Una corretta manutenzione frena l’avanzare del tempo

Monsupello, l’azienda lombarda della famiglia Boatti vocata alla produzione di spumanti di qualità, ha ammodernato più volte la linea d’imbottigliamento. Gli accorgimenti presi spiegati dall’enologo Marco Bertelegni.

Chi cura il prodotto puntando alla qualità non lesina attenzioni alle attrezzature di cantina, compresa naturalmente la linea d’imbottigliamento le cui macchine, con la dovuta manutenzione, possono mantenersi in efficienza per decenni. Se ne ha dimostrazione visitando Monsupello, una delle aziende vinicole più autorevoli della provincia di Pavia, la cui sede s’incontra aggirandosi tra i colli dell’Oltrepò fittamente pettinati dai filari di vigneti che danno alcuni tra i migliori vini d’Italia.

Un marchio riconosciuto

Come gli spumanti Monsupello, che caratterizzano il marchio portato ai massimi livelli dell’enologia nazionale da Carlo Boatti la cui memoria è ancora viva tra i cultori del buon bere. Già perché si deve anche a lui il salto compiuto dai vini italiani dallo sfuso indifferenziato, che ha distinto gran parte del settore fino agli anni ’80, alla bottiglia etichettata con la quale si è valorizzato il prodotto che meritava di conservare al meglio le caratteristiche organolettiche. L’impresa della famiglia Boatti, le cui origini risalgono alla fine del XIX secolo è stata infatti tra le prime a comprendere come il limitarsi a vendere rosso e bianco in damigiane non potesse permettere uno sviluppo interessante e non rendesse merito al tanto impegno profuso sia nella coltivazione delle uve sia nella loro vinificazione.

monsu-gIn bottiglia dagli anni ‘70

Le prime bottiglie di Monsupello “Podere La Borla” (un rosso a base di uve Croatina e Barbera) apparvero sul mercato già nei primi anni ’70 dando modo all’azienda di trovarsi senza volerlo pronta a compiere un vero e proprio salto in corrispondenza dello scandalo del metanolo che qualche anno dopo fece da spartiacque tra chi era più orientato alla qualità e chi meno.

I più informati sanno che quell’evento, un vero e proprio terremoto per il comparto vinicolo nazionale, mettendo a soqquadro il settore spinse molti verso il prodotto imbottigliato che con l’etichetta parlava di sé, della sua provenienza e sempre più spesso anche del suo aroma, colore e gusto che il consumatore con un minimo di preparazione può verificare portando il bicchiere alle labbra. Con Bonarda, Riesling, Barbera, Müller Thurgau, Chardonnay e altro ancora in catalogo, Monsupello ha accresciuto la sua autorevolezza negli anni più recenti puntando soprattutto sugli spumanti metodo classico di Pinot Nero che maturano sui lieviti per oltre tre anni prima della sboccatura.

Per mantenersi al top

Una gamma ampia, dunque, che l’azienda intende mantenere al top puntando tuttavia più sulla propria marca che sulla denominazione d’origine ritenuta non più sufficientemente in grado di aggiungere valore alle etichette di maggior pregio. «Nell’Oltrepò sta accadendo quello che in Toscana è successo con il Chianti sul finire degli anni ’70, quando il più famoso rosso italiano veniva prodotto in quantità eccessiva senza badare con giudizio alla qualità. I produttori più motivati decisero di investire sui propri marchi dando vita al filone dei Supertuscan. Un’esperienza che in qualche modo potrebbe ripetersi nella provincia di Pavia dalla quale si approvvigiona storicamente gran parte del Nord Italia», spiega Marco Bertelegni, enologo di casa Monsupello. Ed è proprio lui, approdato qui nel 2006 dopo anni di esperienza accumulata in importanti cantine pubbliche e private, a guidarci in cantina mentre si confeziona uno dei cavalli di battaglia dell’azienda, “I germogli”, un Pinot Nero frizzante vinificato in bianco dalla gradevolissima finezza accentuata da una leggera quanto equilibrata vivacità.

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