Da sempre Cenerentola dei consumi in Europa, l’Italia della birra è da tempo protagonista di una vera e propria esplosione del settore. Il tutto grazie al fenomeno dei microbirrifici e alla tenace opera di sensibilizzazione e informazione della sua associazione di riferimento, AssoBirra
Che gli italiani siano scarsi bevitori di birra lo si sa già da molto tempo. D’altronde, si sà, l’Italia è la patria del buon vino. Ma che le birre italiane stiano diventando una porzione sempre più apprezzabile del made in Italy all’estero, ebbene questo è davvero una sorpresa. Eppure è proprio ciò che sta accadendo da un po’ di tempo a questa parte. E il rapido sviluppo dei microbirrifici è solo uno dei sintomi di un fenomeno che da alcuni anni sta trasformando, in positivo, le abitudini a consumo degli italiani, sempre più interessati a un prodotto agroalimentare che ha forti legami con il territorio e che diviene sempre più “domestico”. Sì, perché con la crisi gli italiani consumano più in casa che al pub, diversamente da quel che continuano a fare mediamente gli europei.
Non solo, il gusto degli italiani si sta affinando, andando alla ricerca di sapori più profondi e maturi rispetto al passato. Per cui la birra non è più la semplice e modesta “bionda”, ma un bene ricco di qualità e di significati, una fruizione sempre meno superficiale e sempre più amabile. Proprio come un buon vino. Di questo e di altre vicende parliamo con il direttore di AssoBirra, Filippo Terzaghi, che ci racconta come l’associazione si stia muovendo in questi anni di crisi caratterizzati, soprattutto, dalla forte contrazione della capacità di spesa degli italiani.
È un vero boom di consensi, la birra ormai la bevono tutti. Non è così?
È in parte vero, ma bisogna fare dei distinguo. I consumatori che preferiscono bere birra sono ormai non più la fascia d’età tipica dei ragazzini ma quella che va dai 25 ai 44 anni. Quindi c’è un innalzamento notevole dell’età media rispetto al passato. Per quanto riguarda poi la tipologia di consumo, la crisi ha avuto due effetti, principalmente: in un quadro di poca perdita generale, c’è uno spostamento dal consumo fuori casa a quello domestico, perché ovviamente costa molto meno. Per quel che riguarda invece le tipologie di birra più consumate, le crisi la si avverte nel fatto che crescono in termini percentuali sia le “private label” sia le birre “economy”; le private label, quasi inesistenti fino a una decina d’anni fa, hanno aumentato di quasi il 50% la propria quota, passando dal 4,30% al 6,42%.
Naturalmente questo è andato a svantaggio sia delle birre di gamma media, le cosiddette “main stream”, sia di quelle “premium”. Quello che invece continua ad andare bene sono le “specialità”, cioè quella vasta gamma di prodotti che vanno dalle weiss alle blanche, passando per le ale, le birre di abbazia ecc. Quindi, mentre le specialità sono aumentate dal 12,76% del 2011 al 13,40% del 2012, le premium hanno perso più di due punti, dal 32,65% al 30,34%. Quindi, in sostanza, i cambiamenti nei consumi sono stati notevoli e assai sintomatici sia dei nuovi target che dei gusti.
Però i consumi pro capite continuano ad aumentare…
Sicuramente, anche se rimaniamo una strana eccezione in Europa. In Italia si consuma, infatti, meno birra rispetto ai Paesi del Nord. In realtà noi ci distinguiamo anche da Paesi vicini a noi come cultura, come ad esempio la Spagna, dove si consumano 82 litri pro capite l’anno contro i nostri 30 scarsi. O il Portogallo, che ha sempre consumato il doppio di noi, anche se ultimamente, con la crisi, ha visto diminuire drasticamente la sua quota pro capite. Gli spagnoli bevono in ogni caso tre volte la quantità di birra rispetto al vino. Noi invece, insieme soltanto ai francesi, privilegiamo il consumo di vino da pasto. E i cugini transalpini hanno, infatti, un consumo di birra molto simile al nostro.
E qual è la media di consumo europea?
La media europea della vecchia Europa a 15 Paesi è di oltre 80 litri a testa, mentre in quella a 27 siamo sopra ai 60 litri. Dunque rappresentiamo un’anomalia rispetto a tutti gli altri Paesi. Rispetto a che cosa si beve, l’Europa è piuttosto uniforme, dal momento che, escludendo forse il Belgio e l’Inghilterra, si beve birre che vanno dalle lager alle pills, senza differenze sostanziali. Le differenze invece, oltre che nei volumi, sono nei comportamenti di acquisto, cioè da noi si beve sempre meno fuori casa, mentre altrove, ad esempio in Spagna, si beve molto più fuori di quanto non si beva in casa.
Ma noi italiani riusciamo a esportare qualcosa?
Moltissimo. Esportiamo molta birra, con un incremento dell’export del 160% in dieci anni. Persino i piccoli produttori riescono a esportare, chi il 30%, chi il 40%. Qualcuno esporta all’estero anche il 50% della propria produzione. I Paesi di preferenza sono prevalentemente quelli anglosassoni: Inghilterra, Stati Uniti, Sudafrica, Canada, ma anche alcuni Paesi del nord Europa.
[box bg=”#cccccc” color=”#000000′ title=”I numeri della birra in Italia”] Nel 2012 i 16 stabilimenti (14 industriali e 2 malterie) e gli oltre 500 microbirrifici distribuiti sul territorio nazionale hanno prodotto complessivamente 13 milioni e 482 mila ettolitri (+0,5%), mentre il consumo pro capite segna 29,5 litri, in calo rispetto al 2011 del -1% e lontano dai livelli precedenti la crisi. Nota positiva: la crescita dei livelli occupazionali del +4,4%. Per quanto riguarda le esportazioni, dopo anni di crescita a doppia cifra, l’export si stabilizza restando leggermente al di sotto dei 2 milioni di ettolitri (1.990.000 hl), cifra superata per la prima volta nel 2011.[/box]