Simone Cantoni: il poeta della birra

Simone Cantoni, pisano, classe 1967, già giornalista laureato in storia contemporanea, è da tempo un punto di riferimento nel panorama della degustazione e dell’abbinamento eno-grastronomico, del vino in qualità di sommelier, del formaggio, dei salumi e della birra, sia in ambito locale che internazionale. Opera anche come redattore per diverse testate di settore e di carattere più genericamente “gastronomico”, come docente sia in corsi di degustazione sia di divulgazione della cultura birraia. È anche giudice in concorsi nazionali e internazionali. È inoltre autore di diversi libri in tema di abbinamento “birra-gastronomico”. Ci siamo incontrati nel recente concorso Birra dell’anno e abbiamo approfittato per scambiare quattro chiacchiere.

Simone, come nasce la tua passione per le birre artigianali?

La passione per la birra artigianale è l’evoluzione dell’interesse per la birra in quanto tale. Nato, quest’ultimo, già tra la metà degli anni Ottanta e quella del decennio successivo, quando, dall’adolescenza in poi, mi sono avvicinato ai marchi commerciali più prestigiosi, a partire da quelli belgi, in particolare di ambito trappista. Del movimento artigianale ho assistito alla nascita ormai da adulto; ne ho seguito la crescita e, inevitabilmente, ho aderito alla sua “causa”

Da osservatore privilegiato, dove pensi sia arrivato il movimento birrario italiano e dove può ancora arrivare?

È arrivato a compiere solo i primi passi del proprio percorso esistenziale; il quale ha ancora chilometri e chilometri da coprire. Il consumo di birra artigianale in Italia corrisponde a una minima parte (il 4% scarso) di quello di birra in senso complessivo; e quest’ultimo è, esso stesso, particolarmente modesto: circa 30 litri pro capite l’anno. Ci sono praterie di fronte, a disposizione per essere colonizzate, purché si creino le condizioni adeguate (di costume e di normativa, ad esempio fiscale) e purché si sappiano sfruttare quelle condizioni.

Come vedi il panorama toscano e come si relaziona rispetto al contesto nazionale?

In crescita, qualitativamente e dimensionalmente; ma con grande lentezza: d’altra parte la Toscana è la regione in cui si beve meno birra, circa 11 litri pro capite l’anno. Rispetto al resto d’Italia la marcia dello sviluppo è meno serrata, ma con elementi di grande interesse, riguardanti ad esempio esperienze di produzione nel perimetro delle fermentazioni miste.

Proviamo a parlare di vino per parlare di… birra?

Ma certo. Anzitutto perché c’è il tema delle Italian Grape Ale, ovvero quella tipologia brassicola che rappresenta una “terra di mezzo” nella quale il vino e la birra s’incontrano, giacché la seconda utilizza, per il proprio processo produttivo, un mosto costituito non solo da cereali, ma anche da acini di uva, “pigiati” o meno, nonché – facoltativamente – lieviti selezionati per l’enologia. Un’esperienza assai interessante, tra l’altro anche sotto il profilo della prassi tecnologica, offrendo un “banco” di confronto e di scambio.

E visto che ci siamo, proviamo anche a parlare di formaggio per parlare di birra?

Con piacere, anche perché è facile. Nel senso che tra formaggio e birra, in termini di abbinamento, c’è una “affinità elettiva” lampante e oggettivamente riconoscibile. Il primo ha grassi da “sciogliere”, la seconda ha “bollicina, alcol e acidità”, requisiti che sembrano cuciti su misura per questa esigenza. Poi c’è tutto il resto dell’arsenale organolettico di un formaggio: elementi sensoriali tra loro assai diversificati – si pensi alla piccantezza, a certe dominanti olfattive, quali l’affumicatura -, i quali pongono in termini di abbinamento altre esigenze ancora, parimenti assai diversificate. Ecco, di fronte a questo “ventaglio di richieste” la birra, nell’ottica della celebrazione di un buon “matrimonio” in tavola, è in grado di mettere a disposizione un catalogo di prerogative decisamente vasto e, quindi, di sorprendente versatilità.

Abbinamenti birra e cibo: quale la strada percorsa finora…

Una strada che, da parte di chi ha voluto intraprenderla, è stata battuta anche con entusiasmo. Ma, secondo la mia impressione, senza ancora aver elaborato le esperienze compiute in un’effettiva ottica di metodo. E quindi, anche su questo fronte, ci sono praterie nelle quali galoppare in lungo e in largo.

…e quale quella ancora da intraprendere?

La strada che, appunto, prende le mosse dalla costruzione di una organica metodica degli abbinamenti tra birra e cucina. Una metodica consapevole delle proprie potenzialità, senza sudditanze con ciò che l’enogastronomia ha, meritoriamente, consolidato e organizzato “in letteratura”, e consapevole anche dei limiti strutturali connaturati a una metodica di questo genere, legata cioè al “gusto”: nozione nella quale rientrano fattori di discrezionalità tali per cui la pratica dell’abbinamento, così come peraltro quella della stessa degustazione, non riposano su principi “algebrici”. In poche parole, quando si parla di abbinamenti non possono esserci regole (il “due più due fa sempre quattro”), ma piuttosto “ragionevoli indicazioni”, la cui ragionevolezza è tale in base a riscontri statistici e non a leggi matematiche; un altro esempio: abbinare il dolce al sapido – miele e formaggio; formaggi erborinati e vini da dessert… – è ragionevole perché la maggior parte dei consumatori trova che questa combinazione sia un connubio armonico.

Credi sia cambiato, negli anni, il profilo del consumatore di birra artigianale? E se sì, in quali aspetti?

È cambiato, sì: nella maggiore consapevolezza sia del valore organolettico del prodotto che predilige sia dei termini che definiscono un prodotto come artigianale. Il rischio è quello di dare vita a un atteggiamento snobistico nei confronti di coloro – e sono molti – che la transizione dal consumo di prodotto industriale a quello di prodotto artigianale ancora non l’hanno compiuta. A costoro occorre rivolgersi parlando da pari a pari, non dall’alto verso il basso: perché è in questo esercito di bevitori che si trovano, oggi, le schiere di quanti domani potranno far crescere il segmento della birra artigianale.

Sei giudice in concorsi birrari nazionali ed internazionali: secondo te, cosa spinge un produttore a inviare le proprie birre ad un concorso birrario e cosa lo spinge a… non inviarle?

Ad esempio, chi iscrive le proprie birre ha, in genere, la curiosità di confrontarsi con un riscontro circa il profilo del proprio prodotto. Chi non le iscrive, oltre a motivazioni anche diverse, o non sente tale curiosità, o considera che gli elementi di aleatorietà inevitabilmente presenti in un concorso abbiano una portata e un’incidenza per cui il riscontro valutativo che se ne ricava non possa essere abbastanza lineare.

Cosa c’è dietro l’angolo?

Spero una ripresa in grande stile, dopo quasi due anni di sostanziale arresto del settore: di blocco o di forte contrazione delle vendite; di riprese temporanee e illusorie; di perdite economiche emorragiche; di situazioni aziendali tra il difficile e il critico. Spero davvero che dietro l’angolo ci sia un nuovo “boom”.