Intervista all'enologo

Punto di riferimento per la viticoltura, non solo valdostana!

Otto ettari complessivi, 64 vigne, diverse per dimensione, localizzazione costituzione del terreno e dei vitigni impiantati per produrre una gamma diversificata di vini di qualità. In primo piano Renato Anselmet (a destra) e Bruna Cavagnet, vigneron e moglie di Giorgio Anselmet

È capitato che il vitigno in loco non volesse essere espiantato!

Nel 2000 acquistammo un nuovo terreno, l’alluvione di quell’anno aveva fatto crollare i muri a secco, perciò lavorammo a lungo e alacremente per ricostruirli. Ritardammo e il progetto di espiantare la vecchia vigna fu rimandato all’anno successivo. Tornai alla parcella e vidi che i ceppi, vecchissimi, avevano ancora una notevole vigoria, l’uva della vigna, intanto, c’era e andava vendemmiata. Decisi di saperne di più. Rilessi un vecchio libro sulla Valle d’Aosta tra il 1835 e il 1836. L’autore asseriva che nella zona del Torrette DOC, proprio dove si trovava la vigna, si produceva uno dei vini migliori d’Italia. L’autore, bontà sua, spiegava con dovizia di particolari anche la tecnologia di vinificazione: vendemmia tardiva con appassimento sulla pianta, macerazione a freddo (visto il tardo raccolto), fermentazione prolungata in legno di castagno e di larice.

Decisi di seguire alla lettera la tecnica, sostituendo soltanto il castagno e il larice con una barrique più tradizionale. Producemmo quell’anno un vino eccezionale che conquistò subito il pubblico, dandoci grandi soddisfazioni anche Oltreoceano. Lo abbiamo chiamato “Le Prisonnier”, il prigioniero, proprio com’è prigioniera quella antica vite tra le rocce, sette terrazze ricavate da un terreno con una pendenza impossibile, imprigionate sopra e sotto due grandi formazioni rocciose. E proprio quelle rocce che la imprigionano causano una doppia escursione termica nell’arco della giornata determinando un contenuto di acidità e zuccheri nell’uva di raro equilibrio. Le Prisonnier è oggi il vino top di gamma della nostra produzione: con un 2009 abbiamo conquistato la medaglia d’argento al Decanter World Wine Award 2013. Sempre in occasione di questa manifestazione abbiamo ricevuto una seconda medaglia d’argento per un Arline 2009, vino da uve stramature.

Produrre solo qualità.

Siamo partiti con l’obiettivo di produrre vini di qualità fondando la nostra attività su tre cardini precisi: qualità, funzionalità in cantina e attenzione verso il cliente. Abbiamo progettato la nuova cantina, memori dell’esperienza pregressa. La vecchia cantina di famiglia era disastrosa in quanto a funzionalità: scomodissima perché disposta su più livelli, con tanta manualità. Oggi la cantina di Vereytaz è su un solo livello, automatizzata al massimo, facile da gestire con il minimo sforzo fisico, dove la movimentazione avviene con ottimi carrelli elevatori della Linde.

La qualità, invece, nasce in vigna.

Produciamo pochissimo dai 500 ai 600 g per pianta. Conteniamo le pratiche agronomiche, nessuna concimazione, se non naturale con letame come si è sempre fatto da queste parti, inerbimento e sovescio, trattamenti in vigna molto limitati. Siamo in una zona privilegiata, qui cadono 500-600 mm di pioggia ogni anno contro i 1200-1300 mm di altre zone. Questo riduce gli attacchi fungini e quindi la necessità di trattare. Lo scorso anno, annata ottima e asciutta, abbiamo fatto soltanto 2 trattamenti e 4 quest’anno. Ciò significa partire da un’uva molto sana, non portare nella botte residui chimici.

Un’ottima uva e poi?

La qualità si raggiunge salendo man mano una scala, dove i gradini inizialmente sono molto ampi. Saliti i primi, quelli della qualità in vigna e dell’igiene in cantina, evidenti a tutti, si procede poi per i successivi via via più stretti e impervi, dove i miglioramenti qualitativi avvengono attraverso piccoli accorgimenti frutto dell’esperienza. Uno di questi per noi è stato la tavola di cernita dell’uva. Le raccomandazioni che si fanno a chi vendemmia non sempre vanno a buon fine e il compito di selezionare le uve si perde dopo le prime ore di lavoro. Abbiamo quindi pensato di bypassare questo problema e di creare un passaggio ad hoc per la cernita dell’uva, immediatamente prima del passaggio nella pigiadiraspatrice. La tavola di cernita, sulla quale operano 3-4 lavoranti, si è dimostrata molto efficace, e l’occhio attento e allenato permette di eliminare immediatamente l’uva non vinificabile.

La tradizione vitivinicola degli Anselmet dura da quasi 430 anni

Altri gradini…

Ulteriori miglioramenti qualitativi li abbiamo conquistati con la tecnologia in cantina. L’individuazione delle macchine più appropriate ha richiesto tempo, alcune le abbiamo anche provate per più vendemmie prima di decidere per l’acquisto. È il caso delle vasche termoregolamentate di Azzini che sono risultate le più performanti in termini di rendimento e di consumo energetico. La temperatura è di gran lunga il parametro più importante da controllare in cantina al fine di gestire al meglio la fase fermentativa. Ogni vinificazione ha una temperatura ad hoc. Diminuendo poi la temperatura di qualche grado otteniamo ottime chiarifiche senza alcun utilizzo di additivi.

In tema di risparmio energetico, anche qui avete fatto le cose per bene.

Riscaldiamo la cantina utilizzando del cippato, ottenuto sia da legnami dei quali disponiamo, sia da residui di potatura. Unitamente all’impiego di pannelli solari riusciamo a coprire il 35% del nostro fabbisogno energetico. Sempre in termini di risparmio energetico, abbiamo dotato la cantina di guidaluce che ci permettono di regolare l’illuminazione interna in base alle condizioni esterne di luminosità. In questo modo siamo riusciti ad abbattere sensibilmente alcuni costi fissi che incidono non poco sulle spese annuali della cantina.

Manca solo il fotovoltaico…

…un investimento sul quale stiamo meditando!

Torniamo alla tecnologia.

Abbiamo acquistato una pressa di Willmess che ci permette di lavorare in riduzione, con azoto, consentendo di ottenere un mosto più ricco di antiossidanti naturali e di profumi varietali, una pigiadiraspatrice di Imma che grazie ai suoi rulli in gomma consente una pigiatura rispettosa delle uve, una cella frigorifera, infine, di Cagnasso che ci permette sia di effettuare macerazioni a freddo, sia di conservare l’uva a una temperatura ottimale durante i picchi di lavoro della vendemmia. Accorgimenti, forse, banali che però in termini qualitativi fanno la differenza!

Per quanto riguarda, invece, l’impianto d’imbottigliamento?

Non siamo scesi a compromessi nemmeno qui, puntando su una Gai. I molti anni passati a lavorare da cantiniere, dopo il diploma, una quindicina in cantine diverse, mi hanno permesso di acquisire una buona esperienza nell’impiantistica. La scelta è stata onerosa ma mai rimpianta; la macchina ha una capacità di 1200 bottiglie/ora. Anche per l’imbottigliamento sto pensando a un’evoluzione con una linea completa, sempre della Gai, più performante dotata anche di sciacquatrice, per ottimizzare ulteriormente la fase dell’imbottigliamento, e di etichettatrice.

Entrando in cantina, il colpo d’occhio sulla barricaia è notevole…

Ho scelto di realizzare le pareti in tufo, un materiale che consente di controllare al meglio temperatura e umidità, umidità che per garantire gli scambi ottimali deve essere nell’ordine del 75%. Con le barrique abbiamo maturato un’esperienza importante. Gestire il legno in maniera ottimale non è cosa facile, penso anche all’utilizzo spesso spropositato che se n’è fatto in passato! Qualità significava barrique: niente di più sbagliato! Abbiamo conquistati i Cinque Grappoli 2014 di Bibenda con uno Chardonnay che non ha fatto barrique. In barrique passiamo alcune produzioni di pregio, tra i rossi il Fumin e il Torrette, tra i bianchi il Petite Arvine e lo Chardonnay barricato.

Uno sguardo al futuro?

Il lavoro e le idee non mancano… Vorrei rendere ancor più personali i nostri vini, modificando magari qualcosa in vinificazione per alcuni di essi: vinificazioni più alla francese. Abbandonerò probabilmente il Müller Thurgau, un vitigno che ha avuto parecchio successo in passato qui in Valle d’Aosta per la sua produttività, ma con il quale non si riesce a raggiungere le eccellenze qualitative che desidero. Lo sostituirò probabilmente con la Petite Arvine un vitigno di origine Svizzera originalissimo, con aromi tiolici simile a un Sauvignon. Sono convinto che i nostri vitigni hanno potenzialità che non sono ancora state espresse appieno, e questo è uno stimolo per continuare a sperimentare!

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