Tutto ha inizio con una passione per il prodotto. È da qui che quasi sempre, forse sempre, prendono le mosse i birrifici, anche quelli al femminile. Sempre più numerosi nel nostro Paese, è difficile averne un conteggio preciso. Una rilevazione di qualche anno fa, l’unica del genere disponibile, indicava la presenza in Italia di circa una settantina di aziende birrarie in cui una donna era titolare o contitolare. Animate da un grande interesse per il prodotto, per le sue caratteristiche organolettiche, la sua versatilità e le sue enormi potenzialità, molte delle donne che oggi troviamo come birraie hanno sicuramente un passato prima come consumatrice e talvolta come homebrewer. C’è chi vede nella birra un’occasione per ‘rifarsi una vita’, per riciclarsi magari dopo un licenziamento, così come una concreta opportunità di business in momenti difficili del mercato come quelli attuali (non dimentichiamo che quello della birra è uno dei pochi in Italia che mostrano un segno positivo). Una volta approdate nel mondo birrario, le donne dedicano al prodotto un’attenzione estrema in tutte le sue fasi. La maggior parte degli sforzi viene dedicata alla brassatura e alla ricetta, così come al confezionamento con una dose di creatività davvero unica. Ma forse, come tengono le stesse birraie intervistate a sottolineare, la cifra che contraddistingue una gestione al femminile del birrificio è la capacità di una visione globale che porta alla creazione di reti e connessioni impensabili.
Scopriamo la vita di una birraia attraverso le parole di tre donne.
Elisa Lavagnino: il ritorno alle origini
Una laurea, un dottorato di ricerca e poi, con un incredibile colpo di scena, volta le spalle all’università e ritorna alle origini, alle sue radici, in quella Val di Vara, e per la precisione a Torza, dove i nonni avevano un’attività produttiva e commerciale: spume, vino e acqua minerale. E proprio qui Elisa Lavagnino decide di fare della sua passione per la birra da consumatrice una professione di cui vivere, ma con la quale anche divertirsi e sperimentare, soffrire e gioire al tempo stesso. Con la stessa meticolosità che l’aveva portata a intraprendere la carriera universitaria, compie il suo percorso birrario a partire dal Piccolo Birrificio Clandestino, dove trova uno gruppo di persone, che non esita a definire ‘meravigliose’, da cui impara l’arte della birra, ma non solo. Qui respira l’entusiasmo e la voglia di fare, ingredienti privilegiati di un settore duro ma che può essere anche generoso di soddisfazioni. Così, dopo un periodo come beer firm, nel gennaio del 2016 Elisa avvia la produzione nella sua azienda. «Taverna del Vara è nata pensando a uno stretto legame col territorio: utilizzo grano locale, ma anche farro, castagne e miele di piccoli produttori come noi con i quali abbiamo sviluppato una rete informale – spiega Elisa -. Per non parlare del luppolo, che in parte coltivo personalmente nel mio luppoleto (500 piante soprattutto di varietà Cascade). La produzione è partita con una capacità di 100 litri e nel 2018 siamo passati ai 500. Con me, mio cognato Simone, socio e responsabile amministrativo, oltre a un commerciale. In questi anni l’azienda è cresciuta non solo sotto il profilo quantitativo, ma anche puntando a una serie di servizi, come lo spaccio aperto all’inizio dell’estate».
Taverna del Vara è anche fattoria didattica e l’anima formativa sul piano delle innovazioni dell’azienda viene sviluppata con collaborazioni di alto livello, come quella avviata con le Università di Genova, Valencia e Aberdeen per il recupero delle sostanze esauste (malto e acqua), in particolare utilizzando il malto a fine produzione come mangime per l’allevamento o addirittura come fonte energetica per il riscaldamento e l’acqua di fine processo per l’irrigazione.
«Un importante obiettivo che abbiamo appena raggiunto – continua Elisa – è la certificazione bio, che caratterizzerà alcuni prodotti, in particolare Bio per Caso (una Session IPA), Baracchina (Amber Ale con miele bio della Val di Vara) e Lampo (Pale Ale ai lamponi bio), tre birre di cui vado orgogliosa e che mi rappresentano in quanto prodotti fortemente localizzati oltre che biologici, cioè ottenuti con un profondo rispetto per la natura e il territorio».
Vuoi continuare a leggere?
Se sei GIA’ abbonato accedi all’area riservata
Se NON sei abbonato vai alla pagina degli abbonamenti