La sfida del Luppolo Made in Italy

L’Umbria si candida a diventare il centro del più grande distretto per la produzione di luppolo di qualità in Italia, ed è protagonista di un progetto per dare vita a un modello innovativo di innovazione e sostenibilità.

Un obiettivo ambizioso, alimentato da Luppolo Made in Italy, una rete formata da 13 imprese, sostenuta dal mondo della ricerca e dalle istituzioni, tutti impegnati nella costruzione di un prototipo di filiera completa, che comprenda sperimentazioni sull’intera catena di prodotto, dalla produzione alla trasformazione, fino alla commercializzazione.

Tra gli attori protagonisti, oltre agli agricoltori, ci sono Aboca, Agricooper, Idroluppolo, il CERB (Centro di ricerca per l’eccellenza della Birra) dell’Università di Perugia e CNR IBBR che ha realizzato, sul territorio umbro, il modello più avanzato di ricerca genetica sulle piante autoctone su base territoriale. Tanto è già stato fatto, molti e ambiziosi sono gli scenari per i prossimi anni, presentati durante un esaustivo convegno organizzato per presentare i risultati ma soprattutto individuare gli scenari e le potenzialità della sfida.

«Il nostro progetto di ricerca – ha detto il presidente di Luppolo Made in Italy Stefano Fancelli – si propone di creare su questo territorio, aprendoci poi ad altre realtà nazionali, un grande distretto biologico di produzione del luppolo, puntando innanzitutto sulla possibilità di riutilizzare e integrare filiere già esistenti, prima su tutte quella del tabacco, per innovare portando reddito alle imprese. Il mercato della birra nel nostro Paese è in straordinaria crescita e, grazie soprattutto al fiorire di birrifici artigianali, cresce la domanda di luppolo italiano e allo stesso tempo la richiesta di nuove varietà che supportino i nuovi stili birrari».

UNA COMMODITY AGRICOLA

L’alta valle del Tevere e l’Umbria diventeranno un vero e proprio laboratorio per costruire una filiera moderna di questa coltura ricca e impegnativa. Il luppolo, infatti, è definita come una commodity agricola, tanto che attualmente, nel mondo, gran parte dei lotti coltivati sono già contrattualizzati con i trasformatori quando le piante sono ancora in campo. Pur occupando con la sua produzione una ‘nicchia’ nell’agricoltura mondiale, infatti, il luppolo è in grado di muovere un controvalore economico superiore ai 3,5 miliardi di euro, cifra difficilmente raggiungibile con altre colture. Mai come in questo caso, però, “piccolo non è bello”. Per essere sostenibile, infatti, la filiera deve essere costruita nel segno dell’aggregazione e della cooperazione degli operatori, per garantire adeguati standard di qualità e quantità che possano permettere di operare nel mercato globale. L’Italia, ottavo paese al mondo per la produzione di birra, con uno dei più alti tassi di crescita, oggi importa la quasi totalità del luppolo per il suo fabbisogno brassicolo (+121% nel 2018). Questa “fame” di prodotto rappresenta una grande opportunità per alimentare l’ambizione di una filiera, oggi in fase di startup, che si propone nei prossimi tre anni di alimentare una produzione di 100 ettari e ambire 1000 in dieci anni, sempre con l’attenzione di governare la crescita senza perdere di vista le esigenze del mercato (e quindi di tutelare la redditività delle aziende), con il sogno di alimentare una potenzialità ancora maggiore, che farebbe del Paese un player importante nel mondo, con quote comprese tra il 3,5 e l’8% di luppolo coltivato.

IMPARARE DALLE ESPERIENZE MIGLIORI

«Il nostro progetto – prosegue Fancelli – già dopo i primi due anni di lavoro ha ampiamente superato le aspettative legate a una semplice idea di fattibilità. Oggi siamo pienamente operativi per innovare tutta la filiera. Un esempio è l’utilizzo dei forni per l’essiccazione del tabacco, coltura tradizionalmente radicata in Umbria, che si stanno dimostrando strumenti tecnici perfetti anche per il luppolo. Un vantaggio competitivo che vogliamo sfruttare pienamente e che ci da la possibilità di creare il più grande centro di essicazione a sud della Baviera. Ma è in tutti i campi che vogliamo puntare all’eccellenza, dedicando grandissima attenzione allo studio dei migliori casi all’estero che, dal campo alla trasformazione, per riuscire a  reingegnizzare questi modelli di produzione adattandoli alle caratteristiche del nostro territorio».

VERSO UN LUPPOLO BIOLOGICO ITALIANO

A che punto siamo? Considerato che le piante iniziano la produzione a partire dal terzo anno, oggi il progetto conta su 3 ettari sperimentali, in gran parte a coltivazione biologica, sui terreni di diverse aziende umbre. In questa fase, vengono messe in campo diverse varietà non protette da copyright, ma è attivo il lavoro per giungere ad accordi che prevedano la coltivazione di varietà in esclusiva per l’Italia. Il percorso di attenzione per l’intero sviluppo della filiera prevede sperimentazioni in campo e indoor, assistenza agronomica e coordinamento dei produttori con momenti di formazione continua. Parallelamente, il mondo della ricerca è attivo nello studio dei luppoli internazionali, ma anche per studiare futuri nuovi luppoli, partendo dalla caratterizzazione di quelli selvatici presenti sul territorio, ai fini della “creazione” e della registrazione di futuri grandi classici italiani che possano distinguersi e diventare attrattivi nel mondo. Altri punti fermi del percorso riguardano tracciabilità del prodotto, classificazione della qualità, trasformazione, conservazione e logistica, fino alla commercializzazione, così come l’attenzione agli aspetti innovativi della componente tecnologica in tutte le fasi, completando in questo modo un business plan completo per una filiera moderna e competitiva. Inoltre,  i partner del progetto valutano le potenzialità del luppolo anche per il settore officinale e cosmetico, così come il suo utilizzo nel tessile, oltre al recupero degli scarti destinati alla produzione di bioenergie.

CONFRONTO CON GLI STAKEHOLDERS

Il convegno è stato occasione per approfondire la tematica dai più svariati punti di vista: dalle innovative esperienze di coltura indoor tramite tecniche di agricoltura idroponica presentate dalla startup Idroluppolo, all’analisi delle prospettive dal punto di vista agronomico e industriale, fino alla presentazione di esperienze già in essere in Italia, come quella a cura di Cooperativa Luppoli Italiani in Emilia Romagna e quella di Italian Hop’s Company.

Per Andrea Soncini (UnionBirrai) «Il mondo dei 380 microbirrifici italiani, guardano con estremo interesse allo sviluppo di luppoli che possano rendere sempre più caratterizzanti, distintivi e qualitativamente appetibili i propri prodotti. Siamo convinti che l’eccellenza che contraddistingue il Made in Italy derivi dalla sintesi di eccellenze diverse. Per questo, c’è voglia di lavorare a sinergie con il mondo della ricerca e della produzione di luppolo e siamo ovviamente disponibili a organizzare test e momenti di confronto per saggiare le potenzialità delle varietà che ci verranno proposte».

Una proposta già recepita dalla Rete, che ha in programma di inviare campioni di luppolo ai mastri birrai italiani, a cui verrà richiesto un feedback sui risultati ottenuti attraverso le loro prove di brassitura.

Per il presidente di Assobirra Michele Cason «La condizione imprescindibile per il successo di una vera filiera del luppolo in Italia è legata innanzitutto alla capacità di mettere in contatto la filiera produttiva con quella della trasformazione, superando la logica dell’autoconsumo, puntando a un produzione continua e garantita. Ma, soprattutto, bisogna puntare su nuove varietà di luppolo di altissima qualità, che sappiano imporsi anche sui mercati internazionali distinguendosi per caratteristiche uniche. Serve, insomma sviluppare una cultura del luppolo italiano eccezionale».

Insomma, il lavoro è ancora lungo, ma il progetto è ambizioso e prosegue con la consapevolezza che anche nel nostro Paese la cultura del luppolo è matura. I margini di miglioramento sono ampi, i mercati potenzialmente raggiungibili si aprono di pari passo con la capacità sempre più comprovata delle birra nazionale di farsi conoscere e competere, esprimendo anche in questo campo tutte le potenzialità della creatività italiana.