Rebeers, gli artigiani del Tavoliere delle Puglie

Michele Solimando

Michele Solimando di Rebeers ha saputo valorizzare materie prime e processi produttivi in una zona dove i birrifici artigianali sono ancora pochi rispetto ad altre aree del Paese

Michele, come sei diventato birraio e cosa vuol dire per te essere artigiano?

La mia attuale “professione” di birraio – ma mi piace di più definirmi “artigiano della birra” – è la naturale conseguenza della mia storia personale e di una certa propensione a una vita, personale e professionale, ispirata ai valori dell’artigianato: nasco in una famiglia di agricoltori della Daunia, coltivatori anche di grano duro (la mia futura “madeleine”); dopo il liceo mi laureo in Scienze Agrarie con una tesi di laurea sul grano duro; esercito la libera professione di dottore agronomo per diversi anni; nel frattempo comincio a brassare da homebrewer; la cosa mi appassiona sempre di più e decido di approfondire gli aspetti tecnico-scientifici con un primo passaggio al CERB di Perugia, dove ritornerò altre volte; conosco Luigi Serpe che diventerà poi la mia guida infallibile durante tutto il mio percorso birrario; frequento la Doemens Academie per il percorso formativo da biersommelier e altri approfondimenti e lì conosco Simonmattia Riva, altra mia infallibile guida. Nell’aprile 2014 la mia “prima cotta” (accanto a Luigi Serpe) su una sola cottura da 12 ettolitri, in quello che fu il mio primo birrificio e la mia prima creatura birraria: ebers beers! Nel mese di maggio 2019 la mia seconda “prima cotta” su una sala cotte da 24 ettolitri da me progettata, nell’attuale birrificio, la mia seconda creatura birraria – REBEERS – con accanto Giovanni Simeone, il mio attuale socio. Nel mezzo (2017) anche un infarto, superato, a colpi di dry hopping!

Questi i passaggi più salienti del mio percorso da “birraio”. Per il titolo di “mastro” attendiamo, qualora dovesse arrivare, quella che il pubblico e la critica giudicheranno “opera maestra”!

Durante il percorso descritto sopra ho rinunciato, non senza difficoltà, alla libera professione e al mitico “posto fisso” per dedicarmi esclusivamente e professionalmente alla professione di “artigiano della birra”. È la dimensione in cui ritrovo la “pace professionale” perché mi consente di mettere insieme gli aspetti di libera creatività nell’ideazione di un prodotto, quelli tecnico-scientifici di realizzazione del prodotto stesso, quelli gestionali dell’operatività e redditività aziendale, quelli relazionali di creazione e mantenimento di un mercato. Il tutto nell’ambito di un’attività “agro-alimentare”, che è il mondo in cui sono nato e per il quale ho studiato.

Non era, in realtà, la mia ambizione da giovane… La folgorazione è arrivata “strada facendo”, ovvero scoprendo il mio essere nel mentre vivevo (e scartavo) le mie altre due dimensioni lavorative. Nel 2016 mi convinco di voler vivere solo di birra e birrificio, facendo una scelta di cuore e d’istinto più che di testa, ma che razionalizzerò di lì a poco quando, tra le mie fedeli compagne di strada, le mie letture, mi imbatto ne “L’uomo artigiano” di Richard Sennet. In quelle splendide e lucide pagine scoprirò che dentro di me covava il bisogno di sentirmi “artefice di me stesso”, nel Kantiano “connubio mano-mente” e nello scorrere del “tempo lento”, quello dell’artigiano.

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