E il biologico?
Noi facciamo biologico, biodinamico perché già era così con il nonno. Oggi di biologico se ne parla in tutte le salse: c’è chi ne fa una scienza, chi una moda. Mio nonno, i contadini di allora coltivavano biologico senza saperlo. Al di là dei sentimentalismi nei quali, filosofando di biologico, è facile cadere, lui non andava a parlare direttamente con la vite, ma aveva creato in vigna uno straordinario equilibrio, fatto di buon senso e di esperienza, dove la vacca che pascolava nel filare giocava un ruolo altrettanto importante delle erbe spontanee che tra le viti crescevano o degli insetti che tra queste erbe vivevano. Tutto questo non escludeva le pratiche in campo, gli interventi dell’uomo. Un equilibrio oggi difficile da riproporre: spesso si esagera, in un senso e nell’altro… C’è chi diserba, tratta il filare nell’idea che la pianta debba rispondere a specifiche esigenze produttive, chi invece, integralista, dice che tutto deve procedere naturalmente quasi senza la mano dell’uomo… Come al solito la verità, la giusta via sta forse tra i due estremi, il lavoro in campo deve essere fatto, nel migliore dei modi, con passione.
Già, la passione…
La passione che ti dà l’entusiasmo di ripartire sempre da zero, all’inizio di ogni annata dopo la grandine o la bella vendemmia. Ricorda il mito di Sisifo? Io paragono il contadino a Sisifo. Sisifo aveva osato sfidare gli dei e, come punizione della sua sagacia, Zeus aveva deciso che Sisifo avrebbe dovuto spingere un masso fino a raggiungere la cima di un monte, questo poi finiva per rotolare dall’altra parte costringendolo a ricominciare sempre la fatica da capo. Così il contadino… Questa forza che ti consente di andare avanti, nasce dallo slancio vitale, quello che permea le piante, tutti gli esseri viventi, e che impari ad ascoltare quando hai creato un legame forte con la terra, quando hai “fatto radici”. La viticoltura non è solo una questione di business, abbiate pazienza! C’è una volontà, un amore, una passione, c’è un cuore dietro a questo lavoro, altrimenti tutto finisce! Sentimenti che l’apprezzamento di chi ha assaggiato le tue creazioni alimenta.
Il biologico e il giusto equilibrio.
In vigna a questo equilibrio ci si arriva, ma non subito. È necessario comprendere il ruolo di chi nella vigna ci “vive”, insetti, piante − piante che non definirei malamente “infestanti”, ma spontanee −; è necessario ascoltare, sentire la vite. Qualcuno mi chiese un giorno: quando vendemmi? Tirò in ballo il quadro acido, i polifenoli, gli antociani, le analisi di laboratorio, l’andamento delle curve… Ribattei: assaggio. Assaggio l’uva e sento se è matura, se è pronta per essere vendemmiata. Semplice, no? Per molti è un metodo troppo empirico, che fa venire i brividi, ma gli uccelli sanno ben discernere in vigna quali uve sono mature e quali hanno bisogno ancora di tempo; di queste si cibano senza aver preceduto l’assaggio con un test di laboratorio. Sanno leggere i grappoli, hanno l’istinto, l’intuito, lo stesso che dovrebbe avere il vignaiolo. Chi non vede, sviluppa altri sensi, chi non utilizza il laboratorio come me fa altrettanto, attiva aree cerebrali, magari un po’ sopite dal disuso. Siamo ben fatti, in fondo!
C’è fermento in Italia sul “vino naturale”
No comment! Mi avvalgo del diritto di non rispondere… Scherzi a parte, il vino biologico, o biodinamico, o naturale che dir si voglia, non s’improvvisa. Serve come abbiamo già detto un background di esperienze agronomiche ed enologiche notevoli, perlomeno per produrre un vino buono… Ci si dovrebbe interrogare su che cosa s’intenda per vino naturale. Molti guru del biodinamico vorrebbero che tutto il prodotto della vite venisse portato in cantina senza eliminare alcunché. Lasciamo anche il marcio? Più a monte: nessun diradamento, nessun intervento sulla pianta? Se tutto deve avvenire naturalmente allora torniamo pure a quella Vitis vinifera ancestrale, ma forse non produrremmo più alcun vino! Gli estremismi li escluderei a priori, siamo concreti: se vuoi rispettare la natura, la devi semplicemente ascoltare. Ma poi è necessario anche accompagnare la pianta con i giusti interventi agronomici, fino alla maturazione del frutto.
Poi c’è la vinificazione.
Vino naturale significa entrare in sintonia con il vitigno, saperlo interpretare, raccogliere la storia che la vite, quell’anno, ha voluto raccontare. L’interpretazione, è vero, la si fa in cantina, ma al di là di qualche “piccola variazione sul tema”, procedi seguendo regole fidate che hai validato in tante vendemmie. Utilizziamo piccoli accorgimenti, come il rispetto delle fasi lunari. Superstizione, alchimia, pratiche di una volta? Rispettiamo un effetto gravito-magnetico che, seppure non quantificabile chimicamente, può magari far la differenza…
Nessuna standardizzazione, quindi?
Se si vuole standardizzare, ottenere cioè un vino morbido, piacevole, bisogna intervenire, magari anche pesantemente in cantina: disacidifichi, costruisci il prodotto. Ma io non sono un meccanico del vino…! C’è forse uno standard per il vino? C’è forse un’“accademia del vino” da seguire? In Francia, gli impressionisti furono aspramente criticati dagli accademici: rompevano gli schemi, non dipingevano più secondo regole codificate, secondo uno standard. Poi si è capita la profondità, il sentimento, l’originalità nascosti in quest’arte, li si è rivalutati.Magari il paragone non calza alla perfezione, però, che senso ha disacidificare una Barbera per accondiscendere a standard precisi? Coltiviamo allora il Merlot, ci risparmiamo una fatica…! Se penso alla Barbera che produceva mio nonno c’era da tenersi al tavolo per berlo! Lui non faceva alcuna selezione, tutto veniva pigiato. Oggi molti di quei grappoli non vengono nemmeno lasciati maturare e solo i migliori arrivano alla vinificazione. Ciò permette di elevare notevolmente il livello qualitativo di un vino, raggiungere un equilibrio. Da quell’equilibrio, da quelle produzioni di qualità superiore si può fare un salto per “un equilibrio sopra la follia”, ricercando pur sempre una qualità elevata acquisita e ripetibile.
Roberto Tognella