Imbottigliatore del mese

Dalle castagne toscane alla birra artigianale

Come sono i vostri impianti di imbottigliamento?
L’imbottigliamento della birra è una delle fasi più critiche di tutto il processo produttivo. Nei corsi per l’apertura di nuovi birrifi ci con Unionbirrai sottolineiamo la centralità di questo aspetto, che deve essere già stabilito in fase di progetto imprenditoriale e non successivamente. Anche l’esperienza di molti birrifici esteri di piccola/media grandezza ci mostra come la sala cottura spesso sia totalmente o parzialmente riciclata, mentre l’impianto di imbottigliamento è nuovo (e spesso è italiano), segno che si tratta di una fase molto importante. In Italia c’è molta esperienza nell’imbottigliamento di liquidi “piatti” mentre sui frizzanti, avendo gli spumanti o prosecchi un basso contenuto proteico, il problema della schiuma è meno importante rispetto a quanto lo sia per la birra. L’esperienza che molti costruttori italiani stanno facendo è più su macchine vendute all’estero che non in Italia, in quanto, a parte poche realtà ben note, la via del risparmio è l’unica oggi consentita alle piccole aziende – così la scelta molto spesso ricade su macchine a caduta, come nel vino. Noi, seppur con budget limitati, dopo aver raccolte molte informazioni ed esperienze ed esserci confrontati con diversi costruttori di macchine, stiamo progettando una macchina che sia in grado di allineare i nostri bisogni ai loro migliori standard produttivi con Quinti, un’azienda toscana di qualità. Le necessità sarebbero quelle di avere una doppia preevacuazione in modo che l’ossigeno si riduca a tenori minimi, poi un riempimento che minimizzi lo splash del prodotto all’interno della bottiglia, infine la rimozione dell’ossigeno dal collo della bottiglia, prima della tappatura. Questo dovrebbe essere lo standard nella birra, anche per i prodotti con rifermentazione in bottiglia, in quanto numerosi dati oggi evidenziano come l’ossigeno contenuto dalla birra sia più che sufficiente per la seconda fermentazione in bottiglia. Per chi rifermenta poi, una valida ipotesi potrebbe riguardare l’inserimento di una stazione con una pompa dosatrice, per dosare con esattezza lo zucchero per la rifermentazione. Infatti, il rischio dell’aggiunta di zucchero nei serbatoi è che, non potendo agitare birra e zucchero per troppo tempo a causa dell’ossidazione che ne deriverebbe, si creerebbero dei gradienti di concentrazione all’interno del serbatoio. D’altro canto, sono necessarie le più ampie garanzie che la pompa dosatrice lavori con la massima precisione nel tempo, per non creare ciò che si vuole evitare, ovvero differenti livelli di carbonatazione tra birre dello stesso lotto produttivo. Infine l’ideale sarebbe una macchina isobarica, ma poiché (giustamente) i costi di acquisto ed esercizio sono maggiori, noi stiamo lavorando su un ibrido, ovvero su una macchina che lavori con una pressione con picchi non troppo elevati, come accade nella maggior parte degli stili birrari… credo che da questa estate la nuova macchina sarà pronta e potremo dimostrare se le nostre idee erano fondate o meno.

Qual è il contributo che l’imbottigliamento può dare alla qualità della birra e alla sua “shelf life”?
La birra artigianale nasce con l’idea di offrire al consumatore un prodotto fresco, vivo, nel pieno del proprio gusto. La birra industriale nasce allo scopo di massimizzare la resa dei processi e avere un prodotto che può viaggiare a qualsiasi temperatura nel mondo. La bottiglia o il fusto sono degli accorgimenti per far viaggiare il prodotto, consentendone ad altri geograficamente distanti l’assaggio. Ovviamente nel caso della birra artigianale, meno questo passaggio dalle cisterne alle bottiglie o ai fusti altera il naturale equilibrio del prodotto e meglio è. Per esempio, i peggiori nemici delle birre sono la luce e l’ossigeno. Nel mondo artigianale vedremo quindi bottiglie molto scure, mentre nell’industriale si vede birra in bottiglie trasparenti! Paradossalmente il miglior contenitore della birra sarebbe la lattina: non passa la luce, non entra aria, il basso peso dell’involucro alleggerirebbe il peso del trasporto, con risparmio di emissione di CO2 senza contare poi che l’alluminio è uno dei materiali che meglio ricicliamo. Però in Italia purtroppo ci sono anche lattine di bassa qualità, che rilasciavano una componente metallica (così risulta da alcuni focus group), pertanto la lattina, per come è percepita oggi, può andar bene come prodotto molto economico, non per una birra speciale di qualità come la birra artigianale. Quindi, in definitiva, meno ossigeno resta o entra nella bottiglia, meglio si sigilla il tappo all’estremità, meglio si sanitizza la macchina in modo che non contamini la birra e maggiore sarà il contributo alla stabilità e quindi alla shelf life del prodotto.

 

Giorgio Montanari