«Quest’anno arriveremo a diecimila ettolitri di produzione e stiamo ingrandendo la cantina, per predisporre una barricaia. Pe ora abbiamo un piccolo locale adibito a questo, e abbiamo fatto delle prove con botti di distillati, niente cose acide comunque. La barricaia è il nostro progetto per il futuro, oltre alla lattina.» Ci avevano salutati così, a inizio 2018, dopo un’interessante visita nel loro nuovissimo stabilimento di produzione. Il focus di quella giornata era la lattina: al tempo era in commercio una sola referenza, la rye ipa Robb de matt e Fabio Brocca del Birrificio Lambrate s’interrogava su questioni riguardanti stili e contenitore. «Stiamo ancora valutando che cosa introdurre in questa linea di confezionamento, per una questione di stili ma anche e soprattutto pensando al target di che beve in lattina, di chi la capisce la birra in lattina. Perché non tutti la capiscono (ride).» Non si dica, dunque, che Lambrate dorma sugli allori. Uno dei birrifici artigianali pionieri del movimento in Italia, infatti, non si è mai fermato e ha continuato nel tempo a ingrandirsi. Ne è la prova il cambio di stabilimento di produzione, da via Adelchi a via Sbodio, ormai quasi due anni fa, con una rivoluzione in termini di attrezzature (si pensi solo al prototipo di inlattinatrice che confeziona sia bottiglie che lattine, o al mulino a 4 rulli) e di processi di produzione. O la crescita parallela, insieme all’impianto, di una rete di distribuzione in tutta Italia. Dopo il trasferimento, infatti, il Birrificio Lambrate ha potuto incrementare di circa il 30% la produzione, proprio grazie a una buona distribuzione. Ma il modus operandi di Lambrate rimane lo stesso, Fabio Brocca ribadisce: «Siamo nati come brewpub e la nostra filosofia è ancora questa: oggi i nostri due pub assorbono il 40% della produzione, che è notevole. E poi credo che vendere solo a terzi la birra non sia sostenibile con una struttura del genere.»
Dopo la lattina, l’ultima novità in casa Lambrate riguarda la botte: un altro contenitore, con un’estetica completamente diversa, quasi all’antitesi. Anche se oggi in Italia si riscontrano molti tentativi di birre maturate in botte, è difficile trovare un birrificio che abbia davvero una visione in questo campo. Molti rimangono, appunto, esperimenti, abbozzi di quello che potrebbe essere un progetto più strutturato, ma che in fondo è solo uno schizzo e non un disegno. Il Birrificio Lambrate, invece, si lancia nel mondo delle birre affinate in botte con un progetto ben strutturato: una trentina di botti che precedentemente avevano ospitato distillati vari e vino, un luogo ben separato dal resto dell’impianto in cui accoglierle, un nome e soprattutto uno stile a cui ispirarsi che non si discosta dall’identità del birrificio.
Le nuove birre del progetto Barrel Series, infatti, guardano tutte agli Stati Uniti, come buona parte dalla produzione del birrificio. Sono già in commercio le prime tre di questo progetto: Imperial Stout Bourbon 2016, Barley Wine Cognac 2016, e la Choco Cherry Imperial Stout Red Wine. Vediamo nello specifico come sono fatte.
#1 Imperial Stout Bourbon 2016
È una birra scura maturata in botti – di circa 220 litri cadauna – di quercia bianca americana che hanno precedentemente ospitato del Bourbon. La birra raggiunge i 10%, ed è prodotta in poco più di 1.000 esemplari. La base imperial stout non è una birra già in commercio, ma nasce proprio per essere il fondamento di questa e di altre birre della serie barrel. È stata connotata, infatti, con degli elementi che si prestassero poi all’affinamento in sei tipologie di botte. La base maltata è costruita con Pale, Crystal, Carafa e con una percentuale di avena per un mouthfeel più setoso e morbido, mentre i luppoli sono di stampo americano (Centennial e Simcoe). La botte di Bourbon ha rilasciato un ventaglio aromatico davvero intrigante, senza dare la sensazione eccessiva di legnosità, ma il vero punto a favore arriva sul finale: è piacevolmente amaro, ben bilanciato, abbastanza secco che chiude con grande eleganza.
#2 Barley Wine Cognac 2016
È la seconda birra della Barrel Series ed è un barley wine maturato in botti di circa 400 litri di cognac francese. Ha 12% ed è disponibile in sole 570 bottiglie. Anche per questa birra è stata appositamente creata una base, che è un barley wine con una base maltata molto semplice, Pale, Crystal e malto caramellato. La luppolatura è con Willamette, Cascade ed Ella. Ma non fatevi ingannare dalla descrizione, perché nonostante il grado alcolico, il legno e le note di cognac, non è una bevuta lenta. È da sottolineare infatti la grande beverinità di questa birra, che stupisce con un profilo aromatico notevole e che in bocca conquista con un bilanciamento (sull’amaro) davvero valido.
#3 Choco Cherry Imperial Stout Red Wine
La terza birra della gamma è un’altra birra scura costruita con la stessa base della #1, la Imperial Stout Bourbon. È maturata per sette mesi in botti di rovere francese di una cantina che produceva vino rosso Valtellina Superiore. Ha 10,5% ed è probabilmente la più complessa del lotto. È l’ultima nata delle tre della serie e la particolarità è che dopo la maturazione in botti di vino ha subito una rifermentazione in acciaio con amarene e fave di cacao. Il lievito usato per questo step è belga, quindi di stampo diverso rispetto alla prima fermentazione. È disponibile in poco meno di 1.000 bottiglie. Ha delle profonde note di cacao in evidenza, veicolate insieme ai sentori vinosi della botte e al frutto rosso, ma l’essenza della imperial stout trova comunque la sua strada e viene fuori in tutto il suo splendore, non è coperta dalle “aggiunte”. Anche per questa birra, il legno è un pretesto, uno sfondo sul quale emergono altri aromi e sapori.
Ad accomunare queste prime tre birre del progetto Barrel Series è una mancanza: quella delle sensazioni legnose di alcune (sfortunate) birre maturate in botte e la totale assenza di astringenza, a livello di sensazioni boccali. Anche nella #3, maturata in botti di vino rosso, né il vino né la botte hanno rilasciato quei tannini che danno ruvidità alla bevuta. Un altro punto comune è la beverinità, che è ancora più sorprendente quando si tratta di barley wine e imperial stout passate in botte, una delle quali con aggiunta di fave di cacao e amarene. Anzi, sulle tre, il premio “Velocità di bevuta” va proprio a questa, alla Choco Cherry Imperial Stout Red Wine: forse per l’apporto leggermente acido delle amarene, per la rifermentazione con un lievito belga, o forse per l’ottimo amaro da luppolo della base usata (che qui emerge più che nella #1), questa birra è caratterizzata da una grande soddisfazione nella bevuta che rimane, dopotutto, abbastanza snella. Nel senso lato del termine.
(cortesia foto: Luca Galuzzi)