Riportiamo l’intervista integrale a cura di Giuseppe Perretti a Michele Cason, tra i relatori del convegno del 19 giugno “Il futuro della birra in Italia. Prospettive e opportunità per una filiera in evoluzione“.
Partendo dall’interessante introduzione dell’Annual Report AssoBirra 2017, “il 2017 è un anno di record…”, credo sia interessante trattare le parole chiave che sono citate in quell’introduzione e chiedere al Presidente di AssoBirra, Michele Cason, la spiegazione degli eventi che hanno poi caratterizzato il 2018 e la prima parte del 2019.
In particolare, Presidente Cason, quali sono i record menzionati e le ragioni del successo della filiera birra in questi ultimi due anni?
Le ragioni del successo nascono in realtà da lontano e in quest’ultimo periodo ne stiamo raccogliendo i primi frutti. I numeri parlano di consumi ai massimi storici e di export in continua crescita. Tra gli elementi fondamentali del successo porrei sicuramente l’attenzione sulla varietà di birre che oggi il mercato è in grado di offrire, cosa che ha risvegliato l’interesse e la curiosità per questo prodotto tradizionale ma contestualmente capace di una notevole innovazione. In secondo luogo, la consapevolezza (e direi finalmente!) da parte dei consumatori italiani, ma anche stranieri, della bontà della birra italiana e la riscoperta del legame della birra al territorio e alle sue tradizioni fatte di agricoltura, di orgoglio e dedizione.
Il record delle esportazioni di birra italiana interessa soltanto le industrie birrarie?
La qualità della birra italiana è ormai riconosciuta in tutto il mondo. I dati parlano chiaramente: negli ultimi dieci anni, le esportazioni sono passate da 1,5 milioni di ettolitri del 2008 a più di 3 milioni di ettolitri del 2018, sfiorando i 200 milioni di euro a valore! Il dato interessante è che nel 2018 l’aumento delle esportazioni è stato pari al 6,6% rispetto al 2017, di gran lunga maggiore del resto della produzione alimentare che ha registrato “solamente” un +3,4%. Un ulteriore dato interessante è che i paesi destinatari delle esportazioni sono maggiormente quelli a forte tradizione birraria come Inghilterra, Stati Uniti e Australia, a ulteriore conferma dell’eccellenza delle nostre birre.
La birra italiana racconta all’estero la nostra capacità di creare un prodotto di eccellente qualità, con materie prime ricercate e caratteristiche in grado di identificare un preciso territorio, confezionate con grande cura in bottiglie da una forma accattivante con etichette e tappi che esprimono il design italiano e la nostra maniacalità nella ricerca della perfezione. Insomma, bere una birra italiana equivale a vivere un’emozione da “gustare” con tutti i sensi.
La storia della esportazione di birra dall’Italia nasce da lontano ma è solo recentemente che si è affermata. Le multinazionali operanti nel settore hanno capito le potenzialità del prodotto italiano e ne hanno promosso l’immagine investendo ingenti risorse: oggi la birra italiana si è accreditata e, di questo, ne beneficiano ormai tutti gli operatori. Le prospettive di crescita sono ancora enormi e questa è un’opportunità che dovrebbe essere colta. Affacciarsi all’estero non è sempre semplice, richiede expertise ed è quindi auspicabile riuscire a fare “sistema” per sfruttare al meglio tutte le sinergie.
Da agronomi quali siamo, ritengo importante evidenziare il rapporto molto vicino tra la produzione della birra con l’agricoltura italiana, fatta di una tradizione della coltivazione dell’orzo e di una “febbre del luppolo” negli ultimi anni. Quali sono secondo lei i punti di forza e di debolezza di questo rapporto tra birra e agricoltura?
L’origine della birra si perde nella notte dei tempi, ma sicuramente la sua produzione è sempre stata legata all’agricoltura. Anzi, a fine del 2018, un team di Stanford ha rintracciato la più antica prova della produzione della birra, databile a 13000 anni fa, da parte di antiche popolazioni semi-nomadi di cacciatori e raccoglitori, chiamati Natufia, a Raqefet Cave a Caifa in Israele. Un’ipotesi, che mi piace pensare corrisponda al vero, racconta che proprio per il gusto per la birra queste popolazioni siano diventate stanziali iniziando a coltivarne le materie prime originando quindi l’agricoltura. Nel corso della storia, i territori e i loro prodotti agricoli hanno caratterizzato la produzione della birra tanto da definirne gli stili a partire dall’acqua fino ai cereali localmente coltivati e alle tipologie di luppolo o di altre spezie e aromi.
In Italia avviene lo stesso. Oggi molte sono le birre che raccontano l’agricoltura dei nostri territori con i prodotti tipici e caratteristici della nostra tradizione. Il comparto della birra, con la coltivazione dell’orzo, è riuscito a valorizzare molti territori, anche marginali e abbandonati da altre colture. Le malterie hanno creato filiere virtuose che sono riuscite a distribuire valore a tutti i protagonisti e la riprova è che la collaborazione passa di padre in figlio tanto che io stesso ho avuto la fortuna di conoscere 4 generazioni di una stessa famiglia di agricoltori! Non sempre però il mondo politico si è accorto del valore di questa filiera. Fino alla riforma della PAC cosiddetta Fischler del 2003, che ha introdotto il disaccoppiamento del sostegno, in Italia era praticamente impossibile reperire il fabbisogno di orzo delle malterie con forti tensioni e disinvestimenti. Dopo il 2003 le scelte di semina erano indirizzate dal mercato e l’orzo da birra è riuscito ad emergere soddisfacendo fabbisogni ma anche i produttori e i consumatori. Oggi è in discussione la riforma della PAC e la speranza è che gli aiuti non vadano a distorcere le scelte di semina che dovrebbero essere invece indirizzate dalle richieste e dalle esigenze del mercato.
Il luppolo ha avuto invece negli ultimi anni un interesse particolare da parte del mondo agricolo e del mondo birrario. La filiera del luppolo è un’opportunità, ma merita una riflessione profonda per evitare di disperdere inutilmente risorse. Sicuramente la pianta si adatta bene alle nostre condizioni pedoclimatiche, ci sono da superare alcuni ostacoli normativi, ma soprattutto va creata una filiera adeguata per la raccolta, essiccazione e conservazione cosa che, al momento, ancora manca. Inoltre, gli utilizzi per la produzione della birra sono in quantitativi molto limitati e questo si traduce in superfici di coltivazioni contenute, basti pensare che per la produzione mondiale di birra si coltivano solamente 58000 ettari. I birrai inoltre “giocano” con gli aromi delle birre attraverso un oculato utilizzo di luppoli provenienti da molteplici ambienti capaci di caratterizzare il luppolo stesso con aromi specifici, e questo potrebbe limitare l’interesse per il luppolo italiano a meno di riuscire, come sistema Italia, a caratterizzare invece un particolare luppolo coltivato in un particolare ambiente pedoclimatico che possa essere riconosciuto e quindi utilizzato in tutto il mondo.
Le tasse, e in particolare le accise, sono da sempre un elemento di costo che condiziona il risultato economico delle imprese birrarie. Dal 1 gennaio 2019 sono state concesse riduzioni, per la prima volta differenziate per tutelare il settore dei piccoli produttori. Quali sono state le ragioni e soprattutto gli effetti di questa riduzione della pressione fiscale per la birra Italiana?
In Italia, la birra è l’unica bevanda da pasto a pagare le accise. Si tratta di una discriminazione che colpisce i produttori ma soprattutto i consumatori che, tra l’altro, sull’importo delle accise pagano anche l’IVA! Nel corso degli ultimi anni il settore birrario è stato poi oggetto di un’attenzione particolare da parte del legislatore: infatti in un periodo di soli 15 mesi, da ottobre 2013 a gennaio 2015, la birra ha subito un aumento della tassazione diretta del 30%, nonostante le accise in Italia fossero già tra le più alte in Europa. Questi aumenti repentini, uniti al perdurare della crisi economica, avevano fatto stagnare il comparto birrario con un percepito di sfiducia e sfavorendo qualsiasi investimento. Dopo lunghi confronti con le Istituzioni, dal 2016 un’importante inversione di tendenza ha parzialmente corretto quanto avvenuto: le ultime tre leggi di Bilancio hanno incluso manovre di riduzione delle accise, anche se contenute, contribuendo però significativamente alla ripresa della crescita del mercato della birra, la propensione delle imprese a investire in innovazione, in impianti e in comunicazione e il comparto ha ricominciato ad attrarre importanti capitali. Con l’ultima legge di bilancio il legislatore ha inoltre voluto riconoscere l’importanza dello sviluppo dei microbirrifici indipendenti dando applicazione, finalmente, a una direttiva europea del 1992 che prevedeva la possibilità di ridurre le aliquote delle accise per questa tipologia di produttori, nel caso dell’Italia è stata applicata la riduzione del 40% per coloro che producono meno di 10.000 ettolitri annui. Nel contempo, il Governo ha legiferato una semplificazione della complessa burocrazia della determinazione delle accise e il posticipo del loro relativo pagamento a condizionamento avvenuto. Oltre ad essere “boccate di ossigeno” per le imprese, questi provvedimenti sono soprattutto segnali forti da parte del mondo politico che danno fiducia a tutto il comparto. Molto rimane ancora da fare, anche perché ritengo che il tetto di 10.000 ettolitri, visto il decadimento delle riduzioni in caso di sforamento, potrebbe essere considerato come limite invalicabile da parte di quelle imprese con voglia e prospettive di crescita, limitandone di fatto lo sviluppo.
Come Direttore del CERB sono sempre molto interessato a capire, prevedere e fornire servizi per tutti gli operatori della filiera della birra italiana. Alla luce delle novità del mercato e quindi dello sviluppo delle imprese, quali servizi crede debbano essere sviluppati per supportare lo sviluppo del settore nei prossimi anni?
Il consumatore italiano di birra sta diventando oggi sempre più esperto e sempre più esigente. Una birra per poter avere successo deve, e dovrà sempre più, distinguersi per una qualità eccelsa, qualità che deve essere costante e riconoscibile. Tutto questo non si improvvisa, ma ci deve essere una profonda conoscenza delle materie prime, del processo di produzione della birra, dall’ammostamento alla fermentazione e maturazione, fino ai processi di condizionamento. Avere un’idea di una particolare birra vuol dire “progettarla” scegliendo le materie prime appropriate, l’acqua, il lievito, definire temperature, tempi e tanto altro, avere quindi una padronanza di tutto questo tale da riproporre la stessa birra nel corso del tempo anche con il variare delle materie prime che, essendo agricole, cambiano da raccolto a raccolto. Tutto questo passa attraverso la continua formazione e aggiornamento – e il CERB in questo è l’eccellenza – ma anche attraverso la necessità di avere una misura del processo e del prodotto, attraverso le analisi, per avere il controllo del processo sia quando tutto procede al meglio, ma soprattutto quando dovessero esserci derive qualitative.
Adesso passiamo alla sfera magica. Cosa prevede AssoBirra per il futuro della birra italiana? Ci lasci immaginare chi saranno i protagonisti della birra nei prossimi anni.
La protagonista sarà sicuramente la birra! Nell’ultimo periodo abbiamo assistito a un fiorire di microbirrifici che sono cresciuti esponenzialmente in numerica, abbiamo assistito poi all’acquisizione di alcuni di questi da parte di grossi gruppi, abbiamo letto di molti accordi commerciali per la distribuzione e stiamo vedendo ingenti investimenti da parte di alcuni microbirrifici per installare capacità produttive importanti. In questo contesto le previsioni, da sfera magica, sono che il mercato della birra continuerà a crescere anche nel prossimo futuro, perché la birra incontrerà sempre più la voglia di moderazione degli italiani, i consumi si rivolgeranno maggiormente verso le birre speciali, cresceranno più che proporzionalmente i consumi di birra prodotta in Italia rispetto a quella importata, e la birra italiana all’estero avrà sempre più successo. Quei microbirrifici che stanno investendo per crescere, grazie alle loro strutture tecniche, commerciali e distributive e anche grazie ad economie di scala che riusciranno a fare, concentreranno molti dei volumi. Esattamente quanto già successo in Italia a fine ‘800 – inizio ‘900 quando 150 fabbriche producevano 150.000 hl di birra e solo alcune di quelle sono ancora oggi attive… la storia a volte si ripete.
Per concludere, una delle parole che ha colpito maggiormente la mia attenzione leggendo l’introduzione del Report AssoBirra e citando l’associazione, è stata “inclusiva”. In un contesto polverizzato e articolato come quello attuale, cosa significa?
La birra e il suo comparto stanno vivendo un periodo molto positivo, ma molte rimangono le problematiche che ogni imprenditore deve affrontare quotidianamente. Molte di queste sono trasversali al comparto, basti pensare alle accise, alle ordinanze che proibiscono il consumo, all’eccessiva e troppo lenta burocrazia, ed esulano dalle dimensioni dell’impresa e dalla tipologia di birra prodotta. AssoBirra, dal 1907, riunisce le maggiori aziende che producono malto e birra in Italia, rappresentando quindi l’intera filiera, di dimensioni anche molto diverse tra loro, ma con la stessa volontà di valorizzare l’immagine della birra – attraverso studi e ricerche e campagne di relazioni pubbliche finalizzate alla crescita della cultura e all’educazione per un consumo responsabile – e avere una rappresentanza istituzionale per la protezione, promozione e sviluppo del comparto.