Il contributo della filiera della birra italiana alla crescita della ricchezza e al benessere del nostro paese – il cosiddetto valore condiviso – è cresciuto negli ultimi 3 anni di oltre 1 miliardo di euro (+17%) passando da 7.834 milioni di euro a 9.169 milioni di euro. “Doppiando” la performance dell’economia italiana nel suo complesso (+7% dal 2015 al 2018).
I dati sono stati diffusi dall’Osservatorio Birra con la presentazione del 3° Rapporto “La creazione di valore condiviso del settore della birra in Italia”, realizzato da Althesys per conto della Fondazione Birra Moretti, fondazione di partecipazione costituita nel 2015 da HEINEKEN Italia e Partesa al fine di contribuire alla crescita della cultura della birra in Italia. Per calcolare il valore condiviso, lo studio ha analizzato tutte le fasi della filiera della birra (approvvigionamento materie prime, produzione, logistica, distribuzione e vendita), considerando gli effetti diretti (valore aggiunto, contribuzione fiscale, occupazione, ecc.) delle attività dell’industria birraria italiana, quelli indiretti e indotti, le ricadute degli investimenti pubblici.
Questa crescita non ha portato ricchezza solo a chi produce la birra. Anzi, ne hanno beneficiato soprattutto le fasi a valle e a monte della filiera… e lo Stato italiano. In percentuale sale soprattutto il valore condiviso relativo alle forniture di materie prime (+55%, da 273,3 a 423,6 milioni di euro). Mentre hanno una crescita in linea con la media della filiera (tra il +13 e il +17%) le fasi della produzione e della distribuzione e vendita, anche se più rilevante in valori assoluti (rispettivamente 1632 milioni e 7.051 milioni di euro). E in 3 anni aumenta del +19,4% il contributo fiscale della filiera della birra, che nel 2018 ha portato alle casse dello Stato ben 4,3 miliardi di euro, mentre le accise sono passate da 609 milioni di euro a 711 milioni (+16,7%).
Questa fotografia mette in luce come, guardando la filiera della birra nel suo insieme, le fasi a monte e a valle della produzione hanno un impatto maggiore rispetto alla sola fase di creazione della birra. Se, quindi, in uno scenario ovviamente irrealistico in Italia scomparisse tutto ciò che contribuisce alla produzione, distribuzione e consumo della birra, si creerebbe un “vuoto” in termini di ricchezza generata – per gli agricoltori che coltivano l’orzo, per chi produce il pack e le bottiglie, per chi lavora negli impianti produttivi, per chi la trasporta, immagazzina e vende, dai bar, ai ristoranti ai supermercati – pari allo 0.52% del PIL italiano. Mentre nel paragone con altri comparti del Made in Italy, la ricchezza generata dalla birra rappresenta la metà del valore della produzione di bevande nazionale.
La ricerca si è concentrata sul triennio 2015-2018 perché coincide con il picco della “primavera della birra” e cioè con quel fenomeno gastronomico, culturale e socio-economico connesso alla nuova curiosità degli italiani verso il mondo della birra.
In 3 anni 4500 nuovi posti di lavoro: il settore occupa più di 90.000 persone
In termini di occupazione, la birra permette a quasi 100.000 famiglie di avere una fonte di reddito, assicurando lavoro a 92.190 dipendenti distribuiti proporzionalmente lungo l’intera filiera, distribuendo salari lordi di oltre 2,5 miliardi di euro (2.525 milioni di euro). In 3 anni la filiera della birra è stata in grado di offrire ben 4.500 posti di lavoro in più (il numero di dipendenti nel 2015 era infatti di 87.668). In particolare, nel 2018 per ogni addetto alla produzione della birra, il settore è riuscito ad assicurare ben 29,3 occupati complessivi a livello di filiera.
Dalle aziende investimenti e know how per alimentare il trend birra
Il contributo delle aziende birrarie a questo percorso di valorizzazione della birra e della sua cultura è fondamentale e si declina tra innovazione, alta formazione, diversificazione dei gusti e dell’offerta. In 3 anni, i grandi gruppi hanno avuto la possibilità di investire e i piccoli imprenditori di crescere ulteriormente e ampliare la propria capacità distributiva. Gettando così le basi perché la “Primavera della Birra” possa diventare una stagione più matura.
Søren Hagh, Amministratore Delegato di HEINEKEN Italia: «Il consumatore italiano cerca sempre più birre che hanno una storia da raccontare, un’esperienza in cui possano riconoscersi. Heineken Italia ha interpretato questa istanza fornendo un respiro nazionale o perfino internazionale a brand che avevano un vissuto soprattutto regionale. È una filosofia imprenditoriale, un percorso che abbiamo cominciato con Birra Moretti, passando per Ichnusa fino alla novità di quest’anno Birra Messina, un marchio fino a poco tempo fa quasi sconosciuto dagli italiani ma vero e proprio orgoglio per la Sicilia».
Milano e Roma, centri nevralgici della Primavera della birra
L’Osservatorio Birra 2019 mostra per la prima volta quanto la birra sia “di casa” nei due poli di riferimento per imprenditoria e turismo, approfondendo per la prima volta il ruolo di Roma e Milano come centri nevralgici della “Primavera della birra”. Le due città termometro delle tendenze del Paese rappresentano, assieme alla loro provincia, quasi il 20% delle vendite totali di birra nel canale moderno (Super + Iper), che nel 2018 ha toccato un valore condiviso di 1.347 milioni di Euro. Nel dettaglio (dati IRI 2018), Roma rappresenta i tre quarti, a volume e valore, della birra venduta nel Lazio, con una crescita del +25% rispetto al 2015. Gli oltre 500mila ettolitri di birra venduta in iper e supermercati nel Lazio, rappresentano il 9% del totale nazionale in questo canale. Per un valore di quasi 100 milioni di euro (98,8 mln), lo 0,1% del PIL regionale. Mentre la provincia di Milano copre quasi la metà (47%) della birra venduta nei supermercati e ipermercati della Lombardia (+12% rispetto al 2015). Rappresenta, in valori assoluti, la prima città d’Italia in questa speciale classifica, forte anche della presenza di importanti aziende birrarie e del maggior numero di birrifici artigianali del paese (137).