Gestire le denominazioni per vincere sui mercati

Con i suoi 2200 soci, 30 milioni di bottiglie prodotte annualmente, i suoi 6 stabilimenti produttivi e un fatturato di 105 milioni di euro (dato 2012), Cantina di Soave è sicuramente oggi una realtà di rilievo nel panorama enologico italiano.

Già negli anni ‘90 le produzioni sono ragguardevoli…

Con gli allora 600-700 soci e con 300-400mila quintali di uve prodotte Cantina di Soave era già allora una realtà di rilievo nel panorama enologico italiano, ma capimmo ben presto che una cantina di soli vini bianchi, di Soave, poteva essere un limite. È iniziata così una fase di aggregazione che ci ha portato via via fino ai notevoli numeri attuali. Dopo l’acquisizione del controllo della prestigiosa casa spumantistica trentina Equipe 5, azienda di assoluto rilievo nella produzione trentina di spumanti metodo classico, nel 1996 avviene la prima aggregazione con l’incorporazione della Cantina di Cazzano di Tramigna.

Cinque linee di pigiatura, una capacità di lavorazione di 180mila quintali d’uva e di 240mila ettolitri di vino, la Cantina di Cazzano porta in dotazione alla Cantina di Soave oltre 900 ettari di vigneto di cui più di 600 DOC. Con questa acquisizione Cantina di Soave arriva a gestire il 27% dei vigneti a denominazione Valpolicella, iniziando a commercializzare quantitativi importanti di questo vino. Nove anni più tardi, nel 2005, con un’altra acquisizione, quella della Cantina di Illasi − 900 ettari di vigneto, 6 linee di pigiatura, una capacità di lavorazione di 200mila quintali di uva e di 290mila ettolitri di vino – la cantina di Soave raggiunge i 1500 soci e gli 800mila quintali di uva, ma soprattutto arriva a gestire il 49% della produzione del Valpolicella DOC.

Un dato significativo, che consente alla cantina di avviare una nuova politica di gestione delle denominazioni, dopo quella del Soave, anche per il Valpolicella, convinta del fatto che le cantine sociali devono farsi carico della gestione di una denominazione essendo quest’ultima un patrimonio collettivo.

Come si gestisce una denominazione?

È evidente che quando la denominazione è costituita da micro soci, è difficile trovare una strategia di gestione, ma quando si dispone di una quota significativa, come nel nostro caso per il Soave e per il Valpolicella tutto si semplifica. Gestire una denominazione significa stabilire la quantità di prodotto da immettere sul mercato senza creare esuberi, definire il posizionamento più corretto. Strategie queste che abbiamo messo in atto già a partire dall’inizio del nuovo millennio per il Soave con il risultato che oggi quella del Soave è una delle aree italiane con il maggior valore remunerativo per il viticoltore. Abbiamo raggiunto, in questo senso, aree storiche come il Trentino, la Toscana e questo con un vino semplice come il Soave!

Cantina di Soave lavora 1 milione di quintali di uva ogni anno, proveniente dai suoi 6mila ettari vitati di cui il 70% a DOC e DOCG.

Sull’esempio del Soave, lo stesso è stato fatto per il Valpolicella.

Qui siamo stati fortunati perché, nel frattempo, c’è stata l’esplosione nel mercato dell’Amarone e del Valpolicella Ripasso. Eventi concomitanti i quali hanno fatto sì che il Valpolicella sia oggi la denominazione più virtuosa d’Italia per remunerazione dei vigneti, valore dei vini prodotti e nel caso dell’Amarone, notorietà e prestigio del vino.

Ancora sulla denominazione…

La denominazione è una potenzialità importante per il territorio che va adeguatamente sfruttata ponendola sul mercato nei modi dovuti. Non importa la grandezza; una piccola denominazione può essere adatta per un mercato di nicchia, per contro una importante, come quella del Valpolicella, richiede mercati di più ampio respiro, come il canale moderno, cercando di arrivare sul mercato con un prodotto che ha un posizionamento in linea con quelle che sono le aspettative e agendo sul mercato con la leva della comunicazione per elevarne la qualità percepita.

La qualità è uno dei cardini di sviluppo dell’azienda. Oltre all’impiego di presse
pneumatiche di ultima generazione, Cantina di Soave ha sviluppato per prima un sistema capace, in fase di conferimento, di analizzare 17 parametri qualitativi dell’uva.

Comunicare è fondamentale.

La denominazione, di per sé, non crea business; è piuttosto la comunicazione, la promozione del prodotto che può incrementare la percezione da parte del consumatore della denominazione. Per sviluppare il mercato del Soave negli Stati Uniti investiamo cifre considerevoli ogni anno, non sui nostri marchi bensì sulla denominazione. È vero, ci sono i Consorzi di Tutela per l’attività promozionale, ma servono anche investimenti importanti da parte delle aziende, sono necessarie scelte coraggiose…

In contemporanea, sempre a partire dall’inizio del nuovo millennio, inizia un’altra fase importante per Cantina di Soave.

Dall’esperienza sul mercato nazionale, l’azienda ha compreso l’importanza di proporre e affermare marchi propri anziché vendere il vino in quantità importanti alla distribuzione moderna: le private label rappresentano, in fondo, un’evoluzione dello sfuso e non possono considerarsi un traguardo significativo.

All’inizio del nuovo millennio ci siamo particolarmente concentrati sulla creazione di marchi; a fianco a quelli storici già famosi come Maximilian, acquistato nel 1995 ed Equipe 5 rilevato l’anno precedente, abbiamo sviluppato nuovi marchi e reti commerciali ad hoc per i vari brand. Oggi Cantina di Soave detiene 21 marchi registrati in Italia, 33 nell’Unione Europea, 19 in Paesi esteri e 11 marchi registrati in regime internazionale.

Per completare il puzzle e raggiungere i giorni nostri?

Cercando di rincorrere la fortuna, nel 2008 abbiamo portato a termine con successo un’ulteriore strategica fusione, quella con la Cantina di Montecchia di Crosara. Ritenevamo potesse essere strategico concentrarci ulteriormente nell’ambito degli spumanti un segmento in forte crescita e degno di attenzione; e l’area di Montecchia, dove si trova questa cantina, una tra le più importanti per la produzione di base spumante di tutto il Veneto.

Con l’acquisizione di questa cantina, dotata di 6 linee di pigiatura, con una capacità di 300mila ettolitri di vino e una dotazione in vigneto di 1400 ettari, abbiamo raggiunto l’attuale volume complessivo di oltre 1 milione di quintali di uva lavorata ogni anno, 6mila ettari vitati di cui il 70% a DOC e DOCG. Qualche altro dato saliente? Siamo presenti in 52 Paesi tra i quali Germania, Regno Unito, Paesi Scandinavi, Paesi che complessivamente costituiscono l’80% del nostro export, poi Svizzera, Giappone, Sudamerica, Russia e Stati Uniti.

L’export rappresenta il 48% del totale. Il 78% dei volumi complessivi viene commercializzato nel canale moderno, il rimanente nell’horeca.

Cantina di Soave gestisce il 49% della produzione del Valpolicella DOC. Un dato significativo, che le ha consentito di avviare una nuova politica di gestione delle denominazioni. A Rocca Sveva la selezione è quasi maniacale, e questo a partire dalle uve che vengono raccolte a mano, deposte in cesti etichettati al fi ne di poter risalire, secondo il sistema di rintracciabilità di filiera, al singolo produttore socio.

Per completare il puzzle e raggiungere i giorni nostri?

Cercando di rincorrere la fortuna, nel 2008 abbiamo portato a termine con successo un’ulteriore strategica fusione, quella con la Cantina di Montecchia di Crosara. Ritenevamo potesse essere strategico concentrarci ulteriormente nell’ambito degli spumanti un segmento in forte crescita e degno di attenzione; e l’area di Montecchia, dove si trova questa cantina, una tra le più importanti per la produzione di base spumante di tutto il Veneto.

Con l’acquisizione di questa cantina, dotata di 6 linee di pigiatura, con una capacità di 300mila ettolitri di vino e una dotazione in vigneto di 1400 ettari, abbiamo raggiunto l’attuale volume complessivo di oltre 1 milione di quintali di uva lavorata ogni anno, 6mila ettari vitati di cui il 70% a DOC e DOCG.

Quasi la metà delle vendite avviene sul mercato estero. Gli agguerriti competitor internazionali vi danno filo da torcere?

Sono tutti player molto qualificati i quali sono partiti con filosofi e vincenti. Gioca a nostro vantaggio un patrimonio importante, quello delle denominazioni; a nostro discapito, invece, le dimensioni mediamente piccole delle aziende italiane e la loro debole aggressività commerciale. I player del Nuovo Mondo, pur non disponendo del patrimonio delle denominazioni, hanno dalla loro strutture e competenze commerciali e di marketing enormemente più importanti delle nostre.

Per questo dobbiamo da una parte far sì che le denominazioni diventino un patrimonio effettivamente giocabile sul campo, dall’altra, strategico sarà puntare sulle dimensioni. Non più, come una volta, “piccolo è bello”: il canale horeca soffre, soffrono le bottiglie ad alto costo, purtroppo…

Per il futuro?

Stiamo sviluppando progetti molto importanti che segneranno sicuramente il territorio…