Gai per il Birrificio dell’Anno MC77

Dove si trovi Caccamo di Serrapetrona buona parte d’Italia ne è oggi a conoscenza grazie a due ragazzi marchigiani trentottenni, coppia nella vita e nel lavoro. Cecilia Scisciani e Matteo Pomposini hanno iniziato a fare birra in casa nel 2004, nel 2012 hanno lavorato come beerfirm e nel 2013 hanno aperto un proprio birrificio in provincia di Macerata. Ora producono annualmente 1.500 ettolitri di birra e sono saliti sul podio di UnionBirrai come Birrificio dell’anno 2021. Imbottigliano in isobarico quando in Italia erano ancora in pochissimi a farlo. Sulle 100.000 bottiglie l’anno. E ora si affiancherà il formato in lattina, sempre in partnership con Gai Macchine Imbottigliatrici Spa come fornitore. Ne abbiamo parlato con loro, giustamente felici del riconoscimento in quanto “consolidamento di ciò che facciamo tutti i giorni”. E abbiamo sentito anche il fornitore dei loro impianti di imbottigliamento – nel 2016, le bottiglie in isobarico e ora nel 2021 le lattine – Enrico Dogliani di Gai, una collaborazione che indicano fruttuosa e decisiva per il salto di qualità del loro prodotto.

Gli esordi

«Io e Matteo ci siamo conosciuti sui banchi di scuola al liceo scientifico e insieme ci siamo appassionati alle birre artigianali nel periodo universitario a Roma – ricorda Cecilia Scisciani, 38 anni, di San Severino Marche -. Matteo si è laureato in ingegneria delle telecomunicazioni e io in biotecnologia industriale. In una delle ultime lezioni di biochimica, il docente fece tenere un laboratorio pratico da Leonardo Di Vincenzo, poi mastrobirraio di Birra del Borgo. Così con Matteo decidemmo di comprare le prime pentole e farci la nostra birra in casa, quando tornavamo il weekend nelle Marche, prima nei nostri garage e poi in una casa di famiglia a Serravalle di Chienti sulla Statale 77. Per questo ci siamo chiamati MC77: la strada in cui siamo nati, che è ancora la stessa qui a Serrapetrona, ma anche perché MC è la sigla della nostra provincia, così come le iniziali dei nostri nomi. Nel 2012 abbiamo avuto una breve parentesi di un anno come beerfirm, producendo un centinaio di litri presso il Birrificio Maiella in Abruzzo. Ma a noi quel che è sempre piaciuto della birra è stato farla. Per cui l’anno seguente abbiamo aperto il birrificio».

La produzione

«Avevamo il chiodo fisso di fare la nostra birra e Leonardo Di Vincenzo è stato la nostra guida spirituale – prosegue Matteo Pomposini, 38 anni, di Tolentino -. Terminato il dottorato e gli assegni di ricerca, potevamo costruirci una carriera molto probabilmente andando all’estero, o perseguire questa strada. Per fortuna, in questa scelta, abbiamo avuto l’appoggio delle nostre famiglie che ci hanno sostenuto nei primi acquisti e così siamo partiti con un impianto Spadoni a due tini da 5 ettolitri. Che nel 2017 abbiamo cambiato, sempre con un impianto Spadoni, da 12 ettolitri con tre tini. Di mezzo c’è stato il terremoto che ha sconvolto il Centro Italia. Per fortuna, non abbiamo avuto danni gravi a struttura e impianti, ma una inagibilità lieve in cui siamo stati chiusi un paio di mesi. L’imbottigliatrice era nuova di zecca, appena arrivata: stava sotto una colonna portante e si è salvata. Ma abbiamo dovuto traslocare tutti i macchinari e appoggiarli temporaneamente in altri spazi. Il giorno dopo, sia Gai che Spadoni, erano qui per aiutarci e caricare tutto. E poi c’è stata anche una raccolta fondi, tra distributori e altri birrifici, che non ci ha fatto sentire soli. Quando siamo rientrati nel capannone nuovamente agibile, ne abbiamo approfittato per un cambio impianto che era già stato programmato e abbiamo aumentato la capienza di cantina. Il primo anno di attività abbiamo prodotto sui 200 ettolitri. Normalmente ora produciamo attorno ai 1500 ettolitri di birra all’anno. Quando siamo partiti avevamo una capienza complessiva da 20 ettolitri, con un fermentatore da 10 ettolitri e cinque da 5 ettolitri; ora abbiamo una capienza totale di 200 ettolitri, con sei fermentatori da 25 ettolitri e quattro da 12 ettolitri. Fino al 2015, lavoravamo prevalentemente in fusti e le pochissime bottiglie che facevamo, le confezionavamo con una macchina manuale a caduta, ma la qualità non era quella che volevamo. Dal 2016, entrata in funzione l’imbottigliatrice isobarica della Gai, la proporzione è cambiata. Prima lavoravamo al 90% fusti, oggi facciamo un 30% di bottiglie. Tanto più con l’emergenza sanitaria da Covid19 e la lunga chiusura forzata di bar e ristoranti, la vendita di sfuso è diminuita notevolmente, mentre la quota di bottiglie è quasi raddoppiata. Ora siamo pronti per il grande passo verso il mondo delle lattine».

Le vendite e gli investimenti

«Già prima del lockdown avevamo predisposto il nostro e-commerce – spiega Cecilia – così quando tutto era chiuso e i clienti iniziavano a ordinare birre online, eravamo già pronti: non solo l’interfaccia sul sito, ma l’organizzazione di back-office con gestione ordini e spedizioni. Sul mercato nazionale siamo presenti con alcuni rappresentanti nelle Marche, in Emilia-Romagna, Umbria e Abruzzo. Abbiamo un distributore per la zona di Roma, Puglia, Lombardia, Veneto, più altri piccoli contatti. Quanto al mercato estero non l’abbiamo ancora approcciato seriamente se non con piccole vendite: all’estero vanno molto le lattine, ci stiamo attrezzando, un passo alla volta, con la giusta pignoleria. Nel 2021 abbiamo fatto investimenti importanti: per ottimizzare gli spazi produttivi e predisporre una struttura adatta ad ospitare una crescita dei volumi produttivi, abbiamo acquistato una nuova cella frigo e una stanza malti. Da fine anno inizieremo a usare la nuova lattinatrice acquistata da Gai».

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