e secondo me la cosa più importante è che alla fine il prodotto sia buono. Quando realizzo birre tradizionali mi piace rispettare fino in fondo la tradizione, quindi usare determinate tecniche. Nella produzione delle lager, ad esempio, non facciamo il dry hopping, mentre la produzione di altre birre moderne, come ad esempio la double IPA Boss Robot, è meno rigorosa, e ne risultano birre molto torbide, velate, dove c’è aggiunta di frumento, di avena… Il concetto produttivo di questo prodotto è quello di dare meno amaro possibile e di esaltare al massimo la componente succosa e aromatica del luppolo, selezionando quindi ceppi di lievito meno attenuanti, che hanno un profilo aromatico magari più tendente alla parte di frutta gialla, che ceppi di lievito più neutri, e quindi lasciano una parte zuccherina residua, e la birra un po’ più rotonda, un po’ più morbida. Poi ci sono altre birre come la recente Point Loma, IPA di vecchia scuola californiana, quindi più secca, limpida, amara».

Dove manualità e tecnologia si incontrano

Ma se l’estro del birraio è fondamentale, altrettanto lo è la tecnologia di produzione, sulla quale Alder fin da subito ha investito parecchio. Il reparto produttivo infatti, gestito con alti standard di pulizia e igiene, è dotato di macchinari di ultima generazione. «Tutta la cantina e la parte calda è di Impiantinox EasyBrau Velo – afferma Valeriani -; la sala cottura era un prodotto di base e io ho fatto apportare alcune modifiche per adattarla a un birrificio piccolo: ad esempio tubature differenti, aggiornamenti software per avere una sorta di automazione nella gestione del processo, valvole completamente manuali eccetera. L’impianto è da 10 hl, però è particolare: abbiamo ancora il bollitore centrale col cappello cinese alla tedesca, tre contalitri sull’impianto che ci permettono di gestire in automatico tutta la parte di lavaggio delle trebbie, e tutta la parte di filtrazione o di conteggio del mosto. Abbiamo personalizzato l’impianto non tanto per rendere il processo più comodo possibile per l’operatore, aspetto comunque importante, ma per la ripetibilità del prodotto, per cercare di immagazzinare più dati analitici possibile, in modo da capire come e dove migliorare una ricetta». E aggiunge: «Per la cantina siamo partiti con cinque serbatoi da 25 hl e due da 10 hl per le birre con tiratura più ridotta, come le birre scure o magari prodotti sperimentali, poi ne abbiamo comprato un altro l’anno scorso e altri due nel 2020, durante il lockdown, perché non bastavano; teoricamente ce ne potrebbe stare ancora uno ma poi si creerebbero problemi logistici di stoccaggio e magazzino che non potremmo gestire».

L’impianto di cottura EasyBrau Velo

L’azienda lavora tutto in isobarico, con controlli dell’ossigeno in linea sia sulla cantina sia sul confezionamento: pre, durante e post packaging, per controllarne i valori e ridurre l’ossidazione del prodotto. I prodotti tradizionali come le birre belghe vengono rifermentati in maniera tradizionale, ma si tratta comunque di tirature limitate.

L’infustatrice Sifa è utilizzabile sia per fusti in acciaio, con cicli di lavaggio, sterilizzazione e riempimento, sia per i fusti a perdere, con il solo ciclo di riempimento. «Anche per i fusti – spiega Valeriani – fin da subito abbiamo deciso di acquistare una macchina apposita, e infatti possiamo decidere quante volte flussare il fusto per esempio prima del riempimento, per ridurre il contenuto di ossigeno. I fusti usa e getta che si acquistano infatti, dichiarati O2 free, si rifanno a standard che per la birra sono troppo elevati; noi quindi li flussiamo e andiamo a rimuovere il gas inerte utilizzato dal produttore, e lo sostituiamo con CO2 in modo tale che la birra abbia meno ossigeno possibile. Ma ci è utile anche per la regolazione del gas nel fusto, o per il contalitri, che mi garantisce che nel fusto ci siano effettivamente i litri dichiarati».

L’inlattinatrice GAI preceduta dall’etichettatrice ENOS

In Alder non manca naturalmente l’inlattinatrice: una monoblocco Gai lineare a quattro teste di riempimento. Una macchina compatta, dalla capacità di circa 1000 lattine/ora, elettropneumatica con la quale è possibile gestire singolarmente le fasi di flussaggio, pressurizzazione e riempimento.