Viaggio all’interno del micro-mitico-birrificio Baladin che, fondato da Teo Musso, produce e confeziona solo etichette ad alta fermentazione e non pastorizzate. Alla base del successo impianti moderni e flessibili per fusti e bottiglie dalle linee esclusive.
«Sono un provocatore. Rifiuto alcune convenzioni legate alla cultura del gusto e con la mia birra voglio creare paradossi. Io stesso lo sono: per la scuola italiana sono un ignorante, ma nonostante ciò mi chiamano spesso a insegnare, a tenere corsi anche nelle università». Le sferzanti battute di Matterino “Teo” Musso danno l’idea del personaggio, precursore della birra artigianale italiana e fondatore del micro-mitico-birrificio piemontese Baladin che in quasi vent’anni ha fatto incetta di premi e riconoscimenti grazie ai suoi barley wine, alle birre affinate in legno e alle studiate speziature che regalano profumi inebrianti e armoniosi. Classe 1964, Teo ha messo insieme un network di 13 pub-ristoranti con insegna Baladin ed esporta già circa il 25% della produzione che a fine anno dovrebbe raggiungere i 20.000 ettolitri.
Una fama internazionale
Per Teo, che ha iniziato l’attività nel 1996, la birra artigianale è bevanda viva, non pastorizzata e solo ad alta fermentazione, proposta in più di 30 etichette anche se l’elenco si amplia di continuo in seguito alla ricerca senza sosta del meglio. Grazie alla quale il brewmaster italiano è riuscito a scatenare interesse per la birra made in Italy. Racconta Teo: «Una decina d’anni fa cominciarono ad apparire sulla stampa anglosassone articoli che segnalavano l’emergere nel nostro Paese di un fenomeno inatteso, quello appunto delle birrerie artigianali, alcune delle quali producevano birre di qualità superiore. Baladin figurava nell’elenco e questo creò curiosità in prima battuta da parte di un importatore degli Stati Uniti, dove le craft beer già allora costituivano un mercato fiorente».
Ora Baladin è distribuita in 33 nazioni diverse tra le quali primeggiano, dopo gli Stati Uniti, Giappone, Australia, Austria, Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Regno Unito, Spagna, Svezia e Svizzera. Del fatturato, il 20-25% deriva dall’export che, nei piani dell’azienda, dovrebbe raggiungere il 50% in tempi ragionevoli per meglio equilibrare le fonti di profitto e non dipendere in maniera eccessiva da possibili fluttuazioni del mercato nazionale.
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