La rivisitazione del fiasco

FiascoRuffinoJanine«Che cos’è un fiasco se non una piccola damigiana, una ‘dame Janine’». Con questo linguaggio l’artista Clet Abraham ha spiegato la sua trasformazione del fiasco Ruffino sul palcoscenico del Teatro del Sale di Firenze, il 20 ottobre scorso, al vernissage dell’edizione speciale della sua ‘Janine’. «Ho cercato qualcosa che mi sorprendesse, simpatico, divertente. L’idea iniziale era quella di raccontare una storia. Ho pensato a un oggetto dalle forme femminili e mi sono venuti in mente i fianchi di una donna. Ma era troppo scontato, poi mi sono accorto che il fiasco rovesciato assomigliava alla mia assistente Janine. Questo fiasco le assomiglia nell’espressione un po’ buffa, nelle curve morbide ed eleganti, curiosamente anche nel nome ‘dame Janine’. Quando ho spiegato la cosa ai committenti mi sono sembrati perplessi. Ma non era un fatto personale, l’ispirazione mi aveva guidato verso la sintesi tra fiasco e forma femminile della damigiana, appunto la dama Janine». Tale spiegazione si trova stampata sul fiasco, 6 mila bottiglie, numerate come multipli di un’opera d’arte. Genialità di Clet e fortuna di avere un assistente con questo nome! Il vino prodotto da Ruffino per questa edizione è un Chianti 2012 nella menzione Superiore, per rispettare lo storico binomio Chianti – fiasco. Oggi il marchio di proprietà della Constellation Brands Company intende innovare la relazione concettuale Toscana/Chianti/fiasco, reinterpretando e attualizzando l’icona che ha distribuito nel mondo il vino dal 1877.

“Il futuro appartiene a chi lo ha cominciato”

«L’arte ha citato il fiasco – ha spiegato Sandro Sartor, AD di Ruffino – da Botticelli a Tiziano e Guttuso, passando per la letteratura del Boccaccio. Noi intendiamo restituire il fiasco all’arte mettendolo nelle mani di un autore geniale e poliedrico come Clet, francese trapiantato a Firenze. La sua ricerca sulla forma attraverso linee poetiche ha dato vita a un’edizione limitata in cui, grazie a pochi segni, Clet riesce a dare un volto familiare e inedito al contenitore della tradizione».

15584870796_72d9dd36ec_k Il fiasco Ruffino

I tempi erano maturi per rilanciare il fiasco: il 2012 è un anno importante per la cantina di Pontassieve, la proposta di una bottiglia speciale che ha accompagnato e sostenuto la crescita di Ruffino e il nome del Chianti in Italia e nel mondo: il fiasco. «Una goccia di vetro avvolta da similpaglia – come ci ha detto poeticamente Giovanni Bartolozzi, presidente della Vetreria Etrusca di Montelupo Fiorentino che realizza il fiasco con una forma depositata, e che ha il fiasco nel suo DNA. Non esiste recipiente al mondo che possa vantare una storia analoga a quella del fiasco. È stato soffiato e ideato nelle fornaci nel centro della città di Firenze nel Trecento. È stato rivestito nel Valdarno fiorentino e diffuso e divulgato in tutto il mondo. Non ha pari».

L’immagine nuova di un’icona senza tempo

La moderna impagliatura è in filato di carta certificata FSC, con esecuzione orizzontale, la più antica; il formato, non più il classico e ingombrante 1,75 ma 1 litro, più maneggevole; larghezza massima possibile di circa 11 cm; il peso comprensivo di impagliatura è di circa 600 grammi, un peso importante, e il fiasco viene rivestito in due fasi di cui una semimanuale.

Da idea artistica a riproducibilità

Naturalmente trasformare l’idea di Clet in realizzazione ha richiesto una serie di tappe, prima di tutto capire e ipotizzare come attaccare le etichette sul fiasco. Il volto quasi tribale è infatti composto di 4 elementi separati che andavano assemblati sulla bottiglia. Per attaccarli lo stampatore di etichette ha dovuto inventarsi una sorta di biadesivo e il tutto viene applicato a mano. Infine al posto della capsula, su cui c’è il logo, viene inserita una colla alimentare – perché per legge il tappo deve essere coperto – e un dischettino che non distoglie l’attenzione rispetto al volto. Non va dimenticata la dimensione ludica, il gioco e la sorpresa di questo divertissement che farà la gioia dei collezionisti.

«Volevamo sorprendere quando si versa il vino con una scintilla artistica – ci dice Damiano Agati, responsabile marketing di Ruffino – e la nostra agenzia Officina Grafica ha avuto un ruolo molto importante nello sviluppo creativo, grafico e produttivo di Janine. Verrà preparato anche un espositore per la vetrina: per capire di cosa si tratta la bottiglia va capovolta: l’interessato lo scopre per brevi secondi e questo fa parte della concettualità dell’opera».

Clet Abraham e la sua assistente Janine
Clet Abraham e la sua assistente Janine
Chi è Clet Abraham
Francese, anzi bretone, è conosciuto per un’arte legata alla provocazione, alla riappropriazione degli spazi con l’utilizzo di sticker art, stencil e sculture in luoghi pubblici. Torino, Bologna, Parigi, Berlino e Londra sono alcune tappe della sua arte che qualcuno definisce ‘di strada’. Nel 2005 si trasferisce a Firenze, ha lo studio proprio in San Niccolò, quartiere ricordato da Mario Monicelli nel film Amici Miei, famoso per gli scherzi. Parla bene italiano e ha acquisito una certa irriverenza della città che all’inizio osservava le curiose invenzioni, piccole aggiunte mercuriali di sticker su segnali stradali, ironiche e dissacranti, quasi come un gioco, fino ad arrivare a qualcosa di più evidente, vista la sua capacità di scultore, come la statua di “Uomo comune” sul Ponte alle Grazie, in bilico verso l’Arno, o il Naso issato sulla torre di San Niccolò, prima del san Giovanni nel 2012, che hanno portato a uno scontro con il Comune. C’è nelle sue incursioni sui cartelli stradali un lato ironico, umoristico e provocatorio. I segnali stradali sono un codice condiviso, in genere perentorio, una prescrizione, un avvertimento o un’indicazione. Come la musica, quello della segnaletica stradale è uno dei linguaggi più diffusi al mondo. La provocazione e l’invenzione sono il linguaggio di Clet che inventa spesso nuovi soggetti e si diverte nel farlo. A stupirsi prima che a stupire. Il suo più clamoroso intervento urbano ha avuto luogo nella notte tra il 19 e il 20 gennaio 2011 quando nello Studiolo di Francesco I, veniva accolto il teschio di diamanti di Damien Hirst, Clet installava sullo sperone del Ponte alle Grazie una scultura in vetroresina, il suo tipico “piccolo uomo nero”, cioè l’uomo comune, l’Omino Bic.