Birrificio Hordeum: c’è riso in quella birra

Qual è l’ingrediente fondamentale della birra? L’orzo. Per questo Paolo Carbone ha scelto il termine latino, Hordeum, come nome del birrificio che ha fondato a Novara e che in pochi anni si è saputo distinguere non solo per la qualità delle sue etichette. A lui il successo ha infatti arriso anche… col riso. Molto portato a innovare, Paolo ha qualificato l’impresa come birrificio agricolo impiegando nella produzione i cereali coltivati nei dintorni da alcuni soci, riso compreso appunto, e ha pure dato vita a una Italian grape ale in collaborazione con un’azienda vinicola.

La sala cotturaUna scelta radicale

Ex professionista dell’informatica oggi 38enne, Paolo a un certo punto della sua carriera ha preferito interromperla attratto dalla birra artigianale. Dopo aver frequentato un master universitario a Perugia e condotto un’esperienza di alcuni mesi alla Theresianer, con i primi tre soci ha avviato l’attività di Hordeum nel 2014. Una scelta radicale la sua che gli ha permesso di cambiar vita facendosi assorbire dalle necessità di un’impresa che tanto piccola non è visti gli spazi che occupa negli edifici dismessi dalla Latteria di Novara assorbita dal gruppo Granarolo. Certo, anche Paolo per un certo periodo si è dato da fare come homebrewer, producendo cioè in casa la birra. Non riteneva tuttavia l’autoconsumo un’esperienza sufficiente per passare alla produzione artigianale. Il motivo sostanziale lo spiega così: «L’homebrewer non ha la capacità di gestire un prodotto alimentare né magari vuole averla. Se una birra una volta gli viene leggera e un’altra più corposa, dall’aroma più o meno pronunciato, non si preoccupa. Sa che l’ha prodotta con passione e genuinamente e questo lo soddisfa. Ma se vuoi produrre anche per altri e vendere il tuo prodotto questo non basta. Si deve entrare nel merito del controllo qualità non lasciandosi sorprendere dalle variabili che incidono sul processo produttivo».

L’approccio professionale

Insomma, l’homebrewer si muove sostanzialmente a livello empirico, senza stare a spiegarsi perché una birra gli viene magari più torbida di un’altra: «Evenienza non accettabile quando si tratta di confezionare un lotto dopo averlo sottoposto a maturazione per settimane. Si dissiperebbe un capitale perché certamente non potresti distribuire una birra diversa da come il tuo cliente fedele l’aspetta». È dunque l’approccio professionale a fare la differenza e che consente all’artigiano della birra di raggiungere la certezza di avviare al consumo la birra come effettivamente deve essere, costante nel tempo, stabile e riconoscibile al gusto di chi la sorseggerà. Non è che di queste competenze si disponga già al termine di un percorso di studi o di uno stage di qualche mese. Infatti Paolo prima di compiere il gran passo che l’ha portato a diventare imprenditore ha lavorato per alcuni anni anche in un birrificio di Alessandria: «Mi è servito molto per comprendere come sia possibile mantenere una qualità elevata e standard con le risorse limitate di cui può disporre un’impresa artigianale di dimensioni modeste. Che non può essere paragonata all’industria ricca di fondi da dedicare alle procedure per il controllo qualità».

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